Effetti collaterali – Ae 71
La Val Bormida oggi: qui è partita una delle più imponenti operazioni di bonifica mai realizzate in Italia. Ogni settimana parte per la Germania un convoglio di 16 vagoni. Ma tutto è stato messo a rischio dal progetto di nuova…
La Val Bormida oggi: qui è partita una delle più imponenti operazioni di bonifica mai realizzate in Italia. Ogni settimana parte per la Germania un convoglio di 16 vagoni. Ma tutto è stato messo a rischio dal progetto di nuova legge ambientale del governo
Oggi, per chi viene da fuori, Cengio si presenta come una periferia senza centro. Uno sfilare silenzioso di case segnate dal tempo, muri scrostati e neri di fumo, finestre sbarrate, balconi senza fiori. Palazzine anonime e cortili che anche in estate, con il sole a picco, hanno la desolazione di novembre. L’Acna è chiusa: stanno facendo la bonifica. Ogni settimana parte per la Germania un convoglio di sedici vagoni con un carico di 500 sacchi di sali sodici. Da una ciminiera esce una colonna di fumo. Fumo grigio che si arrampica fino in cielo a sciogliersi nell’azzurro. Tutto si scioglie, un elemento nell’altro, molecola con molecola. E resta appena una traccia, una sfumatura. Nella frazione di Genepro, a ridosso del passaggio a livello, una schiera di case in rovina si affaccia sulla fabbrica. Alcune sono abitate. In un giardino ingoiato dalle erbacce ci sono panni stesi e un’altalena. E dietro, ad un passo, i capannoni, i mattoni rossi degli edifici in disuso, gli occhi spalancati delle finestre vuote, le ciminiere, i serbatoi, le passerelle, il groviglio delle condotte, i lagunaggi, le acque dense e immobili delle vasche di decantazione, i teloni di plastica, i camminamenti di ghiaia e detriti, le ortiche, i binari. Più lontano, l’ansa del fiume.
La storia dell’Acna (Aziende colori nazionali e affini) e della Valle Bormida è una storia di cento anni di inquinamento selvaggio, di collusione criminale tra potere politico e industriale e di lacerazioni del tessuto sociale di un intero territorio e, come sottolinea il giornalista Aldo Grasso, rappresenta “l’immagine più drammatica di quell’entità ansiosa che si chiama costo dello sviluppo”. Ed è una storia assolutamente emblematica, sia per il suo svolgimento sia per le problematiche legate alla bonifica del sito.
L’Acna nasce come dinamitificio nel 1882 a Cengio, in provincia di Savona, a pochi metri dal confine con il Piemonte. In breve diviene la principale fabbrica della zona, arrivando ad occupare 6 mila persone e generando una profonda frattura tra mondo rurale e nuova realtà industriale. L’inquinamento delle acque si estende in territorio piemontese lungo la valle Bormida fin oltre Alessandria, a più di 100 chilometri di distanza, rendendo impossibile qualunque forma di attività agricola.
Dopo la prima guerra mondiale l’azienda si converte alla produzione di coloranti e intermedi per la chimica, mantenendo però la possibilità di essere riconvertita a produzioni belliche -data l’affinità del processo produttivo- e conservando pertanto l’interesse strategico per lo Stato, mentre gli abitanti della valle cominciano a sollevare accese proteste, denunciando l’impossibilità di utilizzare l’acqua dei pozzi.
In seguito l’Acna diviene di proprietà della Montecatini (poi Montedison). Sul finire degli anni Trenta i contadini intentano una causa contro la fabbrica e, dopo un’attesa durata 24 anni per i continui rinvii, vengono condannati al pagamento delle spese processuali da una sentenza che sostiene che gli scarichi della fabbrica sono fertilizzanti.
Gli anni Cinquanta vedono nelle province di Cuneo e Alessandria una massiccia mobilitazione popolare contro l’Acna, che non sortisce però alcun effetto, soprattutto a causa di conflitti di responsabilità a livello istituzionale: l’amministrazione competente è infatti quella ligure (nel cui territorio sorge l’impianto e si avvertono maggiormente i benefici occupazionali), mentre gli effetti più gravi dell’inquinamento sono in territorio piemontese. In questi anni l’Acna costituisce un posto di lavoro maledetto e ambìto al tempo stesso, una delle poche opportunità di avere uno stipendio sicuro alla fine del mese, e “per un posto a Cengio” si ricorre alla mediazione di parroci, sindaci, sindacalisti e onorevoli. A chi lavora nei reparti dove si trattano le sostanze a più elevata tossicità (a cui si accede attraverso quella che gli operai hanno eloquentemente battezzato come “via della morte”), l’azienda riconosce in busta paga la cosiddetta ”indennità penosa”, monetizzando così il rischio per la salute. Agli operai del reparto Basi viene dato da bere il latte, che è un disintossicante, mentre per quelli del reparto Betanaftilammina (sostanza che ha un’azione cancerogena sulla vescica) c’è il tè, che favorisce la diuresi. L’azienda si preoccupa inoltre di destinare alle lavorazioni più pericolose gli operai più anziani, in quanto nell’età avanzata il cancro tende a svilupparsi più lentamente. Il medico di fabbrica, prodigo di rassicurazioni nei confronti dei lavoratori che lamentano disturbi alla salute, è sul libro paga dell’azienda e il sindacato si batterà a lungo per ottenere il suo passaggio alle dipendenze di un ente pubblico. Le osservazioni mediche interne condotte dall’Acna nell’arco di oltre un decennio mostrano che meno della metà dei lavoratori tenuti sotto controllo possono ritenersi in condizioni di salute normali: tutti gli altri soffrono di lesioni o forme tumorali.
E mentre una Commissione ministeriale dichiara che il fiume Bormida è “biologicamente morto”, a Cengio mamma Acna gestisce il cinema, il teatro, il dopolavoro, la biblioteca, lo spaccio, il bar, la sala giochi, lo sportello bancario, il campo di calcio, il campo da tennis, il campo da pallavolo, le colonie estive per i figli dei lavoratori, la spiaggia in riviera per gli operai e le famiglie, arrivando anche a mettere suoi dipendenti sulle poltrone di sindaco e assessore: in sintesi, l’Acna controlla se stessa.
Nel 1987 la valle Bormida viene dichiarata “area ad elevato rischio ambientale”. Nello stesso anno nasce l’Associazione per la rinascita della Valle Bormida, “un impegno collettivo per avere finalmente giustizia, per poter crescere i propri figli in una valle non degradata a fogna, e per progettare e realizzare occupazione e sviluppo” (parole dell’indimenticato Renzo Fontana, anima del movimento e fondatore del giornale Valle Bormida Pulita), perché l’inquinamento industriale ha sottratto all’economia agricola della zona qualcosa come 5 mila posti di lavoro. Nel frattempo l’Acna, dopo la vicenda Enimont, passa in mano allo Stato, all’interno del gruppo Eni.
Nell’aprile ‘89, in seguito all’ennesima fuoriuscita di percolato inquinante, i valligiani iniziano un presidio in prossimità dello scarico. Per 31 giorni e 31 notti centinaia di persone di ogni età, professione e livello sociale, provenienti da ogni angolo della valle, rimangono accampate sul greto del fiume, attirando l’attenzione delle tv e dei giornali. Il presidio viene rimosso con la forza, nottetempo, da una squadra antisommossa in assetto da guerra.
L’Associazione Resistenza fronteggia l’immobilismo del governo e guida la protesta organizzando cortei e azioni eclatanti anche dal punto di vista mediatico (come gli scioperi elettorali, le dimissioni congiunte dei sindaci della valle, il blocco del Giro d’Italia e la protesta al Festival di Sanremo), proponendo progetti di sviluppo alternativo, creando collegamenti con altre strutture e istituzioni e dando vita ad una vera e propria “seconda resistenza”: grazie a questa massiccia e a tratti epica mobilitazione popolare, sostenuta da alcune istituzioni locali e organizzazioni ambientaliste e osteggiata dal sindacato (contrario da sempre all’ipotesi di chiusura della fabbrica), viene accantonato il progetto di realizzare un inceneritore di rifiuti all’interno dello stabilimento e nel 1999, dopo un lungo ed estenuante braccio di ferro, l’Acna viene chiusa e per 230 operai scatta la cassa integrazione.
La società Syndial (appartenente al gruppo Eni), sotto la guida del Commissario straordinario per la bonifica Stefano Leoni, intraprende quella che si prospetta come la più imponente operazione di bonifica mai avviata in Italia, intervenendo sui lagunaggi e sui terreni sottostanti il sito, nei quali è stata rilevata la presenza di sostanze altamente cancerogene.
Nel gennaio 2005 il Commissario Leoni, tecnico di riconosciuta capacità e competenza a cui va tra l’altro il merito di aver saputo mettere d’accordo liguri e piemontesi dopo oltre cent’anni di contrapposizione muro contro muro, viene rimosso dall’incarico e sostituito dal prefetto di Genova Giuseppe Romano, nominato dal governo.
La decisione, che il Wwf (facendo fronte compatto con le altre associazioni ambientaliste) non esita a definire “incomprensibile ed immotivata”, scatena un’ondata di polemiche e una nuova mobilitazione del versante piemontese. Sul destino della bonifica aleggia anche la nuova legislazione in materia ambientale, voluta dal governo Berlusconi (ma respinta dal presidente dello Stato, Ciampi, ndr). La storia non è ancora finita.
Cent’anni come oggi
Alessandro Hellman, l’autore di questo articolo, ha lavorato per oltre un anno sulla storia dell’Acna, raccogliendo e analizzando materiali, filmati, fotografie, avvisi di reato. Il risultato è il libro Cent’anni di veleno. Il caso Acna, l’ultima guerra civile italiana (Stampa Alternativa, 128 pagine, 10 euro), un’inchiesta in stile narrativo sulla storia della fabbrica, l’inquinamento, le lotte dei cittadini per la chiusura dello stabilimento e la bonifica del territorio.
E “il fiume rubato” diventa teatro
La denuncia arriva in teatro: il caso dell’Acna di Cengio, proprio a partire dal libro Cent’anni di veleno, verrà messo in scena da Narramondo, “associazione culturale di narrazione civile” nata a Genova durante le contestazioni anti-G8. “Da allora -racconta Nicola Pannelli, tra i fondatori- abbiamo seguito percorsi di ricerca in varie direzioni per portare al pubblico la voce ‘irricevibile’ di popoli oppressi, sotto occupazione, ‘fuori margine’, e la loro bellezza”. In questi anni, la compagnia teatrale ha portato in scena spettacoli come “I giorni di Genova. I sommersi e i salvati dei giorni del G8”, “Ballata per un autunno caldo. Storia di un licenziamento Fiat a Marina di Pisa nel 1957” e “Era nero. Voci da Chernobyl”. Il monologo sull’Acna si intitola “Il fiume rubato” e debutterà ad Alessandria il 2 maggio al Teatro Parvum, recitato da Andrea Pierdicca (nella foto), per la regia di Nicola Pannelli. Info: Lisa Raffaghello, tel. 333-61.32.594, www.narramondo.it
Le aree da bonificare
L’Italia è un Paese avvelenato: sono 52 le aree inquinate di interesse nazionale (nella mappa qui sotto, le principali) e oltre 27 mila quelle locali che, un giorno o l’altro, dovranno essere bonificate. Gli inquinanti, di orgine industriale ma non solo, vanno dall’eternit (amianto) che veniva prodotto a Casale Monferrato alle scorie di fonderia, dal mercurio scaricato in mare a Priolo, al cromo esavalente nelle falde acquifere di Cogoleto, fino alle emissioni in atmosfera dell’Ilva di Taranto. E, come sottolinea il dossier di Legambiente La chimera delle bonifiche, sono necessari interventi lunghi e complessi: 154 mila ettari (considerando solo i siti di interesse nazionale) da ripulire, dei quali quasi la metà (74 mila) a Casale Monferrato, 14 mila lungo il litorale domitio-flegreo, 5.800 a Brindisi e 3.500 a Porto Marghera.