Ambiente / Opinioni
Clima: la lezione di Mann per i nostri inattivisti
Perché “La nuova guerra del clima” è un libro importante per contrastare la crisi climatica e le forze che impediscono il cambiamento. La rubrica di Stefano Caserini
Se possiamo rallegrarci perché i negazionisti climatici hanno perso visibilità e credibilità, una nuova figura sta emergendo nel dibattito sul cambiamento climatico: l’inattivista. Il neologismo è stato introdotto dal famoso climatologo Michael Mann nel suo “La nuova guerra del clima”, da poco pubblicato da Edizioni Ambiente, di cui ho curato l’edizione italiana. È un libro importante nel dibattito su come contrastare la crisi climatica, e le forze che impediscono il cambiamento, nel quale Mann presenta le diverse tipologie di inattivisti del clima: chi diffonde disinformazione, chi inganna, chi cerca di dividere gli ambientalisti, chi vuole rallentarne le azioni, chi sparge disperazione e rassegnazione.
L’inattivista non nega la scienza; anzi, magari dichiara accorato che bisogna fermare il riscaldamento globale al più presto ma nel suo scritto o nel suo intervento televisivo descrive solo i problemi che si creeranno con la transizione energetica necessaria per fermarlo, i timori per i possibili costi per consumatori e aziende con toni da tragedia (“Sarà un bagno di sangue!”). Spesso esagera o anche inventa i dati evitando accuratamente di considerare o mettere in luce i benefici, diretti e indiretti, delle politiche sul clima.
Un argomento che non manca è quanto poco contano le emissioni di gas serra italiane o europee rispetto a quelle mondiali. Il confronto preferito è con le emissioni mondiali della Cina: le nostre emissioni sono meno dell’1% di quelle mondiali, quelle europee meno del 10%. Le conclusioni che seguono sono che bisogna evitare di fare i primi della classe, fare salti in avanti è pericoloso, non possiamo noi illuderci di salvare il mondo mentre gli altri non fanno nulla.
Di solito l’inattivista è poco informato: ha iniziato a occuparsi negli ultimi mesi del problema climatico e non è sfiorato dal dubbio che le argomentazioni che usa sono da un paio di decenni oggetto di analisi approfondite e discussioni. Ad esempio, il confronto con le emissioni degli altri Paesi si potrebbe fare sulle emissioni pro-capite, o anche considerare la responsabilità storica del riscaldamento globale, da cui ne segue che l’Unione europea non può non ridurre drasticamente le sue emissioni. Ma per l’inattivista c’è sempre un modo migliore per farlo. Con la stessa presunzione con cui fino a poco tempo fa sminuiva la pericolosità delle variazioni climatiche, ora l’inattivista vuole insegnare il modo giusto con cui bisogna contrastarle proponendo di farlo, sì, ma non subito.
9% Il peso delle emissioni dell’Unione europea rispetto alle emissioni mondiali. Non deve essere una scusa per non fare la nostra parte.
In questi mesi in cui si è iniziato a discutere del nuovo quadro legislativo europeo sul clima (European Green Deal e “Fit for 55”) è stato un fiorire di inattivisti sulla stampa e in televisione. Se ne sono già viste delle belle ed è molto probabile che sarà così anche in futuro. Ho visto un conduttore televisivo prima chiedere come se niente fosse: “La situazione sta precipitando molto più velocemente di quanto gli scienziati avessero previsto”? (risposta del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani: “Sì, certo”), poi lamentarsi perché con l’auto elettrica non si sente più il brum-brum del motore e si perderanno posti di lavoro nel settore della costruzione delle auto di lusso. Per l’inattivista è meglio una situazione che sta precipitando, e in cui non ci sarebbe più nulla da fare (cosa fortunatamente non vera), rispetto a una grave ma in cui è importante agire al più presto. E se poi lo stesso ministro afferma “abbiamo nove anni per fare il primo passo”, c’è da sperare che sia stato solo un lapsus.
Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2019)
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