Altre Economie / Opinioni
Per liberare la società è necessario deporre la finanza
La società attuale è come una famiglia dove la madre lavora, i figli hanno tutte le necessità del loro dover crescere, mentre il padre va a giocare al casinò sequestrando tutto ciò che la madre guadagna. Il padre è come la finanza. E va deposto. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini da Altreconomia 194
Azione corale e processi di liberazione. Sono le due cose da non perdere di vista mentre ci si impegna giorno per giorno come co-protagonisti nella gestazione di un’economia vera. L’azione corale è l’impegno ad attuare il progetto di una società ospitale, equa verso tutti. I processi di liberazione sono i dinamismi che un’azione simile deve suscitare insieme alle vittime del sistema vigente. Serge Latouche chiede di “uscire dall’economia” perché, con essa, intende la costruzione, nell’immaginario collettivo e nella pratica, del culto della crescita. E di certo ha ottime ragioni nel prefigurare una prospettiva di esodo da questo sistema. Se però per “economia” intendiamo l’organizzazione delle basi materiali per la vita di tutti, il discorso cambia. L’etimologia ricorda che dev’essere il diritto della giustizia (nomos) a ispirare la buona gestione della casa comune (oikos). Perciò si tratta non di uscire dall’economia, bensì di scoprirla e di inaugurarla. Mai nella storia l’umanità ha potuto contare su un ordinamento autenticamente “economico”, giacché è stata sempre oppressa da tecniche di dominio sprezzanti sia verso il diritto sia verso la casa comune. Tecniche per le quali, usando parole dirette, i poveri mantengono i ricchi.
Il fondo l’abbiamo toccato in questi anni, con la finanziarizzazione della vita intera mediante l’egemonia culturale e politica della logica speculativa e mediante la cartolarizzazione di ogni cosa potesse trasformarsi in titolo azionario. La società attuale è come una famiglia dove la madre lavora, i figli hanno tutte le necessità del loro dover crescere, mentre il padre va a giocare al casinò sequestrando tutto ciò che la madre guadagna. Per giunta, quando torna spacca e sporca quello che trova, rovinando la casa. Il padre è la finanza, la madre i lavoratori, i figli le nuove generazioni, la casa è la natura. Ecco la nostra situazione. Siamo sottomessi a un potere globale parassitario e distruttivo.
Dunque l’obiettivo cruciale per liberare questa famiglia che siamo noi tutti è quello di arrivare a deporre la finanza come centro del potere regolativo della società. Bisogna chiudere le Borse, la Banca Mondiale e le agenzie di rating, riconducendo le banche alla loro funzione di conservare i risparmi e di erogare il credito a famiglie e aziende. Finché non deporremo la finanza, tutti i nostri sforzi sono destinati a non avere effetti duraturi e decisivi.
Per arrivare a deporre la finanza serve esercitare il conflitto, che non è conflitto solo di classe ma soprattutto di sistema: è sì tra chi lo gestisce e chi lo subisce, ma è anche tra una logica automatica e la libertà dell’umanità. Preciso che il conflitto come azione nonviolenta di liberazione da poteri oppressivi è il contrario della guerra: il conflitto punta a una vita degna per tutti e non aggredisce nessuno, la guerra punta all’eliminazione del nemico.
La logica assurda della finanziarizzazione del mondo si sconfigge con le coscienze e con l’educazione. Ciò richiede l’emersione delle famiglie come soggetti politici e la rigenerazione etica della scuola, in modo che alimenti il pensiero critico e la facoltà di responsabilità civile delle nuove generazioni. I gestori del potere, invece, si sconfiggono con l’azione collettiva, che richiede l’affermazione di una tendenza culturale e sociale organizzata: la lotta alla finanziarizzazione e la scelta della democratizzazione sistematica. Perciò servono associazionismo di base, saperi critici, partiti e sindacati profondamente rinnovati.
E servono comunità civili territoriali, che pratichino tutte le possibili forme di autogoverno. Purtroppo tra coloro che si battono per la democrazia e per un’altra economia sta affiorando una specie di schizofrenia: è il dualismo tra la via istituzionale di quanti assumono un impegno politico diretto e la via partecipativo-popolare di quanti costruiscono forme di autogoverno delle comunità territoriali. È chiaro che bisogna integrare le due vie, non contrapporle tra loro.
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