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Ambiente

È solo questione di foreste?

Gli ultimi dati diffusi dal Corpo forestale dello Stato mostrano una tendenza insperata: le foreste italiane stanno riprendendo, nel vero senso della parola, terreno. Ma questo non controbilancia ancora il consumo di suolo dovuto alla cementificazione. Il vaso di coccio, in questo caso, lo svolgono i terreni ex-agricoli, abbandonati a se stessi e quindi ricolonizzati dalla natura o spazzati via da infrastrutture spesso costose ed inutili

Un aumento di 1,7 milioni di ettari dal 1992 ad oggi, per un totale di 10 milioni e 400mila ettari di superficie arborea che corrispondono ad un terzo della superficie nazionale e a 12 miliardi di alberi.
Stiamo parlando dell’Italia sulla base dell’Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi di carbonio (Infc) del Corpo forestale dello Stato che è stato diffuso il 19 aprile scorso, pochi giorni prima della Giornata internazionale della Terra.
Quando si parla di riforestazione non stiamo però parlando solamente della crescita delle comunità vegetali, ma di un vero e proprio "polmone" capace di assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera. La quantità di carbonio trattenuta nei tessuti delle piante in crescita, nei residui vegetali e nei suoli delle foreste, infatti, è pari a circa 1,2 miliardi di tonnellate di carbonio, corrispondenti a 4 miliardi di tonnellate di CO2.
"Le foreste italiane, come contenitori naturali di carbonio" sottolinea la Forestale "svolgono un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’obiettivo fissato dal Protocollo di Kyoto, strumento operativo vincolante della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, frutto della conferenza sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992".
Finalmente una buona notizia, si dirà. Che collegata alla diminuzione delle emissioni di gas serra negli ultimi anni indica una tendenza positiva. Dovuta alla congiunzione astrale delle buone pratiche messe in campo come il consolidamento delle energie alternative ma, soprattutto, dalla crisi economica che ha portato ad una drastica diminuzione delle emissioni di gas.
Uno scenario che rischia di rimanere al palo senza politiche reali ed efficaci da parte del Governo e che dovrebbero mettere al centro un vero e proprio cambio di paradigma.
Come il parallelo consumo di suolo, che cancella terreni agricoli per lasciare spazio a cementificazione ed infrastrutture (12 milioni di ettari di superficie agricola).
O come anche la questione dei mercati locali. La Coldiretti ricorda come un chilo di arance importate dal Brasile bruci 5,5 chili di petrolio e liberi 17,2 chili di anidride carbonica in piu’ di quelle siciliane. Un’ulteriore analisi indica come le prugne dal Cile devono volare 12mila chilometri con un consumo di 7,1 kg di petrolio che libera 22 chili di anidride carbonica mentre la carne argentina viaggia per 11mila in aereo bruciando 6,7 chili di petrolio e liberando 20,8 chili di anidride carbonica.
Non è solo questione di "food-miles", ma anche di trasparenza (lo scandalo della marchiatura IGP, che permette ad una bresaola denominata "della Valtellina" di provenire da allevamenti brasiliani), di stili di vita (vedi l’impatto del consumo di carne presente nella nostra dieta) e di reale sostenibilità dell’economia italiana.
Non stiamo parlando soltanto di quella Green Economy definita da Paolo Soprano, Dirigente Divisione Sviluppo Sostenibile e ONG del Ministero dell’Ambiente e referente per i negoziati di Rio+20, come ineludibile ed inevitabile per il nostro Paese. Ci stiamo riferendo ad una vera e propria politica alternativa a quella attuale, in cui le miriadi di esperienze locali di economia ecologica e solidale possano essere non più solo come "buone pratiche" ma come veri e propri semi della transizione necessaria.
Rio+20 si sta avvicinando e già si sta tenendo a New York la seconda riunione formale-informale sul Draft Outcome Document, la bozza di documento finale, che all’ultima sessione del marzo scorso è levitata da 20 a circa 210 pagine. Il lavoro di confronto tra le delegazioni è appena iniziato, sia sul documento emendato che su un tentativo di mediazione e semplificazione proposto dai due co-chair che coordinano il processo. Cosa ne verrà fuori si vedrà ai primi di maggio, ma i movimenti sociali sono già in attività sostenendo un’attività di pressione sul Segretario generale dell’UNCSD (United Nations Conference on Sustainable Development): i diritti umani e sociali sono a rischio, come spiega la petizione diffusa online da un’ampia coalizione di organizzazioni non governative e reti sociali (http://www.ipetitions.com/petition/rightsatrisk/).
Ma Rio+20 non sarà certamente un punto di arrivo, ma un’inevitabile ripartenza. Tre mesi dopo la Convenzione sulla Biodiversità ad Hyderabad ed a dicembre la COP18 sul cambiamento climatico a Doha saranno la prova del nove. Su quanto cioè la comunità internazionale sia disposta a giocare con le parole davanti ad una tendenza che, senza politiche ambiziose e senza programmi di lungo periodo, rischia di peggiorare giorno dopo giorno. L’aumento delle foreste è un buon inizio, ma una rondine non fa primavera.

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