Economia
Come ti condiziono il piccolo. Scuole di conquista – Ae 21
Numero 21, ottobre 2001 I consumatori è meglio prenderli da piccoli, nel loro ambiente naturale: la scuola, che può diventare un vero e proprio terreno di marketing. Lo spiega Naomi Klein nel suo No logo: “Per lungo tempo è esistita…
Numero 21, ottobre 2001
I consumatori è meglio prenderli da piccoli, nel loro ambiente naturale: la scuola, che può diventare un vero e proprio terreno di marketing.
Lo spiega Naomi Klein nel suo No logo: “Per lungo tempo è esistita una frontiera che le grandi aziende non riuscivano a superare… Quel posto si chiama scuola. Ed era ovvio che i marchi volessero a tutti i costi entrare nelle scuole”. Gli Stati Uniti della Klein sono un caso limite -qui i “marchi” sono ovunque nelle scuole- ma anche in Italia le aziende non sono ferme ed entrano nelle scuole e nelle università in diversi modi: con kit didattici, concorsi a tema, stage, finanziamenti.
Ed era ovvio che i marchi volessero a tutti i costi entrare nelle scuole”. Gli Stati Uniti della Klein sono un caso limite -qui i “marchi” sono ovunque nelle scuole- ma anche in Italia le aziende entrano nelle scuole e nelle università in diversi modi: con kit didattici, concorsi a tema, stage, finanziamenti.
Può capitare allora che i vostri figli imparino a rispettare il codice stradale grazie a Fiat, a usare il computer con Microsoft o a lavarsi i denti con Mentadent.
Pubblicità mascherata? “Oltre a un discorso di immagine -spiega Andrea Griva del Servizio di comunicazione del gruppo Fiat- è un’opportunità di fare informazione e, in senso, lato, cultura”.
Ma perché rivolgersi ai giovani? “Perché sono i cittadini, gli studenti e i clienti di domani”.
E hanno alle spalle famiglie che sono i clienti di oggi.
Senza contare che, secondo uno studio commissionato dall’Unione europea sull’argomento, due terzi dei prodotti che le persone usano da adulte sono le stesse che usavano da bambine.
Fiat è tra le aziende più attive nel settore, dal 1992 in modo sistematico con il programma “Fiat per la scuola”. Del primo kit didattico sono state distribuite 5 mila copie, gli studenti raggiunti sono 225 mila. Dal ’92 a oggi il programma non si è mai interrotto, i ragazzi contattati sono stati oltre 7 milioni e 700 mila in tutta Italia, 4 milioni e 400 mila le loro famiglie.
Dalle elementari alle medie, Fiat propone le sue scatole colorate: schede, giochi, cd rom, cartelloni. Prodotti accurati che, però, mentre ti parlano di tecnologia e sicurezza ti presentano il Centro sicurezza Fiat, “una struttura d’avanguardia nel suo campo”, oppure, se l’argomento è la mobilità, parlano del Centro ricerche Fiat. O, ancora, se l’argomento è l’ambiente, si parla di auto elettriche e dei diversi modelli “costruiti e collaudati con successo dalla Fiat”, oppure di auto da riciclare e del sistema Fiat Auto Recycling.
Spesso le aziende affidano la realizzazione dei kit didattici a società di comunicazione e marketing. Come “La Fabbrica”, sede principale a Milano e uffici anche a Torino e a San Paolo in Brasile. E tra i clienti maggiori proprio Fiat.
“I motivi per cui le aziende si rivolgono a noi sono diversi -racconta Rossella Sobrero, amministratore delegato-. Fiat crede di avere anche delle responsabilità sociali nella preparazione dei kit, altri invece hanno interessi più specifici. Come Sangemini: con il suo ‘Progetto acqua’ spiega che l’acqua fa bene all’organismo e che non tutte le acque sono uguali. Lo fa perché le interessa la qualità dell’acqua, ma anche per giustificare l’elevato prezzo del suo prodotto”.
Ma quanto costa un kit didattico? È gratuito per gli insegnanti che ne fanno richiesta, a spendere sono le aziende. “La Fabbrica” di solito propone un percorso che duri almeno tre anni (“Altrimenti sono soldi buttati -spiega Sobrero- perché non si riesce a creare una collaborazione con i professori”): così un progetto può venire a costare dai 300 milioni ai 3-4 miliardi. Sempre troppo poco rispetto a quello che un’azienda spende in pubblicità, sottolineano a “La Fabbrica”: un “big spender” arriva a investire anche 5-600 miliardi l’anno in promozione.
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Anche Microsoft ha deciso di investire sulla scuola, settore in cui ha impegnato tra i 5 e i 6 miliardi negli ultimi due anni. Diverse le modalità: fornitura di software gratuiti o a prezzi agevolati per studenti, finanziamenti di master universitari e borse di studio.
L’interesse di Microsoft Italia per il mondo della scuola è andato aumentando negli ultimi 8 anni. Le proposte sono molte e diversificate. Uno degli strumenti usati per entrare nelle aule è il “Tour scuole”, strutturato come corso di formazione per spiegare ai docenti come usare i programmi Microsoft per la didattica. Ogni anno si tengono un centinaio di incontri, nel 2001 sono stati contattati 5.000 insegnanti.
Ma Microsoft non si è fermata qui. Nel 1997 ha siglato una convenzione con il ministro della Pubblica istruzione nell’ambito del “Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche”, pensato dal ministero per la “formazione dei docenti e per l’utilizzo generalizzato della multimedialità nella didattica”.
Per questo Microsoft ha preparato due pacchetti di programmi che vengono venduti a prezzi scontati alle scuole. Di più, secondo la convenzione “il ministero potrà autorizzare la Microsoft alla realizzazione… di corsi di aggiornamento”. Questo è un vantaggio anche per i docenti, ai quali viene rilasciata “attestazione valida ai fini dell’aggiornamento”. Ancora: Microsoft ha stretto accordi con alcune università (Milano, Torino, Trieste) e con l’Istituto tecnico “Maxwell” di Nichelino in provincia di Torino. Le scuole organizzano corsi per ottenere la “certificazione Microsoft” sull’uso di particolari programmi. L’azienda paga la formazione dei docenti che si occuperanno del corso, fornisce gratuitamente il software alle scuole, gli studenti hanno uno sconto del 50% sul costo dell’esame di certificazione.
Altre aziende entrano nella scuola con una pubblicità più diretta. Come Mentadent (gruppo Unilever), che propone il suo programma di prevenzione dentale in collaborazione con L’Associazione nazionale dentisti italiani (Andi). I medici dell’Andi spiegano agli insegnanti il programma e forniscono la documentazione per le classi. Il materiale è preparato da Mentadent: tra l’altro, un opuscolo a fumetti che spiega l’importanza dell’igiene orale, i danni a cui vanno incontro i denti trascurati, gli strumenti da usare. Le ultime quattro pagine del libretto riproducono con foto e didascalie i principali prodotti Mentadent: dentifrici, spazzolini, colluttori. Un altro pieghevole è più esplicito: dopo la lezioncina sull’igiene orale si spiega che “I prodotti Mentadent ‘Denti in crescita’, studiati e realizzati per i bambini dai 3 agli 11 anni, hanno le caratteristiche che abbiamo descritto e altre ancora”. E campioni gratuiti di dentifricio vengono regalati agli insegnanti.
Ma questa è una vecchia storia e lo racconta, ancora, Naomi Klein: “Negli anni Venti… le aziende produttrici di spazzolini da denti si recavano nelle scuole americane a tenere lezioni sul corretto modo di lavarsi i denti”.
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Università su misura?
Anche l’università è un settore strategico. Molte aziende finanziano corsi o master, alcune diventano addirittura cofondatrici di nuovi corsi di laurea. Come Fiat, che nel 1999 ha contribuito, con il Politecnico di Torino, alla creazione del corso di laurea in Ingegneria dell’autoveicolo.
Il corso si tiene al Lingotto, storico stabilimento dell’azienda (oggi inattivo), su un’area di 10 mila metri quadrati ristrutturata da Fiat per l’occasione con una spesa di 44 miliardi di lire.
Altri 45 miliardi l’azienda ha deciso di impiegarli come sostegno alle spese di gestione per i primi 10 anni.
Ma il ruolo di Fiat non finisce qui: tra i docenti dei corsi, infatti, figurano anche alcune figure “aziendali”, manager e tecnici specializzati in gestione amministrativa, processi produttivi, tematiche finanziarie. I “professori aziendali” costituiscono il 40% del totale.
Al termine del primo biennio di corso gli studenti possono partecipare a un tirocinio aziendale. Al primo anno di corso si erano iscritti 60 studenti, dopo selezioni molto dure (un ammesso su 6 candidati); al secondo anno anno accademico i corsisti erano 120.
Pressing aziendale sugli insegnanti: ora anche oltreoceano
“La Fabbrica” -società di comunicazione e di pubblicità- con Fiat, è sbarcata in Brasile. Perché il Paese sudamericano è il secondo mercato al mondo per le automobili della multinazionale torinese. Così “La Fabbrica” è volata a San Paolo, dove ha aperto un nuovo ufficio e Fiat ha esportato oltre Atlantico i suoi kit didattici. L’ultima novità si chiama “Retrato do Brasil”, è disponibile anche nella versione italiana, e si divide in quattro filmati su caratteristiche brasiliane: acqua, biodiversità, immigrazione e integrazione, componente africana.
“La Fabbrica” non ha perso l’occasione di ingrandirsi e oggi in Brasile, oltre a Fiat, segue anche altri clienti. In Italia come all’estero il modo di operare nelle scuole è lo stesso: l’azienda presenta le sue necessità, a tutto il resto pensa la società di comunicazione. Si parte dalla progettazione, affidata a un team di esperti di didattica, creativi, ricercatori ma anche pedagogisti e psicologi. Segue la realizzazione del kit e poi -fondamentale- la promozione. Canale principale è quello del “direct mailing”: i kit didattici vengono proposti per posta ordinaria o elettronica a tutte le scuole e ad alcuni docenti con mail personalizzate.
Come rinforzo parte la sezione telemarketing, con telefonate -“argomentate e strutturate”- a presidi e insegnanti, per i quali vengono anche organizzati incontri di “informazione e formazione”.
A tutto questo vengono affiancati dei “concorsi a tema per il target studenti” e “azioni incentive per il target docenti”. Infine, la società milanese di comunicazione, ha avviato anche un Dipartimento ricerche, che si occupa di sondaggi e indagini sul mercato “scolastico”.
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Lezioni interessate
In Europa la pubblicità nelle scuole viene comunque tollerata. È una delle conclusioni dell’indagine Le marketing à l’école commissionata nel 1998 dall’Unione Europea sui Paesi membri.
In sintesi: ovunque esistono ormai pratiche promozionali, anche in quegli Stati -Belgio, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo e Portogallo- in cui la legislazione nazionale le vieta espressamente. E questo è possibile grazie alla forma che la pubblicità assume per entrare nelle scuole: concorsi, kit educativi, sponsorizzazioni (per attività esterne come visite a musei, o gare sportive per esempio).
Se la proposta dell’azienda ha anche un’apparenza didattica, insomma, è difficile che venga criticata o respinta al mittente.
I temi ricorrenti sono nutrizione, energia, acqua, salute e igiene, sicurezza stradale, economia domestica, mezzi di trasporto. E poi ci sono casi più diretti, come Colgate che si occupa di igiene orale, settore collegato proprio ai suoi prodotti.
Perché le scuole accettano le offerte didattiche delle aziende?
Perché spesso si tratta di prodotti di buona qualità, ma soprattutto perché gli istituti hanno “difficoltà nel reperire i fondi necessari per offrire agli alunni attività interessanti usando materiali di insegnamento nuovi, soprattutto per argomenti che di solito non vengono considerati essenziali dai ministeri dell’educazione”.
Le regole, quando esistono, sono difficili da applicare, perché un conto è bandire i messaggi pubblicitari dalle scuole, ma “sponsorizzazioni o distribuzione di materiale educativo sono pratiche commerciali?”.
Su questo non esiste una posizione unica. E non esiste alcuna legge dell’Unione europea in materia.
Anzi, alcune istituzioni considerano positiva la collaborazione tra scuola e aziende. Basti pensare all’Italia, dove i ministeri firmano spesso convenzioni con le aziende su progetti per la scuola.
Ecco, di seguito, cosa succede in alcuni Paesi dell’Unione.
Germania
Il marketing nelle scuole è proibito nella maggior parte delle regioni tedesche: la regola generale è che la scuola deve rimanere un luogo protetto dalle pratiche commerciali. Alcuni Länder, invece, la pubblicità la permettono. Tra i più “aperti” il Nordrhein-Westfalen e il Sachsen. E poi lo stato di Berlino, che è orientato ad ammettere l’affissione di manifesti pubblicitari all’interno scuole.
La motivazione è in una nota di fondo, come riporta lo studio dell’Uonione Europea: “L’ambiente socio-economico del mondo moderno e le condizioni di finanziamento delle scuole non giustificano il divieto puro e semplice”.
Austria
Pubblicità a scuola proibita (tranne che per materiale fornito a titolo “didattico”) fino al 1996, quando è stata permessa la promozione di prodotti o servizi a patto che questo non interferisca con la missione scolastica (“sviluppare i talenti dei giovani secondo i valori morali, religiosi, sociali, così come i valori di verità, bontà e bellezza”).
L’anno successivo, il 1997, segna un cambiamento più netto: la legge sulla pubblicità viene cambiata e la pubblicità nelle scuole -compresa l’affissione di manifesti promozionali- e le sponsorizzazioni vengono permesse.
Portogallo
È proibita qualsiasi forma di pubblicità nelle scuole. Nel 1998 il codice sulla pubblicità è stato modificato e contiene una regola specifica sull’argomento.
Belgio
La questione è regolata da unalegge approvata nel 1969, che precisa come siano proibite tutte le attività di propaganda politica o commerciale nelle scuole pubbliche o sovvenzionate.
Regno Unito
La responsabilità in materia è dei direttori di ciascuna scuola. Il dipartimento per l’educazione e la scuola non ha un progetto di legge nazionale per regolare il settore, perché considera più appropriato che a occuparsene siano le autorità politiche locali.
Le marketing à l’école sottolinea che qualunque sia la legislazione in corso nei Paesi considerati si trovano esempi di marketing nelle scuole di tutta Europa.
Lo studio completo dell’Unione europea (in francese) si può scaricare dal sito: http://europa.eu.int/ comm/dgs/health_consumer/library/surveys/sur03_fr.html
Per un panorama sulla situazione in Europa e il quadro legislativo nei singoli Paesi sipuò anche consultare il “Forum per l’educazione sulla pubblicità”: www. aeforum.org
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Acqua e motori un concorso non si nega mai
L’educazione sembra stare molto a cuore alle aziende: tutte quelle che abbiamo sentito hanno (o hanno avuto) kit didattici e concorsi per le scuole. Ecco qualche esempio:
Kraft (gruppo Philip Morris)
Diversi progetti, negli anni, come l'”Astrofabbrica” fantasiosa storia di formaggi freschi e “Chiudi il cerchio”, sul riutilizzo dei materiali di scarto.
Del Monte Italia
Kit multimediale “Dalla terra alla tavola” più concorso collegato “Sei un pappafrutta?”. Argomenti: ambiente, agricoltura, alimentazione, con un occhio particolare per le produzioni rispettose dell’ambiente, come l’agricoltura biologica e la produzione integrata. E Del Monte ha proprio una serie di prodotti a lotta integrata. A tutte le classi partecipanti al concorso vengono regalate confezioni di prodotti Del Monte a lotta integrata.
Dixan
Un progetto che è più che semplice pubblicità. “Dixan per la scuola” funziona così: le scuole si iscrivono all’iniziativa e diventano punti di raccolta di tagliandi di Dixan. Più ne raccolgono, più belli sono i premi che ottengono (e che scelgono su un apposito catalogo: computer, software, attrezzature sportive). Tutte le scuole all’inizio ricevono 10 tagliandi omaggio e altri 10 se segnalano un istituto che poi si iscrive. www.dixanperlascuola.it
McDonald’s
Ha preparato “I nostri eroi alla riscossa”, una videocassetta a cartoni animati contro la droga.
Ferrero
L’azienda si scopre molto interessata all’ambiente e lancia tra l’altro il gioco-concorso “L’Inventaparchi” (www.inventaparchi.it).
Sangemini
Kit didattico “Pianeta acqua” e concorso “Amica acqua”. Negli opuscoli anche pagine intere con bottiglie di acqua Sangemini in bella vista.
Iveco
“Overland” propone un viaggio a tappe tra i popoli nativi d’America. Naturalmente in camion.
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Se si fa a scuola non è pubblicità!
La legge italiana non si occupa di pubblicità nelle scuole. E non esiste una struttura pubblica che valuti le proposte educative delle aziende. Esiste però un codice di condotta elaborato dall’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap), che è una struttura privata a cui aderiscono le maggiori associazioni di categoria. Chi infrange il codice viene richiamato da un apposito giurì, i cui provvedimenti non hanno però valore legale ma solo di “indirizzo”. Il codice Iap si occupa di bambini per quanto riguarda la pubblicità di giocattoli, che “non deve indurre in errore” sulle caratteristiche e il prezzo del prodotto. Nomina invece le scuole nella sezione introduttiva, ma in questo modo: “Agli effetti del codice di autodisciplina non costituisce pubblicità la distribuzione a scopo didattico di materiale pubblicitario quando sia richiesto dagli istituti scolastici pubblici o privati e l’uso avvenga sotto il controllo del personale docente”. A trattare di pubblicità in modo sistematico resta l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), ma segue solo la pubblicità ingannevole o comparativa.
Con la recente autonomia scolastica sono presidi e direttori a decidere su kit didattici, concorsi, ma anche su altre forme di “collaborazione” tra scuola e aziende. Molti hanno dichiarato che in futuro saranno costretti a chiedere denaro ai privati (aziende, fondazioni, banche) e questi vorranno qualcosa in cambio: “Ma è una cosa normale -sostiene Agostino Miele, preside dell’Itis Feltrinelli di Milano- l’importante è che l’azienda non entri nelle decisioni didattiche”.
Il futuro? Un canale tv per le scuole
Negli Stati Uniti scuole, aziende e pubblicità sono legate a filo doppio. Lo studio dell’Unione Europea parla di “deriva”. Anche negli Usa esistono i kit sponsorizzati e distribuiti come materiale didattico o per attività nelle aule.
Poi c’è la pubblicità diretta con manifesti sui muri della scuola o sugli scuolabus o società come la Twentieth Century Fox -lo racconta “No Logo”- che ha firmato un accordo con le mense di quaranta scuole, nel 1997: i nomi dei piatti erano quelli dei personaggi del suo film Anastasia. E anche negli States vengono distribuiti ai ragazzi campioni gratuiti di prodotti e si organizzano concorsi sponsorizzati.
Ma la vera particolarità, quello che da noi manca ma che potrebbe diventare il nostro futuro, è Channel One. Una canale televisivo creato per le scuole: ogni giorno i ragazzi, 8 milioni di studenti di 12 mila istituti, assistono a due minuti di vera e propria pubblicità inserita in un filmato d’attualità. Channel One sottrae tempo agli studenti e denaro ai contribuenti, che pagano tasse perché a scuola si insegni. Secondo uno studio del Centro per l’analisi della pubblicità nell’educazione dell’università del Wisconsin, il tempo perso a scuola per Channel One costa agli americani 1,8 miliardi di dollari l’anno (quasi 3 mila e 800 miliardi di lire).
Ecco alcuni siti sull’argomento: http://www.commercialalert.org, www.commercialfree.org, http://badads.org, www.asu.edu/educ/epsl/index.htm