Fornelli occupati – Ae 94
A Roma nascono nuove osterie autogestite nelle cucine dei centri sociali, tra prodotti biologici e filiere locali Katia pela le patate con uno sbuccino molto tecnico e le butta in una tinozza blu piena d’acqua. La volta a botte…
A Roma nascono nuove osterie autogestite nelle cucine dei centri sociali, tra prodotti biologici e filiere locali
Katia pela le patate con uno sbuccino molto tecnico e le butta in una tinozza blu piena d’acqua. La volta a botte dell’ingresso di Forte Prenestino le fa buio sul viso. Non alza lo neppure per dirmi che “la cucina apre all’una e mezza”. La galleria sbuca nel cortile del centro sociale dove una band di fiati prova e riprova lo stesso frammento musicale, ascoltata da una muta di cani. Tutto intorno le mura del Forte, in alto sul giardino pensile ronza l’apiario. “Il miele è una delle nostre autoproduzioni” mi racconta Silvana, posando il pane in cucina. Lei e altri sei tra ragazze e ragazzi hanno trasformato la cucina del Forte in un lavoro. “Un esperimento di autoreddito”, precisa Silvana, circa 400 euro al mese. Passa Katia con le melanzane: “350! Se fai i conti alla fine sono 5 euro all’ora. E le ore sono sempre troppe!”. Smadonna e sparisce: “C’ho tre pentole sul fuoco”. Dure come la lotta sociale, dolci come il miele.
20 o 30 persone a pranzo, anche 100 a cena, nel fine settimana, la “Taverna del Forte” (forteprenestino.net) è un solido esperimento di cucina sociale e sostenibile. La sua piccola economia tira. “Tra non molto riusciremo a comprarci i collettori solari”, dice Silvana. La strada verso il biologico è lastricata di buone intenzioni. “Non riusciamo a comprare solo bio”, ammettono. Ma il mercatino TerraTerra, ogni seconda domenica del mese, permette di sperimentare nuovi produttori, soprattutto vino, olio, pomodoro, cipolle. Il principale fornitore resta comunque il mercato di zona, in piazza della Iris. Oltre al miele l’altra produzione propria è la birra, la “Prenestiner”, una lager brewed nel buio del birrificio sotterraneo. La Taverna apre puntuale. Pasta al forno con melanzane, tortino di erbette e patate, polpette di cicoria al sugo, vino biologico. L’acqua è imbroccata e i condimenti autarchici. Il conto va liscio come l’olio, sotto i 10 euro. Una goccia mi cade sul quaderno. S’allarga, come la cerchia di esperienze sociali e resistenti che, a Roma, hanno scelto cucina e ristorazione per rendere più sapidi i principi del consumo critico. “La Trattoriola” del centro sociale La Torre (inventati.org/latorre) si raggiunge da uno sterrato, un casale un po’ in disparte, sul crinale tra città e campagna. “L’amatriciana la buttiamo ora” avverte Sandra, una veterana. Racconta 13 anni di storia, due sgomberi violenti, qualche aggressione fascista e la vocazione al pensiero e al consumo critico. La Trattoriola è l’espressione del desiderio che la sostenibilità non sia solo da “manuale”. Teresa, giovanissima cuoca, annuisce, si asciuga le mani sul grembiule, poi mi guida tra le case di pietra e i banchetti del mercato bio mensile MercaTorre.
La ricetta che spiega è semplice. Mettete insieme produzioni agricole biologiche e locali, il gruppo d’acquisto Gastorre e la sua filiera corta, il lavoro con le persone svantaggiate, l’attenzione alla biodiversità. Amalgamate con cura e avrete il pranzo della domenica: amatriciana con guanciale bio, pasta con le rape, patate al forno, seitan e verdure, torte vegetariane e vegan. Tutto servito a colpi generosi di ramaiolo in piatti di coccio. “L’usa e getta è abolito, Mater Bi a parte”. Sale ampie e calde, atmosfera di festa, rumorosa e familiare.
Per coinvolgere il quartiere la seconda domenica del mese è sempre pizza, fatta con la pasta madre nel forno a legna autocostruito. “Ci piacerebbe che la gente facesse il pane a casa e lo venisse
a cuocere qui”. Scambio, uso comune delle risorse e decrescita sono nel Dna della Torre. “A volte i produttori bio non hanno le risorse per coltivare tutta la propria terra. Abbiamo chiesto
a un’azienda agricola di Viterbo, Il Corniolo, di ‘prestarci’ un appezzamento per coltivare pomodori. Alla fine i pomodori ‘adottivi’ sono diventati, in una festa collettiva, la Pomodorata, un’ottima passata”. Mezzadria moderna. “La nostra è una cucina politica -interviene Muflone-. Ci piacerebbe aprire tutti i giorni a pranzo per il quartiere, sensibilizzare le persone perché a casa propria facciano le stesse scelte”. La cucina potrebbe finanziare i cantieri del centro sociale. “Finora abbiamo sperimentato un rimborso per chi dà molte ore di lavoro, ma non vogliamo cadere nell’autosfruttamento! Preferiamo che il nostro impegno sia commisurato all’affetto per il progetto”. Scampanano i greggi, i bambini giocano dentro e fuori la palestra, al MercaTorre si aprono formaggi e salumi. Sul crinale, da una parte campagna, dall’altra città, mi godo la cicoria ripassata nell’aglio.
La “rivoluzione della forchetta” non passa sotto silenzio. “Massimoooo!”, “Adriaaanooo!”. Le urla sovrastano il brusio della sala e il fumo all’“Osteria del Corto”, periferia Sud-est di Roma.
I ragazzi del centro sociale Corto Circuito (corto.circuito.info) annunciano gridando che la tua ordinazione è pronta. A quel punto sbrigati, in caso di omonimia qualcuno potrebbe accaparrarsi la tua pasta con la ‘nduja.
La cucina è casereccia. Sul menù qualche primo, piatti di salumi, formaggi e bruschetta, carne alla griglia, coniglio al forno… anzi no, il coniglio viene cancellato con un deciso tratto di penna. Birra a tracimare. Nessuna pretesa se non quella di essere un luogo libero e popolare. L’Osteria sforna tutti i giorni pasti per operai, immigrati, studenti. La cucina ha il sapore della “lotta alla precarietà”, e il biologico per ora è distillato solo nell’ottima cantina. La sostenibilità è nel conto.
Caffè zapatista, acqua di rubinetto e un’ironica Vaffan-Cola.
Cosa desiderare di più?
La “biosteria” conviviale del casale Podere Rosa
L’economia informale e sostenibile è un fatto di pancia anche alla “BiOsteria” del Casale Podere Rosa. Aperta a metà degli anni 90, oggi si cena venerdì e sabato -in inverno- e 3 o 4 sere a settimana durante l’estate. Il rapporto diretto con i produttori è il suo pane: come quello che sforna Il Sambuco di Celleno. Il companatico ha provenienze diverse: maiale e salumi da Le Fontanelle di Contigliano (Rieti), verdure da Arvalia (Viterbo) e Casale Vecchio (Roma), formaggi dalla Fattoria Lucciano di Borghetto (Civita Castellana). Non mancano il commercio equo e i prodotti di cooperative sociali, come l’Arcolaio, la pasticceria del carcere di Siracusa. Angela è la sovrana della cucina e il suo è “lavoro solidale”, vero, non nero, integrato da una quota consistente di partecipazione “politica”. Nel menù (10-15 euro, bevande escluse) antipasto di terra, zuppa di verdure con farro, pasta all’arrabbiata, ciambella di carote e cioccolata. L’acqua del rubinetto è gratis. Info: casalepodererosa.org
A Milano le cucine popolari alla “Casaloca” e al “Cantiere”
Milano Bicocca. La cucina di CasaLoca è, dal 2004, un’isola colorata nel regno di Pirelli RE, frequentata, a pranzo, nei giorni feriali da studenti, abitanti del quartiere, lavoratori precari, ricercatori e professori universitari. “Menù e fornitori cambiano con i volontari che passano in cucina -spiega Daniele-. Per noi la priorità è il prezzo popolare (primi a 2 euro, secondo e contorno a 3), ma scegliamo, appena possibile, piccoli produttori e cibo biologico”. Prodotto di punta il caffè rebelde zapatista delle comunità indigene del Chiapas, importato da Ya Basta. In viale Sarca 183, tel.: 02-87.39.68.44. Info: casaloca.it. La “Taverna Sociale” del Cantiere è una realtà under costruction. Nella saletta al primo piano di via Monte Rosa 84 si pranza a prezzi popolari nei giorni feriali, si cena venerdì e sabato e una domenica al mese cena etnica. Il bar offre tutti i pomeriggi bevande del commercio equo e free internet. Info: tel.: 328-86.90.130, globalproject.info, cantiere.org.