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Ambiente / Approfondimento

Quando l’arte ripulisce il petrolio. La strategia di Shell e chi la contesta

La performance “Drop the Shell” organizzata da Free Fossil Culture NL nel maggio 2017 nelle sale del Van Gogh Museum ad Amsterdam. Le conchiglie (cui si ispira il logo dell’azienda) sono imbrattate di nero petrolio - © Laura Ponchel

In Olanda la multinazionale fossile finanzia musei e istituzioni culturali per presentarsi socialmente responsabilie. Il collettivo Fossil Free Culture si mobilita con performance artistiche. E nel Paese è riuscito a creare un effetto domino

Tratto da Altreconomia 233 — Gennaio 2021

Il Nemo Science Museum di Amsterdam è un enorme museo sull’acqua che ricorda una barca. Lì vicino c’è una replica della nave con la quale la Compagnia olandese delle Indie Orientali, nel 18esimo secolo, trasportava armi e mattoni verso gli insediamenti coloniali in Indonesia per tornare carica di spezie e tessuti. È proprio qui davanti che il 10 novembre 2020 un collettivo di artiste e artisti ha manifestato organizzando una lunga fila fatta di fiaccole accese. L’intento di quelle fiamme era ricordare che il fuoco della protesta degli Ogoni Nine, i nove attivisti nigeriani impiccati nel 1995 per aver protestato contro i progetti di estrazione di petrolio nella loro regione da parte della Shell, era ancora vivo. Oggi la Royal Dutch-Shell, multinazionale anglo-olandese dei combustibili fossili, finanzia ancora diversi programmi culturali nei Paesi Bassi. Tra cui quelli del Nemo Science Museum.

Il Fossil Free Culture NL è un movimento partecipato dal basso che lavora per la giustizia climatica. Usa l’arte e il design come strumenti di disobbedienza civile

La performance è stata organizzata da Fossil Free Culture NL (FFC-NL), collettivo impegnato nel combattere l’artwashing delle compagnie petrolifere, in particolare della connazionale Shell. Per artwashing si intende quell’operazione di pulizia della propria immagine sociale che passa attraverso il sostegno economico alle istituzioni culturali. Ad esempio, Shell finanzia i programmi educativi Maakkunde e The art of making, strumenti di apprendimento online rivolti agli alunni e ai docenti delle scuole primarie e ospitati sul sito del Nemo Museum. “Così facendo Nemo sta offrendo a Shell l’opportunità di presentarsi agli occhi della società come un’azienda generosa che tiene al futuro delle nostre generazioni”, spiega Frida Castro, portavoce di Fossil Free Culture NL.

Dal 2016, il collettivo si è imposto come “un movimento partecipato dal basso e femminista, che lavora per la giustizia climatica”, aggiunge Castro. Arte e design vengono utilizzate come strumenti di disobbedienza civile con l’obiettivo di sradicare la sponsorizzazione dei combustibili fossili dal settore culturale nei Paesi Bassi. Nel 2017, in concomitanza con la mostra “In the Forest”, ospitata al Van Gogh Museum e dedicata ai pittori paesaggisti, FFC-NL si è presentata davanti alle porte del museo con in mano decine di ombrelli rotti e inscenando una foresta devastata da petrolio ed eventi atmosferici estremi.

“End The Fossil Fuel Age Now”, performance artistica organizzata nel giugno 2018 ancora nelle sale del Van Gogh Museum, dove è stato srotolato uno striscione lungo 12 metri -composto da diversi frammenti- che chiedeva appunto la fine dell’era fossile © Alex Bleu

“[Sp]oiled Landscapes” non è stato l’unico episodio di protesta con cui gli attivisti hanno sottolineato la “dissonanza” tra l’interesse del museo Van Gogh nei confronti dell’ambiente e del paesaggio e l’impatto catastrofico generato dalle attività estrattive di Shell nel mondo, che finanzia (anzi, finanziava) le attività del polo. Pochi mesi dopo, infatti, gli artisti del collettivo si sono ripresentati davanti al museo e hanno lasciato impronte di mani sporche di nero sulla sua facciata. Ma il colpo di grazia per la Shell è arrivato nella primavera seguente grazie a due azioni di protesta: la prima nel maggio 2018, quando 411 conchiglie sono disseminate nel museo Van Gogh, ciascuna marchiata con un getto di inchiostro nero: 411 erano le parti per milioni di CO2 presenti in quel momento in atmosfera. La seconda, nel giugno dello stesso anno, quando 40 attivisti hanno srotolato ciascuno un suo pezzo di striscione che, posizionati sulle scale dell’ingresso, hanno composto la scritta gigante “End of fossil fuel age now”. A settembre il Van Gogh Museum ha rescisso il suo contratto commerciale con la Shell.

“La lotta al cambiamento climatico non può essere separata dalla lotta contro il razzismo, la disuguaglianza, lo sfruttamento e l’oppressione” – FCC-NL

Dopo questo primo successo, il collettivo ha disseminato altre conchiglie sporche di nero -diventato un vero e proprio marchio di fabbrica- in giro per tutte le istituzioni che avessero un contratto in essere con la Shell: Groninger Museum, Drents Museum, Het Concertgebouw Amsterdam, Rijksmuseum Boerhaave e, dulcis in fundo, Nemo Science Museum. La campagna, #DropShell ha ottenuto un altro, cruciale, successo: dopo aver impresso la propria immagine sporca di nero sulle vetrate della più famosa sala per concerti di Amsterdam, e dopo un flashmob inscenato durante la riproduzione di un concerto nel quale gli attivisti hanno lanciato spartiti dalle balconate con sopra una composizione scritta apposta per l’occasione ma dissonante e non riproducibile (per figurare la dissonanza in atto da parte di chi accetta denaro da Shell), anche la Concertgebouw ha deciso di interrompere la sua collaborazione con Shell nel settembre 2020.

Le campagne di FFC-NL non hanno interessato solamente la città di Amsterdam ma anche il resto dei Paesi Bassi. Come in un effetto domino, in questi quattro anni, altre quattro istituzioni simbolo hanno scelto di rinunciare ai soldi della Shell: il Mauritshuis, casa della pittura olandese all’Aia, il Museon di scienza e cultura, sempre all’Aia, il museo etnografico The Tropenmuseum (di nuovo ad Amsterdam) e la Rotterdam Philharmonic Orchestra. Allargando lo sguardo e uscendo dai Paesi Bassi, poi, di movimenti che si battono contro l’artwashing ce ne sono e ce ne sono stati diversi: Liberate Tate (a cui FFC-NL dichiara di ispirarsi) cominciò nel 2016 la sua protesta contro la rete Tate (che comprende la celebre Tate Modern): dopo un anno di performance, il gruppo museale londinese mise fine alla sua collaborazione con la multinazionale fossile BP. Oggi #FossilFreeCulture è diventata una campagna comunicativa internazionale e diverse realtà hanno dato vita a una coalizione, la Art Not Oil, di cui fanno parte, oltre Liberate Tate, anche la francese “Libérons le Louvre”, “BP or not BP” e “Culture Unstained”, con le quali FFC-NL collabora abitualmente.

Ma torniamo quindi nei Paesi Bassi, dove il prossimo “bersaglio” è il Nemo Science Museum. Finora le manifestazioni di Fossil Free Culture NL contro il più grande museo di scienza olandese hanno messo in risalto un altro importante aspetto delle azioni di protesta, nelle quali non c’è solo l’obiettivo di ristabilire la giustizia climatica ma c’è pure tutta una parte dedicata alle rivendicazioni di stampo anticolonialista: “La catastrofe climatica ha origine centinaia di anni fa, quando i colonizzatori iniziarono la loro missione per estrarre ogni pezzo di valore dal suo luogo originale e convertirlo in profitto da qualche altra parte”, spiegano gli artisti del collettivo. “L’Olanda è uno dei Paesi più inquinanti d’Europa e porta avanti il mantra del profitto a ogni costo. Se scaviamo ancora più a fondo, questo mantra ha le sue radici nella schiavitù, nell’estrattivismo e nel colonialismo dell’impero olandese, un’eredità che non possiamo mettere da parte perché influenza ancora tutto ciò che vediamo oggi”.

Per questo Fossil Free Culture NL è nato come gruppo di donne immigrate e di colore. In “KEEP DANCING”, la performance organizzata a novembre 2020 davanti al Nemo -la quattordicesima da quando è nato il movimento- le artiste hanno letto e interpretato le parole del poeta e attivista Ken Saro-Wiwa, vincitore del Goldman Environmental Prize nel 1995, lo stesso anno in cui fu condannato a morte insieme ad altri otto compagni (da qui Ogoni Nine) con la complicità della Shell la quale, in seguito a una causa avviata nel 1996, ha poi patteggiato nel 2009 un risarcimento da 15 milioni di dollari alle famiglie delle vittime.

La performance “KEEP DANCING”, organizzata il 10 novembre 2020 di fronte al Nemo Science Museum. Le artiste e gli artisti del collettivo hanno tenuto in mano fiaccole accese per ricordare i nove attivisti nigeriani impiccati nel 1995 per avere protestato contro i progetti di Shell nel Paese © Alex Bleu

“La lotta al cambiamento climatico non può essere separata dalla lotta contro il razzismo, la disuguaglianza, l’ingiustizia, lo sfruttamento e l’oppressione”, precisa FFC-NL nel suo manifesto. “Il razzismo climatico è un problema enorme. Siamo consapevoli dei nostri pregiudizi e della contaminazione razzista e stiamo cercando passo dopo passo di liberarcene prima che distrugga il nostro movimento”. Per questo oggi FFC-NL si presenta come un movimento non solo femminista, ma anche queer e intersezionale.

Dopo Nemo la lista delle istituzioni culturali sovvenzionate da Shell è ancora lunga. I prossimi obiettivi riguarderanno il Rijksmuseum Boerhaave di Leida, dedicato al progresso scientifico-tecnologico dei Paesi Bassi, e poi il Drents Museum di Assen e il Groninger Museum, entrambi sovvenzionati non solo da Shell ma anche da ExxonMobil, tra le principali compagnie petrolifere statunitensi che opera sul mercato europeo col marchio Esso.

Intanto alle proteste contro Shell di FFC-NL si aggiungono le voci di 17.379 cittadini olandesi, raccolte dall’organizzazione ambientalista Milieudefensie (Friends of the Earth NL) e presentate davanti al tribunale dell’Aia. Il processo contro Shell si è aperto il primo dicembre 2020 e la compagnia petrolifera è accusata di violare gli articoli 2 e 8 della Convenzione europea sui diritti umani che tutelano il diritto alla vita e il diritto al rispetto della vita privata e familiare: il dossier che Milieudefensie ha presentato in tribunale intende dimostrare che Shell sta ignorando l’Accordo di Parigi, mettendo a rischio la vita dei cittadini. La sentenza è attesa nei primi mesi del 2021 e in caso di vittoria degli ambientalisti Shell sarà costretta a rallentare i ritmi attuali di estrazione di petrolio e gas. Anche se il colosso dovesse ricorrere in appello, questa prima sentenza potrebbe innescare numerosi procedimenti giudiziari simili in tutto il mondo, verso altre compagnie petrolifere.

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