Opinioni
Conoscere le mafie, costruire la legalità
"In Veneto, la mafia ha il volto degli usurai, degli estortori, dei riciclatori di denaro, ma anche di imprenditori che operano nel ciclo dei rifiuti, che, spesso consapevolmente, aprono le porte delle loro imprese alla mafia nella convinzione di ricavarci comunque un guadagno". L’intervento del magistrato Roberto Terzo nel volume che raccoglie gli atti del progetto “Conoscere le mafie, costruire la legalità”, promosso dalla Regione Veneto, in collaborazione con Anci Veneto e Avviso Pubblico
L’intervento di Roberto Terzo, magistrato della Procura di Venezia, è uno degli approfondimenti realizzati nell’ambito del progetto di formazione "Conoscere le mafie, costruire legalità", promosso dalla Regione Veneto in collaborazione con Anci Veneto e con l’associazione Avviso Pubblico. Un percorso che prende le mosse prende le mosse dalla legge regionale n. 48 del 28 dicembre 2102, denominata “Misure per l’attuazione coordinata delle politiche regionali a favore della prevenzione del crimine organizzato e
mafioso, della corruzione nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile”, e che ha coinvolto 535 persone.
Di questi, 126 sono amministratori di Comuni, Province, Regione, in particolare 113 amministratori comunali (25 Sindaci, 8 Vice Sindaci, 19 Assessori, 53 Consiglieri, 3 Presidenti di consiglio, 3 Consiglieri di quartiere, 1 Consulta giovani); 147 funzionari e tecnici di enti locali (17 Segretari generali, 66 Funzionari comunali, 40 provinciali, 24 regionali); 108 presenze di rappresentanti di forze dell’ordine (14 da Questura e Procura, 23 Polizia di Stato, 49 Polizia locale, 8 Carabinieri, 12 Guardia di finanza, 1 Polizia penitenziaria, 1 Dogane); 66 presenze dal mondo del lavoro (13 sindacalisti, 22 rappresentanti di categoria, 31 professionisti e lavoratori).
In Veneto, le mafie non sono ancora giunte a controllare il territorio. Negli ultimi anni, tuttavia, nella nostra regione c’è stata un’evoluzione poco tranquillizzante rispetto alla presenza di questi gruppi criminali. Con una sempre maggiore difficoltà nel contrastarle. La mafia, classicamente intesa, si può combattere disarticolando una “famiglia” di un paese o di un quartiere: si catturano i vertici e i membri dell’organizzazione criminale, attraverso un’indagine approfondita e ampia, e si arriva all’obiettivo.
Molto più difficile risulta il contrasto in una realtà come il Veneto, un contesto nel quale
non si manifestano i segnali classici della presenza mafiosa, non salta in aria una pala meccanica, non c’è l’omicidio periodico o l’estorsione costante.
Le infiltrazioni della criminalità mafiosa nel Veneto non avvengono con la forza, ma sono favorite da coloro che, in modo complice, hanno aperto la porta a queste forme di criminalità. Ad esempio, alcune persone che consideriamo vittime delle mafie, in particolare alcuni imprenditori, hanno dimostrato una scarsa propensione a collaborare con gli apparati investigativi, in particolare nella fase iniziale delle indagini.
Recentemente, nel corso di un’inchiesta svolta dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia e dalla Direzione investigativa antimafia di Padova (vedi box) sono stati scoperti cento imprenditori sottoposti ad usura. Queste persone avevano bisogno di capitali per pagare i loro debiti e, non trovandoli presso banche e finanziarie, si erano rivolti ad una banda criminale campana
che aveva acquistato una società finanziaria in provincia di Padova. In una prima fase, questi
imprenditori sono stati aiutati e, in un secondo momento, sono stati usurati e costretti a trovare
altri loro colleghi in difficoltà da segnalare alla banda. Da vittime, sono diventi complici.
Le infiltrazioni mafiose in Veneto, come dimostra questa vicenda, non sono contraddistinte da una criminalità che arriva armi in mano e si impone con la violenza e l’intimidazione. I mafiosi trovano una insospettata disponibilità, in particolare negli attori economici, che si associa, venendone amplificata ad un declino etico e morale presente nella società; una società in cui ciò che conta è aumentare il fatturato e portare a casa gli “schei”.
In Veneto, la mafia ha il volto degli usurai, degli estortori, dei riciclatori di denaro, ma anche di imprenditori che operano nel ciclo dei rifiuti, che, spesso consapevolmente, aprono le porte delle loro imprese alla mafia nella convinzione di ricavarci comunque un guadagno.
L’iconografia del Veneto austroungarico estraneo al rapporto con il crimine è un’immagine non più reale.
Imprenditori, vittime, spesso consapevoli
L’infiltrazione criminale avviene infatti sempre con il consenso della vittima che, consapevole o meno della “qualità” dell’interlocutore, accetta l’offerta dell’organizzazione criminale.
La differenza sta nel suo grado di conoscenza e nelle sue aspettative, così che l’imprenditore può
essere: vittima a tutti gli effetti (tipico il caso dell’usurato o dell’imprenditore finanziato e poi spossessato); in parte complice (nelle interposizioni o frodi fiscali) ma essenzialmente vittima;
complice, mandante o addirittura compartecipe a tutti gli effetti dell’organizzazione criminale.
Quando un imprenditore veneto deve riscuotere un credito e non vuole rivolgersi alla giustizia perché questa ha tempi troppo lunghi, si rivolge ad un gruppo criminale che, con i suoi strumenti di convincimento, gli fa ottenere quel risultato in maniera coattiva ma, si badi bene, a discapito degli altri creditori che vengono quindi penalizzati.
La criminalità si sostituisce all’inerzia dello Stato, ma così si va verso il precipizio.
Di fronte a questo scenario, il segnale inquietante è che si assiste all’assoluta indifferenza del dato reale e, in particolare, alle condizioni strutturali dell’economia veneta che favoriscono
l’infiltrazione mafiosa, particolarmente nel settore delle piccole/medie imprese.
Gli ultimi anni hanno dimostrato come molti imprenditori continuino ad operare anche quando, nei fatti, non ne hanno più nè il diritto nè la possibilità e come la loro insolvenza, non venendo tempestivamente dichiarata, diventi fattore di contagio estendendo, a cascata, la crisi delle loro imprese a quella dei loro fornitori con risultati di gravità esponenziale.
Gli effetti possono essere devastanti perchè nell’immediato determinano un complessiva indebolimento del ceto imprenditoriale di un territorio. Un tessuto imprenditoriale indebolito diventa facile preda delle infiltrazioni di organizzazioni mafiose che dispongono di ingenti risorse finanziarie da investire e di metodi criminali per farle fruttare. Queste infiltrazioni non sono spesso reversibili e, al passare della crisi, le società non vengono restituite agli imprenditori, ma restano sotto il controllo delle organizzazioni criminali.
L’intervento preventivo per ristabilire la salute del sistema
Se il sistema avesse messo tempestivamente fuori gioco quella società decotta, l’organizzazione criminale non avrebbe avuto l’occasione di infiltrarsi. Occorre dunque sottrarre le occasioni di investimento di capitali sporchi.
Non è un caso che tutte le vittime di usura della vicenda di cui si è fatto cenno, fossero in condizioni di insolvenza nel momento in cui sono stati agganciate dalla organizzazione criminale. Si dirà che questa è una situazione classica per l’usura, ma diventa estremamente significativa se riferita a centinaia di imprenditori, a percentuali non più irrilevanti del tessuto imprenditoriale della regione Veneto che continuava ad operare anche in condizioni di totale decozione, senza che il sistema li avesse bloccati, attuando tempestivamente gli strumenti della definizione concordata dell’insolvenza.
Certamente un riassetto delle norme che presidiano il buon andamento dell’economia può contribuire efficacemente al rafforzamento del tessuto economico e imprenditoriale, espungendo per tempo quelle imprese che non hanno assolutamente i requisiti fondamentali per operare e producono solo turbative e distorsioni al sistema.
Di stretta conseguenza un simile intervento avrà l’effetto di sottrarre alle organizzazioni criminali occasioni facili di infiltrarsi in profondità nel tessuto economico di regioni cui sono storicamente estranee.
Occorre soprattutto procedere con urgenza a modifiche alla disciplina del fallimento e del concordato preventivo per governare in tempi più rapidi le situazioni di crisi patologica dell’impresa.
La procedura fallimentare, negli ultimi anni, ben lungi dall’irrigidire il controllo della autorità pubblica si è in qualche modo privatizzata, ampliando i metodi e le occasioni di composizione stragiudiziale dell’insolvenza. Gli stessi concordati preventivi, introdotti per evitare la definitiva insolvenza ed approvati solo quando venga promesso il pagamento di una percentuale risibile dei crediti, si traducono dopo anni in dichiarazioni di fallimento, ma intanto l’impresa ha continuato ad operare e fare danno agli altri imprenditori o ad essere completamente saccheggiata dallo stesso imprenditore.
"Aspide", il primo 416-bis del Veneto
L’inchiesta Aspide ha portato all’arresto e alla successiva condanna di un gruppo di malviventi
campani vicini al clan dei casalesi. In Veneto, il gruppo criminale aveva acquistato un’agenzia di recupero crediti dietro la quale svolgeva attività usuraia, fallimenti pilotati, ecc. Dal lavoro degli investigatori è emerso che questa attività era possibile grazie ad un sistema di complicità in cui operavano non solo imprenditori, ma anche professionisti veneti, come ad esempio commercialisti, notai, intermediatori d’affari, consulenti.
Al termine del dibattimento (maggio 2013), il Tribunale ha confermato l’applicazione del reato di associazione a delinquere di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) impostazione poi integralmente confermata, nel marzo 2014, dalla Corte di Appello di Venezia.
* Magistrato della Procura di Venezia, già membro della Direzione distrettuale antimafia
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