Economia / Opinioni
Il costo del denaro al tempo della più grave crisi di sempre
Immettere nuova liquidità sul mercato potrebbe non bastare per uscire dal vicolo cieco. Occorre una nuova idea di moneta. La nuova rubrica “Il dizionario economico dell’ignoto” a cura del prof. Alessandro Volpi
Moneta e liquidità internazionale. La crisi pandemica sembra destinata a modificare in profondità il contenuto di alcuni termini del linguaggio economico, a cominciare da quelli fondamentali come la moneta. Semplificando molto sono stati distinti, storicamente, vari aggregati monetari corrispondenti a diverse definizioni di moneta. Un primo aggregato (chiamato M1) comprende soltanto i mezzi di pagamento, rappresentati dal circolante e dai depositi in conto corrente utilizzabili attraverso gli assegni. Un secondo aggregato (chiamato M2) comprende, oltre ai mezzi di pagamento, i depositi bancari a risparmio e infine un terzo aggregato (M3) include, oltre alle attività comprese in M2, anche attività meno liquide, quali i depositi e i buoni fruttiferi postali, compresi i BOT detenuti dagli operatori non bancari. Con l’introduzione dell’euro, l’aggregato di riferimento per la moneta è diventato M3 che comprende oltre al circolante e ai depositi bancari, anche le operazioni pronti contro termine e i titoli con scadenza inferiore ai due anni.
È evidente che se si paralizza la produzione di reddito, questa impostazione monetaria inizia a traballare, venendole a mancare troppi elementi costitutivi, a cominciare dal risparmio. La liquidità internazionale, invece, è composta dalle riserve auree e in valuta pregiata detenute dalle banche centrali e da altre attività particolari come i diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale. Alla disponibilità di liquidità internazionale è legata la possibilità, per le autorità monetarie di un Paese, di finanziare il deficit della bilancia dei pagamenti e di rimandare a un periodo successivo l’aggiustamento della bilancia stessa; una pratica largamente adoperata dopo la crisi del 2008. In questo quadro la politica con cui, nei Paesi più forti, le banche centrali hanno cercato per decenni di controllare le riserve è stata quella del costo del denaro, ossia con i tassi d’interesse. Ma la moneta creata dalla Banca centrale non arriva direttamente alle famiglie o alle imprese perché viene accreditata nei conti delle banche commerciali che dovrebbero riversarla nell’economia reale.
M2: si intende un aggregato monetario che corrisponde a una specifica definizione di moneta. Oltre ai mezzi di pagamento, tale aggregato comprende i depositi bancari a risparmio
In conclusione, la banca centrale non è in grado di stampare moneta in modo vero e proprio ma, lavorando sul costo del denaro, cerca di incentivare le banche commerciali a prestarlo. Questo meccanismo, che già funzionava poco, ora sembra ancora più paralizzato dalla pandemia e sono diventate sempre più decisive le cosiddette operazioni di mercato aperto effettuate dalle banche centrali che consistono nell’acquisto o nella vendita di titoli presso gli operatori al fine di controllare la base monetaria. In pratica quasi solo con l’acquisto dei titoli dei debiti pubblici viene immessa liquidità nel sistema, ma neppure questo può bastare per uscire dalla peggiore crisi di sempre e allora riemerge l’idea dell’“helicopter money” che deriva da una provocazione fatta dall’economista Milton Friedman nel 1969. A suo giudizio, qualora tutte le strategie ortodosse di politica monetaria non avessero funzionato, sarebbe stato possibile ricorrere alla distribuzione di denaro lanciandolo, appunto, direttamente da un elicottero.
La metafora del padre del monetarismo fu successivamente ripresa nel 2002 da Ben Bernanke che suggerì alla Banca del Giappone di stampare denaro per finanziare un taglio delle tasse e distribuire la moneta direttamente sull’economia. Si può fare? Con una moneta forte come l’euro e in un quadro di deflazione e recessione così marcato, forse sì. Modificando l’idea stessa di moneta.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa.
Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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