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Difendendo la “Libera Università”. Contro l’erosione dell’autonomia che colpisce la ricerca

© Fabio Michele Capelli - iStock

Nel suo ultimo saggio edito da Einaudi, Tomaso Montanari, professore di Storia dell’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena, affronta alcuni temi centrali del mondo accademico italiano, come la diffusione del lavoro precario, la crescita delle università private telematiche e l’influenza dell’industria delle armi. Fenomeni che colpiscono una comunità inclusiva e internazionale che dovrebbe essere il perno di una società democratica

“Un’università ‘che serve’ rischia di essere un’università ‘serva’, quanto di più lontano dall’autonomia per la quale ogni generazione universitaria ha lottato, e continua a lottare”. La libertà e l’autonomia del mondo accademico, che in alcuni momenti storici sono stati fortemente limitati dal potere statale, sono al centro di “Libera Università” (Einaudi, febbraio 2025) di Tomaso Montanari, professore di Storia dell’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena. Partendo da questi principi, Montanari approfondisce con Altreconomia, di cui è editorialista, alcune questioni cruciali del mondo accademico italiano come il precariato lavorativo, i rapporti con l’industria della “Difesa”, la crescita e la problematicità delle università private telematiche.

Montanari, nel libro riflette sull’importanza della libertà del mondo accademico, definito come “la comunità del non-consenso”. Quali sono i valori fondamentali dell’università?
TM
Per me l’accademia è basata sulla libera ricerca che non deve sottostare a nessuna regola o costrizione. Addirittura l’assemblea Costituente decise che i professori universitari non avrebbero giurato fedeltà alla Costituzione, come invece fanno i ministri, ma anche i magistrati e gli impiegati dello Stato. Nella ricerca accademica non ci devono essere limiti, nemmeno di opportunità, e se la ricerca è libera lo diventa anche la sua esposizione, ovvero l’insegnamento e la didattica. L’arte e la scienza sono libere e lo è anche il loro insegnamento, come dice la Costituzione. L’università è un luogo in cui si apprende una sola cosa: a pensare liberamente e possibilmente si impara a insegnare a propria volta. È anche il luogo dove si dovrebbe formare chi insegna a scuola, perché poi la scuola diventa la sede in cui, come diceva Don Lorenzo Milani, si dovrebbe creare una massa cosciente, non una classe dirigente.

Il secondo capitolo offre un approfondimento storico sull’importanza dell’autonomia universitaria, dalla nascita di quest’istituzione nel Medioevo fino all’avvento del fascismo e alla riforma Gentile, ma anche i principi contenuti nella Costituzione. Quali leggi degli ultimi anni ne hanno eroso l’autonomia?
TM
A livello storico l’autonomia dell’università è sempre stata sotto attacco, perché non è mai stata normata né protetta completamente dalle intrusioni dello Stato. In Italia solo dal 1989, tramite la legge 168 che ha anche istituito il ministero dell’Università e della ricerca, è stato stabilito che “le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione all’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria”. Autonomia che è stata attaccata in vari momenti, probabilmente il punto più basso è stato la “Legge Gelmini” del 2010 approvata dal quarto Governo Berlusconi. Questa riforma ha introdotto un modello aziendalista con alcune prassi come il controllo capillare nella distribuzione dei fondi, il depotenziamento dei senati accademici e dei dipartimenti che si è accompagnato a un accentramento del potere nella figura dei rettori. Un progetto che è culminato nel rafforzamento dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), che esamina le attività didattiche e i risultati della ricerca universitaria. L’Anvur ha il potere di stabilire la quantità di fondi destinati a ogni ateneo, fino a poter addirittura negare l’accreditamento pubblico di un’università. L’Anvur è diventato ormai un potente strumento di controllo del mondo accademico, senza però esser inserito nel sistema di autogoverno universitario e rimanendo un’agenzia di nomina governativa.

Quali sono gli aspetti problematici delle università private telematiche?
TM
La questione principale è che sono degli atenei for profit. Nel 2019 il Consiglio di Stato ha rilasciato un parere al ministero dell’Istruzione con cui ha reso possibile per le società di capitali investire nel mondo universitario. Due anni dopo un fondo d’investimento ha acquisito alcune quote della società Multiversity, che controllava UniPegaso. Tramite l’unione con altri tre atenei telematici, hanno formato il più grande polo universitario italiano, con oltre 140mila iscritti, trentamila in più della Sapienza di Roma. L’ingresso dei capitali nel mondo universitario ha portato a una sorta di “mutazione genetica”, con ripercussioni importanti sulla libertà di ricerca e sulla qualità della didattica. La seconda questione è legata alla didattica a distanza, che smaterializza le università e le comunità studentesche, non formate più da persone che si riuniscono e sviluppano relazioni ma da una comunità di volti che si collegano online. Esiste un serio problema di qualità della didattica: nel 2022 UniPegaso aveva oltre 90mila studenti e 401 docenti. Stando a uno studio dell’Anvur, nelle università telematiche il rapporto medio tra professori e studenti è di un docente per 385 allievi, mentre in quelle pubbliche è di uno su 28,5, un dato emblematico.

Tomaso Montanari è rettore dell’Università per stranieri di Siena dal 2021 © Università per stranieri di Siena

Un paragrafo è intitolato “il precariato come arma politica”. Qual è la situazione lavorativa nel mondo accademico?
TM
In Italia esistono circa cento università, di cui undici atenei privati telematici, nelle quali ci sono oltre 40mila contratti di didattica precari, ovvero il 45% del corpo accademico è composto da lavoratori non stabilmente assunti. Questo non vuol dire che esistono 40mila precari poiché in molti hanno due o tre contratti attivi per potersi mantenere. Dal punto di vista degli studenti, quasi la metà dei corsi è tenuta da un docente che non è regolarizzato ed essere in questa situazione significa non avere sempre la libertà di esprimersi nei confronti dei propri superiori, per timore che il contratto non venga rinnovato. I precari non possono partecipare alla vita politica dell’università, si può dire che non sono pienamente dei “cittadini del mondo accademico”. L’università dovrebbe essere un presidio di libertà per la democrazia ma se poi al suo interno è basata su un sistema quasi “servile”, in cui si dipende dai propri superiori, difficilmente potrà svolgere il suo ruolo sociale.

Quali sono i legami e le collaborazioni tra le università italiane e il settore della “Difesa”?
TM
Alcuni atenei sono stati arruolati dall’industria, e quindi dalla logica della guerra. Mi riferisco al caso del master in Scienze strategiche dell’Università di Torino, che coordina la formazione universitaria degli ufficiali dell’Esercito allargandone anche la fruizione a studenti non militari. Ca’ Foscari a Venezia collabora con la Marina Militare, la Ferdinando II di Napoli invece ha fondato la “Aerotech Academy”, un percorso di formazione ingegneristica che si svolge presso il sito di Leonardo, il più grande produttore di armi italiano, che ha un’influenza estesa sul mondo accademico italiano poiché finanzia molteplici progetti di ricerca. Per esempio il presidente della fondazione Leonardo civiltà delle macchine Ets è l’ex magistrato Luciano Violante, lo stesso che presiede la società Multiversity che controlla il più grande polo di università telematiche italiane. Nel consiglio scientifico della fondazione Med-Or di Leonardo, presieduta dall’ex ministro Marco Minniti, siedono oggi undici rettori e altri ex rettori. Infatti quando la Conferenza dei rettori nel 2022 ha votato per siglare un memorandum di collaborazione con Med-Or sono stato l’unico a esprimersi contro questa collaborazione che “rafforza le iniziative e progetti tra Med-Or e il mondo accademico”. Mi preme ricordare che purtroppo la più grande azienda italiana di armi si chiama come Leonardo da Vinci, che certamente non era un profeta della guerra.

Che cosa ne pensa delle richieste di boicottare alcune università?
TM
Io sono contro il boicottaggio accademico perché non credo che le università vadano identificate con le bandiere e con le nazioni. Il mondo accademico dovrebbe essere il contrario del nazionalismo, rappresenta una comunità in cui l’unica cosa che conta è ciò che sai e conosci più che la tua identità, quello che vuoi e puoi imparare piuttosto che l’essere italiano, donna, nero, omosessuale. L’idea di boicottare le università a causa della nazione in cui si trovano va contro i miei ideali, anche perché dovrei escludere gli atenei di parecchi Paesi. Un esempio recente è quello che sta avvenendo in Turchia, dove il 18 marzo l’Università di Istanbul ha revocato il diploma di laurea di Ekrem Imamoglu, sindaco della città e potenziale candidato alle elezioni contro il presidente Erdogan. Nel Paese il potere esecutivo nomina i rettori che non sono autonomi e che spesso devono sottostare ai dettami della politica, com’è avvenuto in questo caso. Più che boicottare gli atenei preferirei portare avanti un percorso critico sulle ingerenze del potere politico nel mondo accademico.

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