Ambiente / Attualità
Il clima che si respira a Madrid. Il racconto della “conferenza delle ambizioni”
La prima settimana di incontri di Cop25 non è stata facile. Nei tavoli tecnici si è discusso degli strumenti di mercato per lo scambio delle quote di emissioni di CO₂ e del meccanismo che regola i finanziamenti ai Paesi che devono affrontare le conseguenze peggiori del climate change. Tra i padiglioni inizia a serpeggiare il timore che anche quest’anno i negoziati si possano chiudere solo con dichiarazioni di intenti
È stata definita la “Cop delle ambizioni”, questa venticinquesima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Eppure, dopo le molte difficoltà incontrate nei tavoli tecnici della prima settimana di incontri a Madrid, tra i padiglioni incomincia a manifestarsi la paura che anche quest’anno i negoziati si possano chiudere solo con dichiarazioni di intenti.
La Cop25 è particolarmente importante perché deve portare a termine il lavoro iniziato l’anno scorso a Katowice in Polonia, dove è stato scritto il libro delle regole che stabilisce come mettere in pratica gli accordi del trattato di Parigi della Cop21 del 2015. L’anno prossimo, durante la Cop26 che si terrà a Glasgow, nel Regno Unito, si entrerà nella fase di attuazione del trattato e le nazioni dovranno comunicare quali obiettivi di riduzione delle emissioni di CO₂ si impegnano a raggiungere.
Su questo punto gli scienziati sono chiari e lo ripetono anche a Madrid. Durante la presentazione dell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, Emission Gap Report 2019, hanno ribadito che per impedire che la temperatura media globale aumenti di 1,5 °C bisogna ridurre le emissioni inquinanti del 7,5% all’anno, da qui al 2030. Gli obiettivi fissati con l’accordo di Parigi non bastano, anche perché le emissioni inquinanti invece di diminuire continuano a crescere. Così anche se gli Stati dovessero rispettare gli impegni presi, secondo i calcoli elaborati dagli autori del rapporto, la temperatura salirebbe di 3,2° rispetto ai livelli pre-industriali (1880-1920).
Sono stati due i temi principali discussi dai tecnici nella prima parte dei negoziati: i meccanismi di mercato per lo scambio delle quote di emissioni di CO₂, contenuti nell’articolo 6 del trattato di Parigi, e il meccanismo di Varsavia per il Loss and Damage che regola i finanziamenti ai Paesi che devono affrontare le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici, come eventi estremi e innalzamento del livello del mare.
L’articolo 6
I meccanismi che questo articolo deve regolare sono anche detti cooperativi perché prevedono la collaborazione tra Stati che hanno ratificato l’Accordo di Parigi per implementare i rispettivi impegni nazionali volontari (NDC) di riduzione delle emissioni. In sostanza si stabilisce un totale massimo di emissioni a livello globale e si cerca di stabilire a chi attribuire la quota di riduzione di emissioni ottenuta grazie a progetti tra Paesi che hanno collaborato. Sono stati definiti tre tipi di strumenti di cooperazione per la riduzione delle emissioni:
– ITMO (Internationally Transferred Mitigation Outcomes ): i Paesi virtuosi che emettono basse emissioni producono crediti (Itmo) e gli altri, che per qualunque motivo non riducono le emissioni, li acquistano. Si tratta di tipologie di crediti previsti dall’articolo 6.2.
– A6.4ER (Emission reduction credits), crediti derivanti da progetti sostenibili svolti in un Paese, e accreditati dall’UNFCCC, e quindi utilizzabili da altri Paesi con lo scopo di ridurre le emissioni di gas serra nei Paesi in via di sviluppo. Sostituirà il Clean Development Mechanism (CDM), stabilito dal Protocollo di Kyoto. Come previsto dall’articolo 6.4
– NMA (Non-market based approaches), previsti dall’articolo 6.8, consistono in diverse forme di finanziamenti non basati sul mercato che vengono destinati verso azioni di mitigazione e adattamento. Per fare alcuni esempi, potrebbero essere nuove tasse per disincentivare comportamenti inquinanti (come la tassa sulle emissioni, carbon tax) oppure programmi di formazione ed educazione al contrasto dei cambiamenti climatici.
Nelle intenzioni dei negoziatori l’articolo 6 dovrebbe spingere i Paesi ad abbassare le emissioni anche coinvolgendo il settore privato nella realizzazione dei progetti. Ma per i più critici si traduce solo in una compravendita di emissioni che rischia di abbassare le ambizioni politiche. A questo si aggiunge anche la preoccupazione per la cancellazione dalla bozza di decisione di alcuni punti con riferimenti ai diritti umani, come l’inserimento di clausole di salvaguardia ambientale e sociale o l’istituzione di un sistema indipendente per denunciare casi di abusi sulle popolazioni locali. Elementi che secondo i rappresentanti della società civile non possono essere lasciati fuori perché molti progetti di cooperazione, in passato, hanno avuto impatti sociali molto importanti.
Loss and Damage
Si tratta del meccanismo che dovrebbe garantire un risarcimento per Paesi in via di sviluppo che subiscono perdite e danni dai cambiamenti climatici, causato dai Paesi più ricchi. I Paesi in via di sviluppo considerano i fondi stanziati finora del tutto inadeguati. Su questo punto non è stato ancora trovato un accordo, è soprattutto il governo degli Stati Uniti che sta spingendo per assicurarsi di non essere ritenuto responsabile dei danni causati dai cambiamenti climatici ai Paesi vulnerabili. I lavori su questo tema continueranno negli ultimi giorni della conferenza insieme a quelli sul Piano per l’azione di genere (GAP) che ha l’obiettivo di promuovere politiche di contrasto ai cambiamenti climatici che tengano in considerazione la condizione delle donne.
I temi rimandati
Sono rimasti fuori da questi negoziati alcuni punti fondamentali, rimandati a data da definirsi. La Cina è riuscita a posticipare la discussione sulla comunicazione trasparente delle emissioni nazionali. Si doveva decidere se fare riferimento a uno schema comune che permette di calcolare il quantitativo di gas dispersi nell’ambiente da ciascuna nazione. Sono rimandate a 2020 anche la definizione delle scadenze temporali nella definizione dei futuri impegni nazionali volontari (NDC). Si doveva decidere se chiedere a ciascun governo di riferire sugli NDC ogni cinque oppure ogni dieci anni. I ministri appena arrivati a Madrid per discutere le bozze di decisioni consegnate dai tavoli tecnici avranno ancora molto da fare per raggiungere un accordo. Intanto, la mattina dell’11 dicembre, gli attivisti guidati da Greta Thunberg, la ragazza svedese leader del movimento dei Fridays For Future, hanno occupato la sala plenaria della Fiera di Madrid per denunciare che i negoziati sul clima sono ancora drasticamente indietro rispetto rispetto alla via indicata dagli scienziati.
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