Ambiente / Opinioni
Data center, nuovi divoratori di suolo in arrivo

Le linee guida per la valutazione ambientale degli enormi capannoni pieni di server sono troppo deboli. Altro che passo storico per l’Italia. La rubrica di Paolo Pileri
Nuove minacce per il suolo, sempre meno riconoscibili, sempre più spregiudicate e mascherate dall’imperativo tecnologico che si impone come ecologico, senza esserlo davvero. Tocca ora ai data center, i giganteschi capannoni pieni di server per gestire la crescente quantità di dati che ha in pugno la nostra modernità.
I data center sono scatole di cemento che hanno bisogno di tanto suolo (da dieci a trenta ettari e più) ed energia. Ultimamente i grandi amministratori di dati stanno premendo forte per costruirne di nuovi anche in Italia. E non vogliono certo perdere profitti né tempo in valutazioni di impatto ambientale (Via), visto che loro ritengono di essere strategici e già sostenibili. In più utilizzare energia rinnovabile a loro basta per definirsi green. Non è ovviamente così. Non certo per il suolo.
I data center sono dei capannoni come quelli della logistica e quindi ugualmente divoratori di suolo. Ma la cosa non ha messo in allarme il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) che durante il bollente agosto scorso ha pubblicato le “linee guida per le procedure di valutazione ambientale dei data center” che la viceministra all’Ambiente, Vannia Gava, ha definito un “passo storico” per l’Italia e l’Europa. È davvero così? Per il suolo sono semmai un passo da gambero.
Sotto la solita propaganda, scopriamo linee guida che non impongono nessun risparmio di suolo, ma che sono l’ennesimo esercizio acrobatico di ambiguità farcito di imprecisioni grossolane e di indicazioni buone solo sulla carta, ovvero sempre facilmente aggirabili. I margini per fare meglio c’erano, ma si è optato per nulla di prescrittivo e per nessuna vera garanzia di tutela dei suoli. Per localizzare un data center, il ministero dell’Ambiente si limita a suggerire di dare “priorità ai siti dismessi”, che non vuol dire affatto che vanno scelti solo quei siti. Anche de-costruzione e de-impermeabilizzazione sono declassate a “proposte” che lo sviluppatore può “valutare” senza sentirsene obbligato: giammai.
Ad agosto 2024 sono state adottate le linee guida ministeriali che spianano la strada a nuovi data center, temibili e disinibiti consumatori di suolo per il futuro
Insomma linee guida cucite addosso a un ministero per il quale il suolo non deve disturbare il manovratore forzandolo a non consumarlo. Altro che passo storico. Non lo è neppure il capitolo sulle compensazioni dove si fa capire, sbrigativamente, che il suolo è consumabile: basta rimediare qua e là rafforzando -non si capisce come- “le connessioni ecologiche o i servizi ecosistemici”. Lo abbiamo spiegato mille volte: la compensazione è un cerotto che non sana alcuna ferita, men che meno se scambia “Roma per Toma” ovvero se si consuma suolo e si mette una pezza piantando qualche pianta. Non è così che funziona: il suolo è una cosa, le piante un’altra. E non funziona neppure la confusionaria proposta di decommissioning con annesso ripristino delle aree basata su un piano di dismissione da “dettagliare due/tre anni prima”. Così, se improvvisamente il data center fallirà, lo Stato si troverà con un pugno di mosche in mano e nessun piano di dismissione: non c’è stato tempo. Nessun passo storico per il suolo.
Mi chiedo: le forze politiche verdi e progressiste cos’hanno fatto per contrastare un documento del genere? I comitati locali dovranno impazzire per opporsi a questi nuovi assalti al suolo. Non se la prendano solo con i data center, ma anche con chi non ha vigilato per tempo nelle giuste sedi politiche e tecniche e con chi tarda colpevolmente a fare meglio di così, rinunciando a educare il proprio sguardo e il proprio pensiero al principio ecologico.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Dalla parte del suolo” (Laterza, 2024)
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