Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Altre Economie

Fatti di pasta buona

Sono una cinquantina almeno, in tutta italiana, i produttori di pasta biologica e artigianale. Molti servono i gruppi di acquisto solidali. E non hanno risentito dell’impennata dei prezzi

Tratto da Altreconomia 98 — Ottobre 2008

Il Senatore Cappelli è alto un metro e sessanta e ha due folti baffi biondi. Era il grano più diffuso in Italia fino agli anni 50 ed è stato abbandonato per far posto a varietà che garantivano una maggior resa per ettaro, quando la pasta è diventato un prodotto industriale.
La riscoperta del grano Senatore Cappelli si deve ad agricoltori come Franco Pedrini (nella foto), che da sedici anni coltiva 40 ettari in affitto su un poggio tra Volterra e San Gimignano, nel Comune di Gambassi Terme (Fi).
La pasta “fatta in casa”, come quella di Franco, rappresenta un’alternativa di qualità ai marchi che riempiono gli scaffali dei supermercati, alla pasta industriale fatta, per il 40%, con grano importato (vedi tabella a p. 14). Sono almeno una cinquantina, in 13 Regioni, i produttori di pasta biologica ed artigianale, molti dei quali servono i gruppi d’acquisto solidale (Gas), e sono mappati sul sito www.economia-solidale.org.
L’azienda agricola di Pedrini si chiama “San Cristoforo”, e con i suoi 100 quintali di pasta all’anno, ad esempio, serve una trentina di Gas. È una piccola impresa a conduzione familiare (dà lavoro a Franco, alla moglie e a uno dei due figli): “Abbiamo iniziato con ortaggi, frutta ed erbe aromatiche. Poi, per passione, abbiamo iniziato a coltivare cereali considerati minori ma di qualità superiore, perché non hanno subito modifiche genetiche”. Oltre al Senatore Cappelli, nei campi di San Cristoforo trovano spazio farro, grano Saragolla, Slina (un grano tenero abruzzese) e Verna (ottimo per fare il pane).
Nella stalla ci sono tre mucche, caprette e un cavallo. “Mangiano i nostri cereali, e il nostro fieno e producono il letame necessario a fertilizzare i campi: la terra e gli animali sono alla base dell’agricoltura biodinamica, come la nostra”, racconta Franco, che è anche presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica (agricolturabiodinamica.it).
Sul Poggio al Bretto la pasta si fa da cinque anni: “Da quando abbiamo il laboratorio, tutto il ciclo produttivo si svolge all’interno dell’azienda -racconta orgoglioso Pedrini-: abbiamo un mulino a pietra, per macinare senza eliminare il germe del grano”. La pasta prende forma nell’impastatrice attraversando trafile di bronzo, che a differenza della normale trafilatura industriale in teflon (plastica) garantiscono una maggiore porosità, la capacità di “legarsi col sugo”. “L’essiccatrice -riprende il racconto- l’ho costruita io, spendendo un migliaio di euro”. È una specie di grande forno dove la pasta secca per uno o due giorni (a seconda del formato), a una temperatura tra i 35 e i 39 gradi. Essiccare a bassa temperatura permette di mantenere più integre le proprietà nutrizionali della pasta. Molti produttori industriali preferiscono invece essiccare ad alta temperatura per produrre di più (la pasta è “secca” in 4 ore). Facendo tutto in casa, l’Azienda agricola San Cristoforo non ha risentito dell’aumento del prezzo del grano: un pacco da mezzo chilo di pasta da grano Senatore Cappelli, certificato da Demeter (www.demeter.it), costa 2,5 euro, e il prezzo è rimasto fisso da settembre 2007 a giugno 2008 (per i Gas c’è uno sconto tra il 20 e il 25%: s.cristoforo@libero.it, 0571-67.80.22).    

Ritrovo la stessa passione per la pasta di qualità tra le colline dell’entroterra marchigiano. Bruno Sebastianelli è fondatore e presidente della cooperativa “La terra e il cielo” e uno dei pionieri del biologico in Italia. La sede della cooperativa è ad Arcevia, nelle Marche, in un grande capannone costruito nel 1998 con tecniche di bioedilizia. “Abbiamo iniziato nel 1980, coltivando 32 ettari che ottenemmo in affitto dagli Istituti riuniti assistenza e beneficenza. Era un terreno molto sfruttato, così all’inizio, per fertilizzare in modo naturale i campi e renderli produttivi, comprammo gli animali e ci trasformammo in pastori. Il primo stipendio vero lo abbiamo visto nel 1987 -racconta-. Commercializziamo la pasta dalla metà degli anni Ottanta.
“La terra e il cielo” produce 7mila quintali di pasta biologica all’anno, fattura 2,5 milioni di euro (il 70% grazie alla pasta) e commercializza in Italia e all’estero, producendo anche pasta di farro per un colosso della grande distribuzione come Esselunga -col marchio “Montedoro”, 400mila euro di ordini in un anno-. I soci agricoltori sono un centinaio, la maggioranza piccoli produttori dell’entroterra marchigiano, e altri otto sono i soci lavoratori (su 14 dipendenti, i cui stipendi “trasparenti” sono in vista, per tutti, nel grande magazzino di stoccaggio e spedizione della pasta). “Coltiviamo 2mila ettari di terreno”, racconta Bruno. “Molti sono appezzamenti di 4 o 5 ettari: crediamo nella funzione sociale della piccola proprietà, che salvaguardia l’occupazione e l’ambiente rurale”.
“Tra i nostri soci -conclude- ci sono solo agricoltori che dedicano tutta la produzione al biologico”. Quando il prezzo di mercato del grano biologico era di 15 o 16 euro per quintale, “La terra e il cielo” ne ha sempre pagati come minimo 20. Di fronte al “caro grano” dell’estate 2007, quando la quotazione è passata in poche settimane da 25/26 euro a 60 euro, sono stati i soci a chiederci “di continuare a non seguire il mercato”, racconta Bruno. Nell’ottobre scorso è stata convocata un’assemblea straordinaria dei soci de “La terra e il cielo”, “per spiegare loro che se avessimo rincorso il prezzo del mercato avremmo dovuto aumentare del 50% il prezzo finale della pasta”. Contro il caro pasta “La terra e il cielo” ha inventato, insieme ai Gas, il “prezzo dell’economia solidale”: i gruppi d’acquisto prefinanziano la produzione, versando una caparra del 20%, e ottengono uno sconto del 25% sul prezzo finale (0,95 euro per mezzo chilo di pasta bianca, 0,89 per l’integrale). “Sostanzialmente è un prezzo all’ingrosso -dice Bruno-, che ci garantisce un margine del 28-30%, necessario a sopravvivere”. Per “La terra e il cielo” i Gas rappresentano un fatturato di 60mila euro, ma la cooperativa punta molto sulla crescita della vendita diretta: “Per scelta non facciamo pubblicità. Preferiamo organizzare le ‘porte aperte’ in cooperativa, invitando i Gas e chiunque voglia a visitarci: è la migliore promozione possibile” (info: www.laterraeilcielo.it).
La filiera de “La terra e il cielo” è “biodedicata”: la farina integrale (il 50%) è macinata in un vecchio mulino a pietra ad Arcevia. “Nei prossimi anni lo prenderemo in gestione -spiega Bruno-. La produzione, invece, avviene quasi esclusivamente in un pastificio di Teramo, che lavora solo semole biologiche e in massima parte per la nostra cooperativa”.

Consumatori cotti a puntino
Anche se il tempo di cottura è sempre indicato sulla confezione, oggi la pasta “non scuoce” più.
Ma questa non è una virtù, quanto un espediente del marketing, e se la pasta integrale costa più di quella bianca non è perché la farina integrale sia più pregiata (e costosa) della semola di grano duro (vedi box a fianco). Quando una pasta non supera mai la cottura al dente, ad esempio, è perché è stata essiccata ad alta temperatura (dagli 80 gradi in su). Spesso, però, non digeribile.
Da un lato, infatti, le proteine del glutine del grano formano una sorta
di cortina molto compatta all’esterno della pasta, che avvolge l’amido senza farlo uscir fuori durante la cottura (l’amido fuoriuscito è il bianco che resta nell’acqua). Dall’altro, le alte temperature modificano i legami tra le molecole di amido, formando dell’amido retrogradato.
La pasta, allora, “passa inalterata attraverso l’intestino tenue, e, quindi non viene digerita”, come racconta Rita Acquistucci, dirigente dell’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti
e la nutrizione (www.inran.it). Anche il colore della pasta risponde ad esigenza di marketing e mercato: “dev’essere preferibilmente ambrato, un bel colore giallo -spiega ancora Acquistucci-. La pasta, essiccata a bassa temperatura, è generalmente meno colorata di quella essiccata ad alta, a meno che la semola non sia particolarmente ricca in pigmenti”. Ma, riprende Acquistucci, “un grano di ottima qualità si presta ad una essiccazione ‘a bassa temperatura’; in tal modo, il prodotto finito manterrà integre le proprietà nutrizionali della  materia prima”.
Essiccare a bassa temperatura, però, significa tempi più lunghi, produrre meno. E costa di più. Mentre l’alta temperatura consente all’industria di accontentarsi di una miscela di cereali di qualità minore.
I pastifici industriali, in Italia, sono 148, e impiegano 7.904 persone. Nel 2007, hanno prodotto 3,2 milioni di tonnellate di pasta, per un valore di 3,7 miliardi di euro. Oltre il 50% della produzione viene esportata, mentre noi italiani ne consumiamo 27 chilogrammi a testa all’anno, e siamo i primi a livello mondiale. Il mercato è assai concentrato: tra luglio 2007 e giugno 2008 i primi tre produttori
-Barilla, De Cecco e Divella- hanno fatturato il 54,9% dell’intera industria, e un altro 13,1% è in mano ai private label della grande distribuzione (dati Iri). Lo scorso anno (ottobre 2007) l’Antitrust ha avviato un procedimento istruttorio nei confronti dell’associazione di categoria dei pastifici, l’Unione industriale pastai italiani (Unipi, www.unipi-pasta.it), per capire se dietro l’aumento nei prezzi della pasta ci fosse un’intesa restrittiva della concorrenza.
Dopo pochi mesi, l’Autorità ha allargato il procedimento a 29 aziende produttrici di pasta (tra cui Barilla, De Cecco, Divella, Nestlé/Buitoni), aderenti a Unipi. L’istruttoria si concluderà entro novembre.

La cooperativa “Il noce”
I terreni della fattoria “Il noce” occupano cinque ettari nelle campagna di Petacciato (Cb), in Molise. Sono coltivati dalla cooperativa sociale “Il noce”, nata nel 2000, che usa l’agricoltura biologica come veicolo di reinserimento di giovani ex tossicodipendenti, in collaborazione con l’associazione Faced (Famiglie contro l’emarginazione e la droga). Il progetto coinvolge cinque ragazzi, ospiti della fattoria sociale, due assistenti in comunità e un agronomo, Paolo Di Luzio, che è anche presidente della cooperativa. Solo un ettaro è coltivato a grano (il Senatore Cappelli): “Nel 2007 abbiamo prodotto 1.000-1.500 chili di pasta. Purtroppo, abbiamo problemi di commercializzazione”. Mezzo chilo di pasta costa 1,3 euro: Il noce cerca Gas o gruppi e famiglie che la aiutino a smaltire le scorte del 2007.
“Stiamo sperimentando la pasta fresca, fatta in casa e su ordinazione: per il futuro vorremmo limitarci alla filiera corta”. Info: 0875-67.87.22, coopilnoce@libero.it

Un salto anche a Cremona
Iris è una cooperativa nata a Cremona nel 1984 e produce pasta biologica dal 1993. Serve soprattutto gruppi d’acquisto solidale (tel.: 0375-97.115, www.irisbio.com). Nel suo pastificio -il Pastificio Nosari di Piadena (Cr), acquisito nel 2005- lavora anche il grano coltivato nei terreni siciliani confiscati alla mafia e gestiti dalla Consorzio sviluppo e legalità. È la pasta di Liberaterra (tel.: 091-85.77. 655, www.liberaterra.it), in vendita anche nelle botteghe del commercio equo.

Integrale davvero?
Produrre una pasta (davvero) integrale costa meno di quella “bianca”. Perché la pasta è fatta di farina e acqua, e da 100 chili di grano duro si ricavano 92/93 chili di farina integrale, non più di 70 di semola di grano duro. È per questo che la pasta integrale de “La terra e il cielo” costa meno di quella di semola (vedi a p. 13).
Molte “integrali” in commercio, invece, sono più care della pasta di semola dello stesso brand (controllate sugli scaffali dei supermercati). “È possibile produrre integrale aggiungendo crusca o cruschello alla semola; tuttavia, le materie prime utilizzate devono essere riportate in etichetta” spiega Rita Acquistucci dell’Inran.  Ad esempio, la pasta integrale Misura è fatta aggiungendo un 7% di cruschella alla semola di grano duro. E il prezzo finale, 1,49 euro per mezzo chilo, supera del 43% quello della pasta Agnesi (1,04 euro), che appartiene allo stesso gruppo (Colussi). “Sui prezzi gioca il discorso marketing”. In ogni caso, conclude Acquistucci, “almeno in via teorica una pasta integrale dovrebbe costare meno di una pasta di semola”. Come, ad esempio, la pasta biologica integrale di Coop, più a buon mercato della bianca (0,79 euro per mezzo chilo, invece di 0,85). Alla Coop di viale Palmanova, a Milano, mezzo chilo di pasta integrale Barilla costa tra 0,99 e 1,07 euro, il 35% circa in più rispetto alla tradizionale. Inutile chiedere il perché all’azienda, leader mondiale del settore: “Alcune informazioni -rispondono dall’ufficio stampa- sono riservate”.

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati