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Quando la democrazia parlamentare diventa un involucro vuoto

L’ordinamento italiano è affogato da 111mila atti normativi tuttora vigenti, privi una visione degli interessi del Paese. Tra tempi di approvazione eterni, peso dell’iniziativa governativa e smodato ricorso agli emendamenti, la democrazia si presenta così agli occhi dei cittadini come un esercizio formalistico incapace di produrre benefici. In realtà, qualsiasi alternativa è peggiore. L’analisi di Alessandro Volpi

democrazia parlamentare
© Camera dei deputati - Flickr

Uno dei limiti più evidenti della democrazia parlamentare, che si pone alla base della sua crisi ormai da più parti vaticinata, riguarda proprio il funzionamento del Parlamento: un tema su cui molto si è scritto, molto si è proposto e davvero poco si è fatto. Si tratta di un problema certamente non solo italiano ma che in Italia presenta aspetti assai patologici.
In primo luogo, il nostro ordinamento è affogato da una quantità gigantesca di atti normativi tuttora vigenti; sarebbero 111mila le norme ancora in vigore, nonostante le gridate campagne di riduzione dell’inflazione legislativa a partire da quella dell’ex ministro Calderoli che celebrò in pompa magna la cancellazione di ben 325mila provvedimenti. In questo mare magnum, le leggi chiare sono rare ed esiste una forte trazione dell’iniziativa legislativa di origine governativa, spesso suffragata da poco comprensibili elementi di urgenza che tendono a svuotare le vere prerogative del Parlamento. In estrema sintesi, il quadro italiano è caratterizzato da troppe norme, prive di una reale gerarchia sul piano della visione complessiva degli interessi del Paese.

Poi, l’urgenza non si traduce quasi mai in una reale riduzione dei tempi necessari all’attuazione dei provvedimenti. In questo senso pesano due peculiarità tutte italiane. Gli atti che passano nel nostro Parlamento conoscono una miriade di emendamenti: nella XVII legislatura (2013-2018) sono stati votati e approvati ben 13.587 emendamenti solo per quanto riguarda i provvedimenti di iniziativa governativa e per i decreti legge, che significa una media di 36 emendamenti a provvedimento. Negli altri ordinamenti europei la media risulta decisamente più bassa. Per quanto riguarda i tempi di approvazione, l’eccezionalità nostrana tende ad essere ancora più marcata. Sempre nella XVII legislatura per l’approvazione dei provvedimenti di iniziativa governativa diversi dai decreti legge sono stati necessari 286,3 giorni in media mentre per i provvedimenti di iniziativa parlamentare ne sono serviti quasi 600; un dato peraltro reso ancora più incomprensibile dal fatto che è risultata sufficiente una sola lettura in entrambe le Camere per l’88% dei decreti legge, per l’87,4% dei provvedimenti governativi diversi dai decreti legge e per il 63% dei provvedimenti di iniziativa parlamentare.

Tutto ciò significa che, in genere, nell’arco di una legislatura di cinque anni -durata peraltro assai rara da raggiungere nel caso italiano- vengono prodotte meno di un centinaio di leggi che non siano ratifiche di Trattati internazionali, conversioni o deleghe. Si tratta di una produzione molto limitata che però, in maniera paradossale, si aggiunge al già ricordato quadro normativo generando, in concreto, un senso sempre maggiore di inutilità, e a volte persino di dannosità, dei lavori del Parlamento democratico, destinato ad essere considerato come un inutile orpello di cui si può fare a meno.

Le farraginosità del sistema parlamentare poi emergono con ulteriore chiarezza nel caso della Legge di bilancio che ormai è diventata una camicia vuota, priva di tempi certi, nonostante il suo vincolo costitutivo alla durata dell’esercizio finanziario. Una volta pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, infatti, ha bisogno di decine e decine di decreti e di altri atti necessari per renderla operativa. Il testo del 2018 ne prevedeva oltre 160 che sono stati ridotti quest’anno a poco meno di un’ottantina, destinati a salire rapidamente però dopo l’introduzione degli emendamenti, ancora una volta numerosissimi nonostante la blindatura delle letture parlamentari. Di nuovo, in maniera paradossale, si tratta di stime perché il numero dei decreti indispensabili per trasformare la Legge di bilancio, il più importante provvedimento del Parlamento, in misure concrete, necessarie al paese, è reso sempre incerto dalla mole impressionante di pagine di cui si compone la stessa Legge di bilancio.

Quest’anno la legge contiene 19 articoli per un totale di oltre mille commi distribuiti su 452 densissime pagine. L’incertezza dei tempi reali di attuazione è complicata dal fatto che la stessa Legge di bilancio non prevede un’unica data di inizio della vigenza dei provvedimenti in essa contenuti ma una serie confusa di rinvii a date successive che consentono ai medesimi provvedimenti di non essere ancora definiti. Per citare un esempio, il provvedimento sul taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, dal costo stimato in 3 miliardi di euro, è rinviato a luglio ma non ha ancora nessuna norma chiara in merito alla sua applicazione e ai suoi beneficiari.

Non è difficile capire, in simili condizioni, perché le democrazie parlamentari tendano ad essere vissute come un involucro istituzionale sempre più vuoto e autoreferente; l’attività legiferante, cuore pulsante della tradizione liberale e democratica, tende a presentarsi come un esercizio formalistico incapace di produrre benefici effetti in tempi accettabili e quindi le democrazie finiscono per essere interpretate come un intralcio da rimuovere nel più breve tempo possibile, dimenticando che ogni altra forma istituzionale è sicuramente peggiore.

Università di Pisa

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