Interni / Attualità
“L’Europa inizia a Lampedusa”. Il viaggio degli studenti sull’isola
Il progetto voluto dal Comitato 3 Ottobre e che riunisce superstiti e familiari per sensibilizzare sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza, nel 2019 ha toccato il record di partecipazione: oltre 250 studenti da 20 Paesi europei. Il racconto di ragazzi e insegnanti di Siena
“Lampedusa è una bolla, una bolla sotto i riflettori, ma è come se fosse in un altro mondo, a Lampedusa il tempo si ferma, e tu ti estranei da tutto”. “Lampedusa è un’esperienza che ti cambia dentro, ti dona gli strumenti per effettuare un’importante presa di coscienza da cui poi partire per crescere veramente. È un processo doloroso, ma necessario”. Sono parole di alcuni fra gli 11 ragazze e ragazzi della scuola Monna Agnese di Siena (liceo Linguistico e Istituto tecnico di biotecnologie), appena tornati da un viaggio speciale. Con le loro insegnanti e con altri studenti di una scuola partner di Valencia, l’IES Abastos, si sono uniti a giovani di tutta Europa e hanno trascorso cinque giorni a Lampedusa, per commemorare il naufragio del 3 ottobre 2013 e comprendere meglio la realtà delle migrazioni.
Inaugurato nel 2015, “L’Europa inizia a Lampedusa” è un progetto voluto dal Comitato 3 Ottobre (https://www.comitatotreottobre.it/) che riunisce superstiti e familiari per sensibilizzare sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza. Quest’anno la partecipazione ha toccato un record: oltre 250 studenti da 20 Paesi europei. Sull’isola i ragazzi hanno visitato luoghi di memoria, seguito laboratori didattici, incontrato abitanti e sopravvissuti al naufragio, per poi partecipare, il 3 ottobre, alla commemorazione delle 368 vittime.
“Toccare con mano è diverso che sentire raccontare le cose”, dice Maria De Nicola, insegnante al Monna Agnese. “Un’esperienza intensa, che è stato bello vivere insieme ai ragazzi”. Andare a Lampedusa vuol dire, innanzitutto, ribaltare luoghi comuni e stereotipi. “Ero convinta di trovare molta disperazione, di vedere ondate di immigrati che giravano per la città, invece è tutto il contrario”, dice Giulia, diciassette anni. “Questo viaggio mi ha cambiato, mi ha fatto vedere la realtà dei fatti”, racconta Clelia “Mi aspettavo di arrivare e di trovare il caos, polizia da tutte le parti, forze dell’ordine. Pensavo anche che i lampedusani fossero arrabbiati con i migranti. Invece parlando con gli abitanti abbiamo scoperto che sono i primi ad aprire le porte, anche dopo il 3 ottobre hanno accolto questi ragazzi, trattandoli come figli”. Tra i momenti più toccanti, gli incontri con i sopravvissuti e i testimoni. Come Vito Fiorino, che di lavoro fa il gelataio e che quella notte è stato il primo a soccorrere i naufraghi: “Lui era in barca con degli amici, erano andati a pesca -racconta Alice-. Hanno sentito delle grida, lui pensava fossero gabbiani. Sono andati al largo, hanno visto tutte queste persone in mare, hanno provato a lanciare un salvagente. Le persone non riuscivano ad allungare la mano, non avevano forze. Ha cercato di salvarne il più possibile”. Clelia descrive con commozione “quel signore, forse siriano, dell’età di mio padre che ha perso i suoi due bambini, la sua faccia, una tristezza infinita che ti prende e che ti avvolge”.
Per ognuno di loro, in quei giorni, c’è stato un momento particolare di empatia e di commozione, che ha aperto gli occhi alla consapevolezza. “C’è stato un video, al museo, che ha cambiato il mio modo di vedere -dice ancora Clelia- immagini molto forti, crude, di corpi e oggetti personali sulle imbarcazioni. In quel momento mi sono resa conto che non sono solamente numeri ma persone, che hanno un nome e un cognome, delle famiglie, delle storie”. Per molti è stato il giorno della commemorazione, quando, dopo la marcia alla “Porta d’Europa”, sono andati sui pescherecci fino al luogo del naufragio e lì hanno deposto delle corone di fiori in mare: una “invasione di emozioni”, come dice Lucrezia. Per Patrizia Brogini, un’altra insegnante che ha accompagnato i ragazzi, il valore formativo dell’esperienza è legato anche ai workshop (svolti da organizzazioni come UNHCR, Save the Children o Medici senza Frontiere), dove giovani di diversi Paesi europei hanno lavorato insieme in più lingue. “Finché non abbiamo percentuali, documenti, testimonianze, la riflessione resta superficiale. Partecipare ai laboratori permette di riflettere e di parlare con dati oggettivi: sapere, ad esempio, che l’Italia è uno dei Paesi con una minore percentuale di immigrati. È un tema così complesso che andare lì e comprendere di non avere capito è già un grande passo avanti”.
Tareke Brhane, trentadue anni, di origine eritrea, già mediatore culturale e presidente del Comitato 3 Ottobre, ha voluto con forza questa iniziativa. “L’impegno del Comitato -dice- ha portato nel 2016 alla legge sul Giorno della memoria e dell’accoglienza, approvata prima dal Parlamento italiano e poi da quello europeo. Nello stesso tempo abbiamo deciso di coinvolgere le scuole”. Dopo le prime edizioni, sostenute dal Fondo asilo migrazione integrazione (FAMI, e un concorso del ministero dell’Istruzione premiava i migliori lavori degli studenti sull’immigrazione con il soggiorno a Lampedusa) nel 2018, con il governo Lega-Movimento 5 Stelle, i finanziamenti si sono interrotti di colpo. Lo racconta Grazia Rossi, insegnante del Monna Agnese: “Nel 2017 abbiamo partecipato per la prima volta, con quattro ragazze premiate dal ministero dell’Istruzione. L’anno dopo il bando c’è stato ma il ministero ha taciuto, non è uscita neanche la graduatoria. Con qualche altra scuola, abbiamo contattato il Comitato e abbiamo deciso di partire anche senza soldi. Abbiamo trovato fondi residui, ma gli studenti hanno dovuto pagare di più”.
Nel 2018 nessuna scuola europea ha partecipato e i docenti italiani hanno letto pubblicamente la loro protesta. Quest’anno, anche prima del cambio di esecutivo, il MIUR si è attivato, con la Direzione generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione, finanziando l’iniziativa; per l’anno prossimo è già uscito il bando di concorso. Novità del 2019 è stato il partenariato sistematico europeo: ogni scuola italiana ha ricevuto un finanziamento per “invitare” una scuola partner a Lampedusa.
Se non tutti i ragazzi, come ovvio, possono andare sull’isola, ci si può chiedere quale spazio ci sia, nella routine di una scuola, per parlare di immigrazione. “Insegnando storia, il programma offre molti spunti -risponde la professoressa Brogini-. Io mi collego sempre alle grandi migrazioni di fine Ottocento e inizio Novecento, quando i migranti eravamo noi. Lo spazio non c’è mai, va cercato e costruito. Anche con il nuovo insegnamento di Cittadinanza e Costituzione. Ma è un tema che dovrebbe essere condiviso da tutti i docenti, a prescindere dalla materia”. Anche per questo, “L’Europa inizia a Lampedusa” continua tutto l’anno con il progetto Semi di Lampedusa. I ragazzi che sono partiti raccontano agli altri che cosa hanno visto, ad esempio con video, testi o altri materiali. I membri del Comitato 3 Ottobre incontrano le scuole. “Io vedo circa 8.000 studenti all’anno -dice Tareke Brhane- e quando chiedo chi ha mai incontrato un rifugiato, la maggioranza dice ‘no’. Quando si entra nell’argomento i ragazzi sono attenti e interessati. Non vogliamo far cambiare opinione, solo dare strumenti per approfondire un fenomeno complesso”. Intanto, cresce il network delle scuole europee che hanno fatto l’esperienza di Lampedusa: “Sul sito del Comitato c’è una mappa interattiva, si potrà accedere a tutti i materiali prodotti dalle scuole. L’obiettivo è che la rete produca dei contenuti comuni europei”.
Dopo il viaggio, le ragazze e i ragazzi di Siena tornano alla vita di tutti i giorni, ma con occhi nuovi, più aperti. “Anche io mi ero fatto un po’ ingannare da Internet -ammette Matteo- e vorrei dire a chi è intorno a me: Non guardate i social media. Anche se è difficile, consiglio a tutti un viaggio a Lampedusa, è l’unico modo per capire”. Alla domanda “Che cosa vuol dire accoglienza?”, Ophelia infatti risponde: “Rendere liberi. Accogliendo una persona stai donando la vita a chi è stato privato del diritto di viverla. Che cos’hanno di diverso da noi? E poi, cosa hanno fatto questi italiani per essere italiani? Sono solo nati nel posto giusto”.
© riproduzione riservata