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Opinioni

Diaz, una “scellerata operazione mistificatoria”

Enrico Zucca, sostituto procuratore generale di Genova e pm al processo per il massacro alla scuola Diaz del 2001, commenta le motivazioni della sentenza della Cassazione (in allegato), che ha confermato le condanne dell’appello
 

Mi piace pensare che in quella necessità di un rilancio morale invocato recentemente dal Presidente della Repubblica Napolitano, si possa ritenere incluso un riferimento al riscatto dalle condizioni di degrado cui giunsero – come emerge dalle crude parole della sentenza definitiva della Cassazione appena depositata – i corpi di polizia e i loro referenti politici in occasione del G8 di Genova.

Anche se così non fosse stato nelle intenzioni della massima magistratura repubblicana, occorrerebbe invece auspicarlo da parte dei cittadini che hanno a cuore le istituzioni, perché ora nessuno può dire di non sapere quello che è avvenuto. La pronuncia della Cassazione mette in luce l’aspetto più inquietante del raid poliziesco alla scuola Diaz, che si è pervicacemente cercato di esorcizzare stigmatizzando l’azzardo degli asseriti teoremi dei magistrati che nelle loro indagini avevano guardato oltre ciò che lo schieramento politico di maggioranza e di opposizione riteneva fossero i confini delle compatibilità del sistema.

I Giudici hanno così ritenuto accertato sulla base di prove solide che vi fu non solo “macelleria messicana” ad opera di una minoranza della truppa impazzita, come si era giunti ad ammettere senza peraltro affrontare le cause di quella violenza deviata, ma una “scellerata operazione mistificatoria”, secondo le lapidarie parole del Supremo Collegio, ad opera di funzionari eccellenti, lungo una catena di comando che conduceva fino al Capo della Polizia.

Non solo la pratica della tortura, che ha azzerato di colpo gli approdi democratici faticosamente conquistati negli anni, ma la successiva deliberata copertura di quell’abominevole crimine ad opera dei vertici di un’istituzione, come nelle peggiori dittature.

Il riscatto passa per la nuda consapevolezza di questa realtà. In gran parte i delitti commessi rimarranno per sempre impuniti, anche per l’ingiustificabile inadempimento del legislatore all’obbligo assunto sul piano internazionale d’incriminazione della tortura, omissione cui non si è rimediato in questi lunghi anni in cui la vicenda giudiziaria si è compiuta; un segnale ancor più negativo che ancora una volta mette in evidenza quanta riluttanza ci sia non solo a reprimere, ma addirittura a evitare che fatti del genere si possano ripetere.

I crimini dei comandanti che avevano l’obbligo di reprimere i responsabili della violenza e non di proteggerli e di ingannare i giudici e l’opinione pubblica, aggiungendo per le vittime l’ulteriore umiliazione dell’arresto illegale e della calunnia, non avranno purtroppo adeguata sanzione.

L’inarrestabile decorso della prescrizione e l’applicazione dell’ennesimo atto di clemenza premiale dell’indulto, due istituti che sanciscono la mantenuta impotenza del sistema penale italiano, hanno di fatto snaturato l’esito di condanna. Resterà infatti da scontare solo una piccola parte della grave sanzione irrogata dai giudici, che non hanno riconosciuto alcuna attenuante ai condannati, responsabili di aver tradito i valori cui avevano giurato fedeltà. Una sanzione residua che in concreto non è adeguata rispetto agli standards richiesti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che imporrebbero l’irrogazione di effettiva e proporzionata pena per le violazioni dei diritti avvenute alla scuola Diaz, ma almeno una traccia tangibile della reazione dell’ordinamento necessaria per il ripristino della fiducia nella legalità.

Nello stesso tempo sgomenta rendersi conto di quale percorso inverso si era seguito, in coerenza con l’operazione mistificatoria e in suo sostegno: carriere inarrestabili e un arroccamento dietro l’altro.

L’inversione di marcia a partire dalla straordinaria durezza dei giudizi espressi nelle motivazioni della Cassazione è così tutt’altro che scontata, senza il ricorso ai valori traditi dagli uomini che hanno corrotto le istituzioni. Se i nostri governanti e i nostri rappresentanti politici e, prima di loro, a Genova quei funzionari di polizia fossero ricorsi allo scudo della nostra Costituzione e delle sue leggi, non solo avrebbero sostenuto meglio i nostri valori democratici nei confronti dei violenti contestatori, ma sarebbero stati forse più efficaci nel contrasto alla violenza antisistema, per reprimerla non meno che prevenirla. 

E’ una lezione che il G8 di Genova poteva insegnare ancor prima dei disastri che su scala internazionale avrebbe provocato la “guerra al terrore” dopo l’11 settembre, con le giustificazioni di prassi ancor più devianti in altri sistemi democratici. E’ amaro constatare che i nostri apparati erano già adusi alla devianza e per molto meno. Chi ha sostenuto contro l’evidenza i responsabili dell’operazione Diaz, non ha così sostenuto l’istituzione, ma solo quel potere che ha mostrato nello scempio dei diritti cinica indifferenza anche per la sofferenza che infliggeva, come la Cassazione non manca di stigmatizzare.

Il messaggio della Suprema Corte è alto ed è sul piano dei valori, per chi lo vuole intendere. Corruzione per nobile causa è stata definita quella devianza che porta il poliziotto a commettere reati non per interesse personale ma per assicurare un fine istituzionale. Ma quando l’istituzione s’identifica con le persone, la distinzione si fa evanescente. E’ la cultura dei diritti che sola può fare la differenza tra un modo di fare polizia e un altro e quella cultura si manifesta anche soccorrendo una persona colpita a terra, come nessuno dei funzionari condannati ha fatto quella notte del 21 luglio 2001 a Genova.

La scelta è tra promuovere il progresso democratico delle istituzioni, esigendo da ciascuno il rispetto dei valori costituzionali in ogni situazione o assicurarsi, per il potere, referenti cui affidarsi alla bisogna.

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