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Altre Economie / Approfondimento

Donne protagoniste del commercio equo, anche dietro le sbarre

Nei Paesi in via di sviluppo le donne rappresentano tre quarti dei produttori coinvolti nelle filiere del fair trade. In Italia, in molte carceri sono nate cooperative al femminile che si dedicano a caffè, cacao, cosmetici, abiti

Tratto da Altreconomia 212 — Febbraio 2019
La lavorazione dei tessuti recuperati dalla cooperativa sociale “Quid” © Progetto Quid - Moma Photographers

La voce di Imma è interrotta dal caffè che sale dalla moka. La “mattonella” da 250 grammi di caffè delle Lazzarelle è bianca e fucsia: “Io avrei preferito altri colori”, dice, ma sono state le donne della casa circondariale di Pozzuoli (NA) a sceglierli, in un processo partecipativo insolito per il contesto carcerario dove “c’è un’istituzione che decide tutto per te”. “Ribaltare questa situazione e riattivare dei processi di coinvolgimento delle donne, nella prospettiva del loro reinserimento nella società” è invece l’obiettivo della cooperativa Lazzarelle, come spiega la responsabile, Imma Carpiniello.

“Le donne che ho conosciuto visitando il carcere quasi 20 anni fa mi sono sembrate molto determinate e forti -racconta-. Avevano storie simili: quasi tutte venivano da Napoli e le sue periferie. I loro reati erano stati commessi sulla spinta di un bisogno economico: non avevano mai pensato prima di poter far altro nella vita”. È stato dentro al carcere che hanno iniziato a immaginare un futuro diverso. “Eravamo giovani e un po’ mattacchione: le donne si sono sentite subito protagoniste del progetto”. Sono state accompagnate alla scoperta dell’arte della torrefazione da un maestro napoletano e così, hanno iniziato a lavorare i chicchi scuri importati dall’Africa, dall’America centrale e dall’India dalla cooperativa di commercio equo e solidale Shadhilly di Fano (PU), per ottenere “un prodotto pulito”, come lo chiama Imma.

L’intero ciclo produttivo -dalla tostatura dei chicchi all’impacchettamento del caffè macinato, si svolge all’interno del carcere, dove oggi lavorano tre donne. “In otto anni abbiamo assunto 67 donne: 50 di loro non sono più tornate in carcere, e con molte siamo ancora in contatto”. Nel 2017 le Lazzarelle hanno prodotto 54mila pacchetti da 250 grammi, distribuiti nelle botteghe del commercio equo, in bar, pizzerie e con i gruppi d’acquisto solidale. E da tre anni hanno avviato la produzione di tè e tisane: “Le materie prime, essiccate, vengono da filiere del commercio equo e sono lavorate e confezionate dalle donne”.

Un anno fa la cooperativa ha vinto un bando del Comune di Napoli per la rigenerazione della Galleria Principe in centro storico, dove ha ristrutturato un locale che diventerà il bar delle Lazzarelle. E il prossimo progetto in cantiere è l’apertura di una sartoria sociale nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (CE), grazie a un bando del dipartimento Pari Opportunità per l’inserimento lavorativo di donne detenute vittime di violenza. “Anche in questo caso collaboreremo con i circuiti del commercio equo, per trasformare stoffe ecologiche e fibre naturali, come la juta dei sacchi che contengono il caffè”.

Settecento chilometri verso Nord, c’è un’altra sartoria del circuito equosolidale che coinvolge le donne: la cooperativa sociale Quid, guidata da Anna Fiscale, è nata nel 2013 a Verona come progetto d’inserimento lavorativo nel settore moda. Quid recupera le eccedenze delle grandi aziende del settore: “Campioni rifiutati, stoffe del colore sbagliato, tessuti svalutati che a fine stagione sono scartati dal sistema, a cui diamo una nuova vita”, spiega Giulia Houston di Quid. Le donne sono l’80% della forza lavoro di Quid: 115 persone che seguono la filiera dal tessuto -che arriva già tagliato- alla distribuzione dei capi, che si trovano anche nelle botteghe Altromercato, per cui Quid cura da due anni una collezione moda. Dieci di loro -e altrettanti uomini- producono accessori nel carcere Montorio di Verona: un laboratorio dove, dal 2014 a oggi, hanno lavorato 80 persone.

La lavorazione del caffè “Lazzarelle” nella casa circondariale di Pozzuoli dove la cooperativa ha avviato la produzione di tè e tisane © Lazzarelle

Sono numerose le esperienze italiane del commercio equo e solidale guidate da donne che entrano in contatto con la realtà del carcere. A Bergamo, la cooperativa sociale Calimero è nata come impresa di pulizie -un settore che oggi impiega 90 persone, per l’80% donne- e dal 2013 ha avviato con Equo Mercato di Cantù (CO) il laboratorio di pasticceria e panetteria “Dolci sogni liberi” nella sezione maschile del carcere. “Il miele, lo zucchero di canna, il cacao, l’uvetta e le noci dell’Amazzonia del commercio equo e solidale addolciscono le nostre produzioni”, racconta la presidente, Rosalucia Tramontano. Sono vendute nelle botteghe della cooperativa Amandla e nel bar “Dolci sogni” aperto dalla cooperativa a metà dicembre a Nembro (BG), che ha una gestione tutta femminile.

“In otto anni abbiamo assunto 67 donne: 50 di loro non sono più tornate in carcere, e con molte di loro siamo ancora in contatto” – Imma Carpiniello

Anche nel negozio “Process collettivo” -aperto nel 2017 a Venezia dalla collaborazione tra la cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri di Marghera (VE) e l’artista Mark Bradford- lavorano tre donne. Vendono i prodotti artigianali che Rio Terà dei Pensieri realizza nelle carceri veneziane. La cooperativa, guidata da Liri Longo, è nata 25 anni fa coltivando “l’orto delle meraviglie” nell’antico convento delle Convertite, che oggi è la casa di reclusione femminile della Giudecca. Seimila metri quadri bio, dove cinque donne -accompagnate da un’altra donna della cooperativa- coltivano ortaggi, frutti, fiori ed erbe che vendono settimanalmente in un banco nella fondamenta del carcere.

Alla Giudecca, altre tre donne lavorano nel laboratorio di cosmetica, attivo dal 2001, mentre sono sette gli uomini impegnati nel laboratorio di serigrafia e in quello di riciclo del Pvc nel carcere maschile di Santa Maria Maggiore. I prodotti artigianali di Rio Terà dei Pensieri si trovano nelle botteghe del commercio equo nel veneziano, e non solo: la cooperativa ha stretto un sodalizio con Pace e Sviluppo di Treviso, una storica cooperativa equa “di stampo femminile”, come dice Federica Massolin, che da due anni la coordina: “Siamo 10 donne su 17 dipendenti e nel 2018 sono state 187, su 242 persone, le volontarie”.

Il laboratorio di cosmetica gestito dalla cooperativa Rio Terà dei pensieri nella casa di reclusione femminile della Giudecca © Agata Gravante

La forza delle donne non si fa sentire solo nel circuito italiano del commercio equo -che nel 2017, secondo Equo Garantito, contava il 65% di dipendenti donne-: in base ai dati raccolti dal comitato Progetti di Altromercato su 72 organizzazioni, la maggior parte di loro lavora in Asia (67%) e in Africa (52%); solo il 18% in America Latina. Le donne rappresentano il 68% dei produttori di artigianato equosolidale e il 33% di quelli alimentari. E nonostante siano il 43% della forza lavoro agricola dei Paesi in via di sviluppo -secondo il rapporto “Equal harvest” (2015)-, solo il 13% di loro possiede terra e animali da allevamento.

La parità di genere e l’empowerment femminile sono tra i temi della nuova pubblicazione curata da Veneto Equo (una rete regionale partecipata anche da Equo Garantito, l’ente del commercio equo italiano –venetoequo.org), dal titolo “EMPOWhER. Una prospettiva di genere sul Commercio Equo e Solidale”. La promozione dell’uguaglianza, infatti, è una sfida prioritaria per il movimento equosolidale, che ne sancisce l’importanza nel sesto principio guida, tra i dieci stilati dalla World fair trade organization. Le donne rappresentano il 74% dei produttori coinvolti nelle filiere del commercio equo (965.700 persone, secondo Wfto) e in molti casi sono state loro a fondare le organizzazioni. “Ma non dobbiamo mai dare per scontata la parità di genere e tenere alta l’attenzione sul loro coinvolgimento e accesso a posizioni chiave”, spiega Francesca Giubilo, coordinatrice di Wfto Europe, l’organismo che -con un cda di quattro donne e due uomini- mette in rete 102 organizzazioni di commercio equo in 16 Paesi d’Europa, per promuovere un’economia che metta al centro il benessere delle persone e del pianeta.

“Non dobbiamo mai dare per scontata la parità di genere e tenere alta l’attenzione sul coinvolgimento e l’accesso delle donne a posizioni chiave” – Francesca Giubilo

Balzano agli occhi i dati sul ruolo delle donne nelle associazioni membre di Wfto, rispetto alle organizzazioni tradizionali: nel 51% dei casi, le donne sono presenti nei consigli di amministrazione (12% fuori dal mondo equo); il 52% ha una donna come amministratrice delegata (9%) e il 54% delle donne ricopre un ruolo senior (24%). “Numeri che ci danno un’idea dell’importanza che le donne devono avere nella promozione di uno sviluppo equo e sostenibile”, dice Francesca. “Riescono a portare una sensibilità che va oltre l’aspetto commerciale”, sottolinea Federica di Pace e Sviluppo nel ricordare la sua esperienza a contatto con le microimprese femminili di Salinas, in Ecuador, per l’avvio di un progetto di valorizzazione dell’artigianato in lana (oggi gestito da AltraQualità). “Poterci confrontare tra donne ha facilitato la relazione e la costruzione di fiducia, sulla quale abbiamo potuto sviluppare il progetto”.


BOX. MANDACARÙ LANCIA UNA FONDAZIONE

Sono guidati da una donna quechua i 500 piccoli produttori della “Cooperativa Agroindustrial Machupicchu” (CAGMA, cooperativacagma.blogspot.com), fondata nel 2011 da 14 giovani ingegneri agronomi che hanno deciso di restare nelle Ande meridionali del Perù per valorizzare la coltivazione di quinoa e chia. È questo uno dei progetti che la nascente fondazione “Tutti nello stesso piatto” intende sostenere, per arrivare a costruire uno stabilimento per la lavorazione della quinoa e aumentare così il margine dei produttori. La fondazione -unica nel suo genere in Italia- nasce dalla cooperativa Mandacarù di Trento (2.492 soci, 338 volontari, 14 lavoratori e una donna presidente, dal 1989 – mandacaru.net), con l’obiettivo di “rafforzare cento organizzazioni di piccoli produttori del commercio equo e solidale in oltre 40 Paesi, a cui fanno riferimento oltre 100mila contadini e artigiani, e promuovere la crescita della cultura e dell’economia responsabile in Italia”, spiega Beatrice De Blasi, responsabile del settore educazione di Mandacarù.

Due produttori della “Cooperativa agroindustrial Machupicchu” © Beatrice De Blasi

“Vogliamo sviluppare un progetto che sia a servizio del mondo della cooperazione equa e solidale, sostenendo i piccoli produttori e quei progetti coerenti con i principi del commercio equo”. Fino a gennaio sono stati raccolti 31mila euro, ma l’obiettivo è arrivare a 100mila entro la fine dell’anno. Per sostenere la fondazione, si può fare un bonifico bancario a Mandacarù onlus scs, IBAN IT 36C0830401813 000013021140, indicando come causale “Erogazione liberale per fondazione Tutti nello stesso piatto”.

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