Ambiente / Opinioni
Costruire una pace ecologica e sociale
A dieci anni dall’enciclica “Laudato si’” è tempo di deporre le armi dell’indifferenza e della violenza sull’ambiente. Per fare pace con la terra e tra noi. La rubrica di Paolo Pileri
Iniziamo il 2025 in compagnia di due numeri: uno e dieci. Uno ovvero il primo giorno dell’anno, di ogni anno, che i cristiani dedicano alla pace. Lo inventò Paolo VI nel 1967. Una decisione particolarmente saggia e purtroppo sempre opportuna, con una carica simbolica potente perché iniziare ogni anno in nome della pace significa che è la nostra prima cosa da fare: un impegno privato e pubblico fondamentale e non scontato. Siamo circondati da guerre terribili -ogni guerra lo è- senza aver fatto abbastanza per evitarle e fermarle.
Anzi abbiamo continuato a inviare armi, convinti che generino la pace: illusione mefitica. Oltre al Papa, fatico a trovare figure politiche così pervicacemente convinte della pace al punto da invocarla in ogni occasione, schierandosi apertamente contro le armi. La pace è tra i beni comuni più strategici per l’umanità e la sua perdita è un crimine che può avere origini insolite e forme perverse, apparentemente distinte dalle guerre.
Forme meno visibili che si manifestano già nel nostro quotidiano privato e pubblico. Insulti, aggressioni verbali, ingiustizie, prevaricazioni, emarginazioni, indifferenza, volgarità, scortesie. Sono tanti i volti della violenza che può finire per sfociare in reati gravi: estorsioni, ferimenti, omicidi. Violenze sottovalutate che in un attimo montano in conflitti sociali, esplodendo e corrodendo il senso della pace.
Le cause? Sono tante: la mancanza di lavoro dignitoso, l’assillo del possesso, le continue campagne securitarie che ci avvelenano alimentando sentimenti di sfiducia e sospetto tra persone, il venire meno di alcune garanzie sanitarie, la perpetua irrisione delle istituzioni che genera sentimenti di ostilità verso gli uffici pubblici, etc. C’è poi la violenza verso l’ambiente e la terra.
Quest’ultima è continuamente consumata, aggredita, sfruttata, inquinata, devastata, predata, colonizzata. Sono gesti feroci di una vigliacca forma di guerra, mai dichiarata ma sempre compiuta, verso una vittima inerme e senza voce. Negare di continuo un sano rapporto con la terra significa dirottare la gente dalla pace, parafrasando Michelangelo Pistoletto. Per non dire quanto le varie forme di ferocia ambientale generino malessere personale e tensioni sociali, specie nei giovani. E li capisco. Siamo lontani dal lasciare in pace la terra. Né abbiamo in agenda la pace come il più grande progetto sociale e politico.
Uno è il primo giorno dell’anno che ricorda che la pace non viene da sé, ma dal pensarla e volerla fortissimamente. Dieci sono gli anni dell’enciclica “Laudato si’”, il testo laico per dare alle politiche la forma degli ecosistemi.
E poi il numero dieci: tanti sono gli anni passati dalla pubblicazione dell’enciclica “Laudato si’”, il più importante discorso sull’ambiente che un capo di Stato abbia mai rivolto a donne e uomini nell’ultima trentina d’anni. Un testo laico dimenticato troppo in fretta dai laici e pure dai cristiani. In quelle pagine c’è quasi tutto ciò di cui avremmo bisogno per fare pace con la Terra e il suolo, e tra noi. L’accaparramento delle risorse naturali continua ed è sempre più furbo e meno riconoscibile, nascosto dietro la tecnologia, l’urgenza e perfino la sostenibilità. Il nostro modello (ap)profittevole, responsabile di tante forme di conflitto e di tante guerre, non vuole mollare la presa.
Piuttosto ci allontana dalla pace, se non la nega addirittura. Forse ricordare il decennale della “Laudato si’” potrà essere l’occasione per deporre le armi dell’indifferenza e impegnarsi a discutere, capire e mettere a terra i tanti spunti che lì ci sono per la costruzione di una pace che sia ecologica e sociale al tempo stesso, come deve essere. Dipende da noi. Buon anno.
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