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Expo, la fretta è nemica della legalità
Manca meno di un anno all’Esposizione Universale del 2015, e i 147 Paesi ospiti aprono i cantieri dei propri padiglioni. Per loro, però, scarsa prevenzione contro le infiltrazioni: l’applicazione del "Protocollo di legalità" è solo falcoltativo. Dopo l’inchiesta della procura di Milano che ha portato a 7 arresti un’altra grana per Expo 2015 spa, legato ai ritardi: chi deciderà -anche all’ultimo momento- di non partecipare non pagherà alcuna penale —
L’Expo potrebbe consegnare all’Italia 1,3 miliardi di euro in appalti. Secondo la stima di Giuseppe Sala, commissario unico di Expo spa, ammonterebbe a tanto l’investimento totale per l’allestimento dei padiglioni che ospiteranno i 147 Paesi iscritti all’Esposizione universale . “È una somma che permette di pareggiare il denaro pubblico italiano che si spende per l’evento” spiega ad Ae il commissario unico di Expo, Giuseppe Sala a margine di una conferenza stampa il 16 aprile. Secondo Sala, gran parte dei soldi in arrivo dall’estero sarà spesa per far lavorare aziende italiane alla realizzazione dei 60 (almeno questa è la previsione di Expo) “padiglioni nazionali”. Ciò che esce dalle casse del nostro erario, in questo modo, rientrerebbe, sotto forma di lavoro. A mettere mano al portafoglio sarebbero soprattutto la Cina, con 50 milioni di euro, gli Stati Uniti e la Germania, con 40, la Russia, con 33 e la Francia con 30.
Tutte spese che al momento non sono certe, perché chi deciderà -anche all’ultimo momento- di non partecipare non riconoscerà alcuna penale, come rivela la Direzione investigativa antimafia. Expo spa si limiterà solo a cedere, gratis, il lotto dove sorgerà il padiglione, poi ogni Paese affiderà i lavori con un appalto privato. Con una differenza fondamentale, in materia di sicurezza e legalità degli appalti: le verifiche che sono obbligatorie per le aziende italiane, quando è Expo spa che commissiona un lavoro, non lo sono per quelle che hanno ricevuto la commessa da un Paese estero. Per loro è solo “facoltativo”.
Lo ha detto la Prefettura al Comune di Milano, e lo ha ribadito la Direzione investigativa antimafia. Durante il passaggio di consegne tra Shanghai, la città che ha ospitato l’Expo del 2010, e Milano l’ha ribadito anche Vicente Loscertales, segretario del Bie (Bureau International des Expositions), la società che organizza le esposizioni universali nel mondo. Nella stessa occasione, lo ha ammesso anche il commissario unico di Expo Giuseppe Sala: “È impensabile che tutti gli Stati sottoscrivano integralmente il nostro accordo di legalità”. Il rischio, però, è che senza adeguate verifiche tra le aziende che si aggiudicheranno gli appalti si infiltrino anche quelle legate a gruppi criminali, sia italiani sia internazionali.
Problematica nota alla società che ha sede in via Rovello, chiamata a vigilare su trasparenza e correttezza delle gare degli appalti stranieri. Ma la partita per decidere quali regole far seguire ai partecipanti esteri è ancora aperta: “È da un anno che chiediamo di affrontare il tema, ma finora non abbiamo avuto risposte chiare”, commenta David Gentili, presidente della Commissione consiliare antimafia.
Non che i lavori affidati da Expo spa, per altro, siano al sicuro: l’unica mossa a difesa della trasparenza delle gare è la firma del Protocollo “Expo mafia free”, che risale al novembre 2013. E che è obbligatorio solo per le aziende italiane. Il documento demanda alla Direzione investigativa antimafia e al Gicex, Gruppo interforze centrale di Expo 2015, un organismo “info-investigativo”, il compito di stanare le aziende in odore di mafia. Prima che entrino nei cantieri, attraverso l’incrocio di database con informazioni sensibili e controlli preventivi. A dirigere l’orchestra della legalità, la Prefettura di Milano: corso Monforte stila la “white list” delle aziende pulite, quelle già sottoposte alle verifiche antimafia che aderiscono alle linee guida che la Prefettura ha stabilito insieme ad Expo spa nel Protocollo per la legalità, sottoscritto nel febbraio 2012.
Oggi, però, non c’è margine per effettuare gli stessi controlli a tutti. Il 14 aprile anche il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni ha chiesto ad Expo di sbrigarsi: la “piastra”, l’area di quasi 100 ettari dove sorgeranno i padiglioni, deve essere completata entro fine anno, per poter poi concludere le rifiniture entro i primi mesi del 2015.
Nel frattempo il cantiere tra Rho e Milano si trasformerà, almeno fino a settembre 2014, in una Babele di operai. Solo la Germania, l’unica che nell’accordo con Expo spa ha deciso di costruire in autonomia anche le fondamenta del padiglione, ha già cominciato i lavori, il 2 aprile. Il margine per poter accumulare ritardi è finito, altrimenti all’apertura dei cancelli, prevista per il primo maggio 2015, i visitatori troveranno ancora le ruspe che movimentano la terra. E al 16 aprile, solo 26 lotti sono stati assegnati ai Paesi stranieri.
Uno di questi è il Messico, un caso emblematico: per quanto in Italia lo si descriva come un Paese dove andare a investire (“L’Italia scommette sul Messico, che sarà uno dei Paesi leader i questo secolo”, diceva l’ex premier Letta a metà gennaio), gran parte dell’economia, anche legale, è infettata dai soldi della droga. Solo il cartello di Sinaloa, il più potente, possiede 3.500 aziende in 47 Paesi diversi. “La nostra preoccupazione, che vale per tutti i cantieri stranieri, è che non si riesca a controllare l’origine dei soldi e delle aziende chiamate per Expo -spiega Stefano Fumarulo referente di Libera internazionale per il Messico-. Ci si affida alla serietà dei controlli degli stessi Paesi, ma bisogna fare attenzione”. La difficoltà dei controlli sui padiglioni stranieri potrebbe aprire le porte alle aziende infiltrate dai cartelli della droga, o peggio, potrebbe permettere di riciclare denaro sporco attraverso la realizzazione del padiglione per Expo. “Libera esprime una preoccupazione politica: prima di invitare qualcuno bisognerebbe conoscerlo bene e darne un’informazione corretta” aggiunge Fumarulo. E in Italia, al contrario, poco si sa di quanto il Paese fosse vicino ai cartelli, durante le presidenze di Vicente Fox e di Felipe Calderon (dal 2000 al 2012): “L’intera struttura della Polizia federale e del ministero della Giustizia federale erano infiltrati da elementi di spicco del cartello di Sinaloa”, sostiene Edgardo Buscaglia, ricercatore in economia e legge della Columbia University esperto di cartelli del narcotraffico. Il fatto spiegherebbe anche il successo internazionale del cartello di Sinaloa che oggi “si è espanso in 58 Paesi, dove è coinvolto in 22 tipi di reati economici transnazionali”. Alcuni esponenti del governo Calderon sono in Italia.
C’è chi dubita sull’efficacia dei protocolli per la garanzia di legalità e trasparenza di Expo, quelli che -è bene ribadirlo-, per i Paesi stranieri nemmeno sono obbligatori: “Non fermano le infiltrazioni. Il Protocollo di legalità del 2012 fino ad oggi non ha funzionato”, dice il sottosegretario al ministero della Giustizia Cosimo Ferri, ex magistrato, in visita a Milano il 10 aprile per la presentazione di uno studio di monitoraggio sul modo in cui la stampa estera ha parlato di Expo. “Fino ad oggi c’è stata poca trasparenza e troppi ritardi sugli appalti” rincara. Per di più, le armi di chi svolge le indagini sono spuntate. Lo afferma segretario Daniele Tissone, del sindacato dei poliziotti Silp Cgil: “I lavori dei padiglioni stranieri (a parte le fondamenta) saranno direttamente realizzati dai Paesi, e quindi con contrattualistica di regime privato e non pubblico. Ci si chiede se sarà possibile effettuare i controlli antimafia, visto il regime civilistico”. Gli agenti della Dia del settore appalti, quelli a cui è affidato il lavoro d’indagine, “non hanno neanche una linea internet a disposizione e sono costretti ad utilizzare strumenti personali per ricerche con fonti aperte”, aggiunge. “Il timore è che non si riesca nemmeno ad accorgerci di chi sta dentro i cantieri dei padiglioni stranieri”, nota David Gentili, presidente della Commissione consiliare antimafia del Comune di Milano. Diventa difficile persino decidere chi mettere nel mirino, se non si possono raccogliere informazioni. Secondo Gentili, arrivati così a ridosso dell’evento, l’unica speranza è trovare qualche ambasciatore che sia in grado di sensibilizzare i Paesi stranieri sul tema infiltrazione e promuova i Protocolli, che -per quanto limitati- sono gli unici strumenti al momento disponibili. “In teoria chiunque voglia venire a lavorare qui deve aprirsi una partita Iva in Italia e sottostare alle nostre regole”, spiega Renato Zambelli, responsabile Expo di Cisl. Quello che va capito è in quanti lo faranno veramente. I tempi così ristretti impediranno la ligia applicazione dei protocolli. E poi c’è l’enorme tema lavoro: in che condizioni saranno gli operai? Come sarà possibile controllarli? Come sarà possibile imporre i vincoli italiani? Difficile immaginarselo ora. Quel che è certo è l’attesa per almeno 2mila lavoratori da Paesi extracomunitari. I ministeri del Lavoro e dell’Interno hanno riservato loro una voce del decreto flussi di quest’anno. L’ipotesi del Dipartimento immigrazione del ministero del Lavoro è che questi posti saranno riempiti subito da chi deve venire per realizzare i padiglioni. Che oggi, anche se il primo maggio 2015 si avvicina sempre di più sono ancora dei rendering, un semplice miraggio. —