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Effetto Rosarno

Dopo gli scontri di gennaio che hanno rivelato le condizioni dei migranti negli agrumeti calabresi, l’impegno delle reti e dei gruppi di acquisto solidali I braccianti migranti africani riusciranno a salvare l’agricoltura italiana e la giustizia sociale? Il sasso nello…

Tratto da Altreconomia 115 — Aprile 2010

Dopo gli scontri di gennaio che hanno rivelato le condizioni dei migranti negli agrumeti calabresi, l’impegno delle reti e dei gruppi di acquisto solidali

I braccianti migranti africani riusciranno a salvare l’agricoltura italiana e la giustizia sociale? Il sasso nello stagno, loro l’hanno davvero gettato.
“Effetto Rosarno”. Avrà forse un’accelerata un progetto a Villa San Giuseppe, nel reggino, duecento ettari ad aranceti intorno alla fiumara. Là, l’associazione Panthera -ex giovani scout- ha creato la cooperativa sociale “Vallata del Gallico”, che -spiega Ciccio Perrelli- “offrirà manodopera regolare ai piccoli produttori locali delle arance Belladonna per le attività di produzione, imballaggio e distribuzione delle arance, consentendo il recupero di terreni abbandonati nella vallata del Gallico, e un lavoro degno a giovani del posto, e speriamo ad alcuni dei numerosi stranieri che risiedono stabilmente nella vallata. La sfida è rendere conveniente per i produttori affidare alla cooperativa le attività di coltivazione e raccolta delle arance”. I produttori interessati si riuniranno in consorzio, con marchio di prodotto per la tracciabilità delle arance e regole rigide: catasto degli aranceti, per controllare la provenienza delle arance e la relativa proprietà; disciplinare di produzione anche rispetto alle tecniche colturali.  
La cooperativa di lavoro è nata; ma intanto Panthera da oltre un anno favorisce la vendita diretta sia regionale che a un gruppo di Gas toscani in collaborazione con Esperia, l’associazione dei calabresi di Pisa, e al neonato “Gastretto” di Reggio Calabria. “Certo, dopo Rosarno abbiamo avuto una caduta di ordini. La Calabria era tabù. Siamo andati a spiegare, hanno capito”. Come tenere lontana la malavita? “Pensiamo che le regole che stiamo adottando -prezzi certi, regole precise nelle modalità di produzione e raccolta- non siano particolarmente interessanti per la ‘ndrangheta… e ci vorrà continua vigilanza”.
La ripartizione del prezzo finale? Finora Panthera ha fatto così: 50 centesimi al produttore (al quale si chiede di dimostrare la regolarità delle assunzioni tramite busta paga), 50 per la raccolta, imballaggio, trasporto, promozione. E 35 centesimi per il trasporto, con affitto di camioncini esterni. Un costo da abbattere, certamente.
Effetto Rosarno. Un “gruppo d’acquisto arance bio siciliane”, nato per caso all’inizio dell’anno nella Sabina reatina grazie ai contatti con l’associazione Attinkité di Modica, ha conosciuto un piccolo boom di ordini subito dopo la caccia agli africani; sembrava che molti non se la sentissero più di acquistare arance anonime. Moltiplicazione delle richieste anche per l’associazione Biorekk di Padova che distribuisce ai soci le cassette di ortofrutta della cooperativa bio El Tamiso. Le arance vengono da un socio di vecchia data del Tamiso, un’azienda calabrese in zona Rosarno: la Toraldo di Calimera, “pionieri del biologico e della legalità, gestione diretta e con due dipendenti fissi, non hanno stagionali, lavorano man mano che ricevono gli ordini” dicono Franco del Tamiso e Matteo di Biorekk, convinti che il mercato diretto ed equo abbia un grande futuro. “Il tema del lavoro fa esplodere le contraddizioni; la catena degli sfruttamenti si rompe se a valle la gente disponibile viene messa in grado di scegliere”. Le arance di Calimera, bio e di ottime, sono pagate al produttore fra i 67 e i 70 centesimi e vendute a poco più di un euro.
Effetto Rosarno. “Beh, per noi l’effetto è stato un aumento delle e-mail…” scherza Roberto Li Calzi, coordinatore del consorzio siciliano “Le galline felici”, quindici agricoltori che da anni vendono agrumi e altre delizie interamente ai Gas, “realizzando l’equazione impossibile di un basso prezzo finale e di un ottimo prodotto” dicono orgogliosi. Sono anche fra i promotori dell’arcipelago Siqylliah, nato “per trovare sbocchi degni a centinaia di piccoli produttori di cibo di qualità costretti altrimenti a svenderlo”. Quale rapporto fra le Galline felici e gli stagionali? “Alcuni soci fanno tutto da sé, altri hanno uno o due operai fissi con contratti a tempo indeterminato, ma per il grosso di raccolta e potatura ci avvaliamo di operai stagionali. Messi in regola, chiedono di essere pagati a cottimo, così da portare a casa fino a 90, 100 euro al giorno. Gli operai che lavorano in magazzino ricevono la paga sindacale giornaliera, più vari extra, dovuti e non dovuti. Da queste parti l’economia delle arance è la base per interi paesi e famiglie; il lavoro stagionale, insieme ai sussidi di disoccupazione per i mesi di non lavoro, fa un reddito da operaio. Di migranti qui se ne vedono proprio pochi, tanto più adesso in tempi di crisi”.
Effetto Rosarno. Torniamo in Calabria. Spiega Tonino Perna, economista reggino docente universitario a Messina, tra i fondatori di Ae e impegnato nell’economia sociale: “Lo sdegno deve diventare una leva di cambiamento. Attraverso i Gas e altre reti si potrebbe dar vita finalmente, anche nel nostro Paese, a un commercio equo che vada oltre la nicchia dei consumatori solidali”. Come? “Intanto in Calabria ci sono tre Comuni dell’accoglienza: paesi abbandonati rinati proprio aprendo le porte agli immigrati, più spesso rifugiati. Riace è il più famoso di tutti; Caulonia  ha accolto dalla scorsa estate ottanta profughi che Pantelleria voleva espellere; Acquaformosa si è unita da poco ospitando cinque ragazzi fuggiti dalla caccia al nero a Rosarno. A partire da lì abbiamo pensato di lanciare il marchio slavery free. Con la costituzione di questi giovani africani in cooperative per contratti di fair trade con i produttori locali disponibili a garantire salari e condizioni di lavoro degne”.
Effetto Rosarno. I Gas denunciano l’irresponsabilità della grande distribuzione organizzata, con i prezzi irrisori al produttore; ma la filiera corta deve significare anche equità. Giuseppe Vergani della Retina dei Gas Brianza dice: “Ho portato alla riunione che prepara l’assemblea della rete nazionale la proposta di un marchio slavery free. Generale entusiasmo. Ci vuole un marchio gestito dal basso. Un marchio senza deleghe. È fondamentale la partecipazione dei Gas e delle reti contadine”. Effetto Rosarno.

Le radici della crisi
Anche all’estero contratti capestro e tuguri per gli stagionali

Tende di plastica e lamiere fra serre e frutteti. Non è Rosarno, non è nemmeno il casertano e non è la Puglia. È la regione ortofrutticola francese Bouches du Rhône. Dove la  “normalità” dei lavoratori stagionali è fatta di contratti capestro, lavoro fra i veleni e tuguri come alloggio. Là nei mesi di raccolta si concentrano ogni anno almeno quattromila operai stranieri, con i contratti detti “Omi”, derivanti dagli accordi bilaterali tra Francia, Marocco, Tunisia e Polonia relativi alla manodopera. Nel luglio 2005, riporta il dossier Les Omis del collettivo locale Codetras a difesa dei diritti dei migranti, fece scalpore il primo sciopero di massa di questi stagionali. Da un anno rivendicavano invano la paga per gli straordinari. Incrociarono le braccia in piena raccolta e riuscirono a farsi pagare.
Gli abusi a danno degli anelli più deboli della catena agroalimentare sono diffusissimi in Francia, Spagna, Grecia e naturalmente Italia. I reportage raccolti nel libro Les nouveux esclaves du capitalisme (“I nuovi schiavi del capitalismo”) di Patrick Herman, giornalista e agricoltore francese, sono una discesa negli equivalenti moderni ed europei dei campi di cotone del Nuovo Continente.
Andalusia, Spagna del Sud: agrumi, fragole, latifondisti e grosse agenzie di servizi all’agricoltura che sfruttano manovalanza straniera, irregolare, precarissima. “Non c’è bisogno di avere terra per spremere un migrante; si mette su un’impresa che compra il prodotto in campo e lo raccoglie”, spiegano gli attivisti del Soc, sindacato andaluso di braccianti riuscito qualche tempo fa a trasformare in solidarietà una situazione di concorrenza al massacro fra migranti: con i romeni che accettavano anche 15 euro al giorno, i nordafricani che protestavano, gli abitanti del posto a dire che gli stranieri rubavano il lavoro e se ne dovevano andare. Il Soc è membro della Vía campesina, movimento internazionale “economicamente e politicamente autonomo, fatto di contadini, coltivatori piccoli e medi, senzaterra, donne rurali, popoli indigeni, giovani rurali e lavoratori agricoli”, 148 organizzazioni aderenti in 69 Paesi. La sua sezione europea (Ecvc) ha da tempo messo in piedi il gruppo di studio “lavoratori stagionali, migrazione e agricoltura”, che critica il silenzio connivente delle grosse organizzazioni agricole sul trattamento degli stagionali migranti. Ma accusa anche il modello industrialista favorito dalla Politica agricola comune (Pac): “Gli irrisori prezzi al produttore (inferiori anche del 600% rispetto a quelli al consumo) non lasciano scelta agli agricoltori: o sfruttarsi o sfruttare qualcuno, i braccianti. Il potere schiacciante dell’industria agroalimentare fa scomparire centinaia di migliaia di unità agricole, costringendo intere popolazioni rurali all’emigrazione interna o transfrontaliera verso bacini di lavoro soprattutto agricolo spesso precari” si legge nei documenti del movimento. Che denuncia anche un vero corto circuito: le esportazioni agricole in dumping (ovvero sotto costo) rese possibili dalle sovvenzioni della Pac recano una concorrenza imbattibile agli agricoltori africani, costringendoli alla fine a emigrare in Europa. A essere sfruttati come stagionali.
Dunque non è solo questione di ‘ndrangheta e lupare, anche a Rosarno. Pochi giorni dopo i noti fatti, i ricercatori Elisabetta Della Corte e Franco Piperno ne hanno spiegato il modello economico locale. I proprietari terrieri, anche piccoli, dagli anni 90 fino al 2008 ricevevano contributi “a prodotto” dall’Ue e -barando sulla quantità prodotta- si garantivano in media 8.000 euro a ettaro malgrado i bassissimi prezzi al produttore, pochi centesimi al chilo. Per gli stagionali locali c’era la protezione dell’Inps, con elenchi falsi e senza fine. Ovvero percepire l’indennità di disoccupazione e svolgere -in nero- altri lavori, lasciando negli aranceti la fatica flessibile e a prezzi stracciati dei migranti soprattutto africani. Questa truffa di massa, spiegano Della Corte e Piperno, finisce nel 2008. Quando accadono tre cose micidiali: primo, la Pac passa a dare i contributi a ettaro, non più a prodotto, così che quasi non conviene più raccogliere. Secondo, la crisi finanziaria fa ulteriormente crollare il prezzo delle arance sul mercato internazionale. Terzo, sempre per la crisi, a Rosarno arrivano molti più migranti licenziati dalle fabbriche del Nord. E le braccia prima preziose diventano un peso. Ecco, insieme al controllo esercitato dalla malavita sulle attività economiche, la genesi della caccia al nero. “Chiediamo da tempo all’Europa di garantire aiuti speciali per le piccole aziende, di condizionare gli aiuti della Pac legandoli al rispetto delle leggi sul lavoro e delle convenzioni internazionali in materia, e perfino di tagliare i fondi a quegli Stati che non le fanno rispettare”, spiega Fabrizio Garbarino dell’Ari (Associazione rurale italiana), socia di Via Campesina. Si chiede anche di favorire le filiere corte locali, farla finita con il dumping internazionale, istituire un osservatorio sulla situazione del lavoro nelle campagne. E di riconoscere in qualche modo l’esistenza dei lavoratori agricoli fantasma, quelli senza permesso di soggiorno. Lo chiede anche l’Assemblea di quelli fra i lavoratori africani di Rosarno che sono “emigrati” a Roma. Nel loro appello scrivono: “Mandarini, arance e olive non cadono dal cielo. Le nostre mani li raccoglievano. Siamo attori della vita economica di questo Paese, le cui autorità non vogliono vederci né ascoltarci”.
I lavoratori, molti dei quali sono tuttora ‘rifugiati’ alla stazione Termini (altri sono ospitati nel centro sociale ex Snia, che li segue con uno sportello legale), chiedono l’estensione a tutti del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie concesso ai feriti.

Arance metalmeccaniche
La crisi aguzza la fantasia. Il notissimo film “Arancia meccanica” ha ispirato, ma solo nel titolo, l’iniziativa partita da alcuni circoli della Federazione della sinistra come forma di solidarietà con i lavoratori in lotta dell’Eutelia, e poi diffusasi in tutta Italia: le arance metalmeccaniche sono agrumi biologici siciliani venduti in modo militante tramite banchetti in diverse città, con un incasso fifty-fifty: una retina di 3 chili costa 5 euro; 2,5 vanno ai contadini siciliani, 2,50 a lavoratori in lotta. Così, oltre alle iniziative per la Eutelia, in diverse città della Sicilia l’incasso è andato a vantaggio dei lavoratori Fiat di Termini Imerese, a Soriano nel Cimino per quelli dell’Eutelia, in Polesine agli operai della Bassano Grimeca, a Venezia a quelli dell’Alcoa di Porto Marghera, a Montecatini per quelli della Answers di Pistoia, a Monteroni di Lecce per quelli di Adelchi, a Siena per quelli della Whirlpool… Info: www.aranciametalmeccanica.net

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