Interni
Ecco la nuova lotta di classe
La crociata della Fiat contro la Fiom, in merito alla rappresentanza sindacale, rischia di segnare per tutto il Paese un arretramento nei diritti fondamentali all’interno dei luoghi di lavoro _ _ _
Lo scontro in atto fra la Fiat e i metalmeccanici della Cgil (Fiom) è molto più di un contrasto sindacale finito in tribunale. Chiama in causa la tutela di diritti fondamentali, l’applicazione effettiva dei princìpi costituzionali sul posto di lavoro. La Fiom ha presentato in vari tribunali d’Italia qualche decina di ricorsi contro il rifiuto, opposto dalla Fiat e dalle aziende collegate, a riconoscerle i diritti sindacali in fabbrica, per non avere sottoscritto il contratto collettivo nazionale.
Alcuni tribunali si sono già pronunciati, con esiti divergenti. In alcuni casi ha vinto la Fiom, in altri la Fiat. Leggere i dispositivi delle sentenze è utile (un paio sono sul sito di Ae), perché fa capire qual è la posta in gioco, e quant’è ambigua e carente la legislazione. E norme poco chiare, di dubbia legittimità cosituzionale, non giovano alla tutela della parte più debole, cioè i lavoratori. Il “caso Fiom-Fiat” ruota attorno all’interpretazione dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, che dice: “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”. Per il giudice di Torino, che ha dato ragione alla Fiat (il 13 aprile), unificando in un’unica sentenza ventuno ricorsi, non ci sono dubbi: la Fiom non ha firmato il contratto, quindi fa bene la Fiat a negarle le prerogative sindacali, ossia di avere propri rappresentanti negli organismi di fabbrica e i permessi sindacali retribuiti nei casi previsti. Il giudice torinese, nella sentenza, riconosce che numerosi lavoratori del gruppo Fiat iscritti alla Fiom si trovano “senza un’adeguata forma di rappresentanza di prossimità nel luogo di lavoro, elemento integrante la libertà sindacale garantita dall’articolo 39 della Costituzione”, ma -aggiunge- si tratterebbe “non di interpretare l’articolo 19, bensì di riscriverlo, e questo non è consentito al giudice”. Il Tribunale di Napoli ha invece dato ragione alla Fiom (nella foto sotto il segretario Maurizio Landini), con una sentenza del 12 aprile, sostenendo “l’impossibilità di lettura della norma nel senso letterale […] atteso che di fatto l’articolo 19 imporrebbe una coartazione della volontà della parte sindacale”, che si troverebbe privata dei propri diritti in caso di mancata stipula di un accordo.
Come si vede, la questione è controversa sul piano giuridico, ma ben comprensibile su quello pratico: è in corso un braccio di ferro, guidato dalla Fiat, volto a limitare drasticamente i diritti e le libertà dei lavoratori, svuotando dall’interno quella grande riforma democratica che fu l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, il quale davvero portò la Costituzione nei luoghi di lavoro.
I giudici di Napoli e Torino rimarcano l’ambiguità della norma e sollecitano un intervento legislativo (sempre che un altro giudice non decida che sussistono le condizioni per un intervento della Corte costituzionale). Ma il silenzio del Parlamento e delle forze politiche non lascia presagire alcun provvedimento, e a dire il vero forse è meglio così. Correremmo il rischio di un peggioramento del testo o di una conferma definitiva dell’interpretazione privilegiata dal giudice torinese.
Sulla pelle dei metalmeccanici si sta giocando una partita che rischia di imprimere una svolta irreversibile alla “democrazia reale” del nostro Paese. E nemmeno i sindacati “firmatari” del contratto hanno di che gioire. Le condizioni di lavoro in fabbrica, in termini di pause, orari, tutela in caso di malattia, sono peggiorate per tutti, e la libertà di sciopero è stata sottoposta ad alcune condizioni. C’è poco da rallegrasi quando il sindacato metalmeccanico storicamente più rappresentativo è escluso dalle elezioni interne. Il risultato reale sarà un indebolimento della complessiva capacità di contrattazione. Stupisce, su questo punto, la timidezza, per non dire peggio, delle forze parlamentari di centrosinistra.
Il ricatto messo in atto a suo tempo dall’ad Fiat, Sergio Marchionne -meno tutele, in cambio di maggiori investimenti- non sta portando niente di buono, nemmeno nuovi posti di lavoro. E tutto questo avviene mentre il governo dei “tecnici” è riuscito nell’impresa finora mancata da quei governi di destra che pure hanno governato per molto tempo nell’ultimo ventennio: la manomissione dell’articolo 18 dello Statuto, con una modifica di cui non si capisce ancora la portata pratica, ma che certo non andrà nella direzione di un allargamento delle tutele. Non si può negare che sia in atto una lotta di classe condotta dagli imprenditori. Il silenzio e l’inazione di tutti gli altri, con l’isolamento che rischia di schiantare sia la Fiom sia la ragion d’essere del sindacalismo, non fanno presagire nulla di buono. —