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Esteri

Editoriale – Ae 98

Il governo degli Stati Uniti ha investito una cifra senza precedenti per salvare il sistema finanziario e i suoi speculatori dal fallimento (e dalla galera). Intanto milioni di famiglie americane sono sul lastrico

Tratto da Altreconomia 98 — Ottobre 2008

Settembre è un mese a rischio negli Usa. L’11 settembre del 2001 è già entrato nei manuali di storia. Il 19 settembre del 2008 vi entrerà a maggior ragione.
È stato il giorno in cui il presidente Bush ha gettato la maschera: lo Stato salverà le banche d’affari e gli istituti di credito, gli hedge fund e i fondi pensione, accollandosi tutta la “spazzatura” della finanza americana e non. Lo “Stato spazzino”, in inglese  Sweeping State, si prende i derivati dei mutui subprime, diventati ormai poco più che carta straccia, per salvare il sistema finanziario, e quindi i grandi finanzieri e tutto il loro esercito (oltre 500mila addetti) di superpagati speculatori di Borsa.  
Nelle settimane precedenti questo “spazzino” aveva già soccorso Bears Stearns, la famosa Merrill Lynch, le due gemelle da avanspettacolo Fannie e Freddie, i più grandi istituti di mutuo ipotecario degli Usa; poi è toccato alla Aig, la maggiore compagnia di assicurazioni del mondo. In totale la Fed, quindi il Tesoro Usa, aveva tirato fuori qualcosa come 500 miliardi di dollari. Solo la Lehman Brothers è stata abbandonata al suo destino, forse perché aveva finanziato la campagna di Barak Obama o più banalmente perché tutti pensavano che la China Investment Group sarebbe intervenuta.
Complessivamente l’operazione di nazionalizzazione e di sweeping dei titoli ipotecari verrà a costare alla casse del Tesoro americano una cifra che oscilla tra 1.400 e 1.600 miliardi di dollari. Una valore molto vicino a quello del nostro Pil, che graverà pesantemente sul deficit di bilancio dello Stato (si parla già di un deficit pari al 7% del Pil). Se a questo indebitamento interno si aggiunge quello con l’estero (bilancia commerciale), che si aggira quest’anno intorno a 700 miliardi di dollari, si può ben dire che gli Usa sono oggi il Paese più indebitato al mondo.
E cosa fa un Paese superindebitato? Stampa banconote. Stupendo.
Per molto tempo i grandi esperti della finanza Usa hanno pensato di avere inventato il corrispondente finanziario del “moto perpetuo”, o di aver sconfitto la legge dell’entropia: il denaro come un fiume che si autorigenera. Tutti ci guadagnano e nessuno ci perde. Come sappiamo le cose sono andate diversamente. Gli speculatori di Borsa si sono arricchiti in questi anni in maniera indecente, ma il giochino alla fine si è rotto. Si diceva una volta “chi rompe paga ed i cocci sono i suoi”, ma oggi si dovrebbe dire “chi rompe non paga ma si piglia i cocci”. I grandi manager, i superdirettori dei fondi e delle merchant bank hanno fatto fallire i loro istituti, che sono andati in pezzi, ma prima di mollare hanno raccolto i cocci preziosi (si sono presi una lauta liquidazione) ed hanno presentato il conto allo Stato.
L’amministrazione Bush, padre e figlio (e nipoti), che aveva fatto del “neoliberismo” la sua bandiera e delle “guerre per la democrazia” il suo vangelo, si ritrova ora a passare alla storia per aver disposto il più grande, oneroso, intervento dello Stato nell’economia. Il paragone con il Piano di rinascita del presidente Theodore Roosevelt non regge. Roosevelt intervenne alla fine del 1932, a tre anni dal crollo di Wall Street, per rilanciare l’economia nordamericana con possenti investimenti in opere pubbliche che ebbero effetti positivi e, soprattutto, riuscirono ad assorbire milioni di lavoratori lasciati sul lastrico dalla Grande Depressione. Il piano proposto da Henry Paulson, ministro del Tesoro, serve solo a salvare il mondo della finanza,
a salvare dal fallimento e dalla galera migliaia di operatori finanziari, ma nulla produce a favore dei milioni di persone che hanno perso la casa e che, fra breve, perderanno anche il lavoro. Infatti, è facile prevedere che il deficit spending in questo caso non servirà a rilanciare l’economia Usa, ma produrrà solo una restrizione del credito al consumo, un aumento delle tasse e un restringimento della spesa sociale.
Per la maggioranza della popolazione americana stanno per arrivare tempi duri.
Ma anche una grande occasione: per cambiare stili di vita, ridurre gli esorbitanti consumi di petrolio, scoprire i vantaggi delle forme di economia solidale.
Insomma, in una parola: cambiare la società americana. Auguri.

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