Opinioni
Con la famiglia sulle spalle
La donna è da sempre l’architrave su cui poggia il peso del welfare domestico. La retorica dell’“aiuto
alle famiglie” in difficoltà, in questa fase di crisi, potrebbe acuire con meccanismi come i voucher questa predisposizione
Nel 2012 verrà celebrato a Milano il VII Incontro mondiale delle famiglie (www.family2012.com). Nonostante vengano considerate un mattoncino fondante della società in quasi tutto il mondo, mi chiedo spesso se la retorica che la nostra società stia costruendo intorno al concetto di famiglia sia in realtà una trappola per le donne, e non la tanto proclamata libertà di scelta. Già nella nostra Costituzione, la famiglia viene riconosciuta come “società naturale fondata sul matrimonio”, e il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi all’articolo 29. L’articolo 143 del Codice civile ribadisce chiaramente il concetto: “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.
Ma la trappola arriva all’articolo 37, dove la Costituzione dice chiaramente “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Qual è l’essenziale funzione familiare? E soprattutto perché la “sua”? Ovviamente la riproduzione è funzione essenziale della società ed è altrettanto logico proteggerne il diritto, ma il fatto che la storia ne abbia appioppato solo alla madre le responsabilità è stata una scelta, che ancora oggi le donne italiane pagano cara, in termini di eccesso di lavoro domestico, di responsabilità di cura dei bambini e di mancato accesso al mercato del lavoro. Non è un caso, infatti, se ancora oggi -nonostante una legislazione sui congedi parentali all’avanguardia- solo il 5% degli uomini usufruisca della “paternità”. Questo si cela dietro alla retorica della famiglia, e anche quando si parla di “aiutare la famiglia” si sottintendono le donne. La famiglia è fatta di individui: c’è un uomo, che lavora fuori casa e guadagna di più, una donna che lavora soprattutto dentro casa e guadagna di meno, e ci sono le persone che da loro dipendono per la cura e gli aiuti, che sono bambini, gli anziani non autosufficienti e i portatori di handicap.
Questo è il modello di cui è intrisa la nostra Costituzione, il nostro apparato legislativo e la nostra cultura. Anche il documento diffuso dall’ex ministro del Welfare Maurizio Sacconi nel marzo del 2011, titolato “Le nuove relazioni industriali e di lavoro a sostegno delle politiche di conciliazione”, è molto attento ad utilizzare un linguaggio neutrale, ma come nella Costituzione la trappola scatta nel dettaglio. Il documento spiega che “le parti definiscono e concordano le seguenti linee guida a sostegno della famiglia, della donna e delle politiche di conciliazione”. Nonostante il tentativo di sembrare neutrali da un punto di vista di genere, non ce la si fa a parlare di famiglia, di conciliazione, senza infilarci dentro il responsabile di tutto questo, il vero soggetto della normativa: la donna. Da una veloce ricerca su internet emerge chiaramente che sono pochissimi gli assessorati all’Industria o alle Attività produttive cui viene associato il termine genere o pari opportunità, mentre ce ne sono moltissimi dove il termine politiche di genere o pari opportunità è associato all’assessorato delle Politiche sociali e della Famiglia. È fondamentale, oggi che le risorse finanziarie disponibili scarseggiano, tenere presente che le strade da percorrere per aiutare le famiglie, hanno effetti molto diversi sul futuro delle donne. Una prima strada, quella che vede la politica del welfare diventare la politica del voucher, prevede che lo Stato sussidi le famiglie affinché siano loto (ancora le donne, quindi) ad occuparsi del welfare, a seguire le loro inclinazioni “naturali” e prendersi cura di tutto. In questo modo il welfare rimane domestico, affare privato e non direttamente retribuito. Sono di questa logica il quoziente familiare, gli assegni familiari, i voucher per la scuola, per il nido, per la Sanità. La seconda strada è quella di riconoscere che oggi in Italia non esiste la “famiglia” che si occupa del welfare familiare, ma lo fanno soprattutto le donne, e quindi l’aiuto deve essere dato per sgravare le donne da questo peso e trasformare l’aiuto privato in servizio sociale pubblico.
La famiglia, per anni una trappola per le donne, deve essere una scelta, libera, consapevole e felice. Bisogna vigilare con sguardo di genere sulla nuova retorica che si sta sviluppando intorno a questo concetto, per ribadirne l’importanza nell’uguaglianza e non lasciare la donna sola, concentrando su di lei le responsabilità che sono della società nel suo complesso. —
* Elena Sisti | ECONOMISTA, AUTRICE DEL LIBRO “LE DONNE REGGONO IL MONDO” (ALTRECONOMIA, 2010)