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Clima, i 5 nodi da sciogliere a Parigi

Dal 30 novembre la capitale francese ospita COP21, la riunione che sotto l’egida ONU dovrà siglare il nuovo accordo globale per frenare il riscaldamento globale. Federico Brocchieri, coordinatore dei progetti di Italian Climate Network, spiega gli elementi chiave e ancora da chiarire del negoziato in corso. Su tutti, se e in che modo gli obiettivi di riduzione delle emissioni saranno vincolanti per i singoli Paesi. Leggi qui l’approfondimento "Clima, ultimo appello" da Ae 176

Tra meno di una settimana, a Parigi, parte COP21, la Conferenza delle parti delle Nazioni Uniti sul cambiamento climatico (leggi qui l’approfondimento da Ae 176, "Clima, ultimo appello"). I Paesi si riuniscono con l’obiettivo di concludere un accordo sulla riduzione delle emissioni che prenda il posto, a partire dal 2020, del Protocollo di Kyoto.

Federico Brocchieri
è il coordinatore dei progetti di Italian Climate Network, e segue da alcuni anni i lavori in corso in seno all’UNFCCC (United Nation Framework Convention on Climate Change), sia le COP -l’ultima a Lima nel 2014- che i “negoziati intermedi” (“dopo la COP20 ce ne sono stati quattro, tre a Bonn ed uno a Ginevra” racconta).

Dalle ultime sessioni tecniche, racconta Brocchieri, 23 anni e una laurea triennale in Ingegneria ambientale – ora studia una specialistica in Economica dell’Ambiente – è uscito un documento di circa 50 pagine, quello che guiderà l’agenda dei negoziati durante COP21. “A Parigi dovrebbe essere siglato un ‘Agreement’, che conterrà tutte le disposizioni generali e durature per il periodo d’impegno -previsto dal 2020 al 2030- e che con ogni probabilità assumerà la forma di un Protocollo, e una ‘COP decision’, che al contrario sarà composto dagli elementi più specifici ed aggiornabili, fra cui i contributi nazionali volontari che i Paesi si sono impegnati ad ufficializzare: insieme, questi documenti costituiranno il ‘pacchetto di Parigi’”.
 
Uno dei concetti chiave presenti nel draft agreement, nota Brocchieri, “evidenziato insieme ad altri principi nel preambolo, è il principio di equità intergenerazionale. Siamo riusciti a farlo inserire grazie all’impegno di alcuni giovani ed associazioni, come la nostra. Qualora si riuscisse a mantenere nel testo dell’accordo, almeno sulla carta si vedrebbe riconosciuta in maniera esplicita l’idea che sia necessario lasciare il Pianeta in condizioni non peggiori rispetto a quelle in cui lo abbiamo trovato, e che questo riguarda non solo la relazione tra Paesi ma anche tra generazioni”.

Federico Brocchieri è convinto che Parigi, nonostante non riuscirà a centrare appieno agli obiettivi posti dalla scienza, possa segnare un cambio di paradigma nella lotta ai cambiamenti climatici: “Per la prima volta nella storia -spiega- quasi tutti i Paesi del mondo hanno presentato obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni”.
Si tratta degli Intended Nationally Determined Contributions (INDCs), che 150 Paesi hanno sottoposto alle Nazioni Unite alla data del 25 novembre 2015. L’ultimo registrato è quello dell’atollo di Niue, nell’Oceano Pacifico, un’isola di 259 chilometri quadrati dove vivono 1.500 persone. Inizia con queste parole: “Niue’s future is imperilled by the effects of climate change for which it bears absolutely no responsibility” (“Il futuro di Niue è messo a rischio dagli effetti del cambiamento climatico, per il quale non ci sentiamo in alcun modo responsabili”).



A pochi giorni dall’avvio di COP21, così, Brocchieri indica cinque elementi chiave che -se adeguatamente definiti e implementati nel testo- potrebbero determinare un esito positivo della conferenza:

1) Prevedere un sistema di norme efficace che garantisca l’attuazione degli impegni, affiancata da una struttura dotata di meccanismi di monitoraggio, revisione e verifica;

2) definire una roadmap dettagliata e concreta sulle modalità di finanziamento delle necessarie misure di mitigazione e adattamento, a partire dai Paesi in via di sviluppo: il Green Climate Fund, che dovrebbe avere una capacità di spesa di 100 miliardi di dollari all’anno, nel 2014 ha raggiunto una capitalizzazione di “soli” 10 miliardi. Dovrà inoltre essere chiaro da dove arriveranno questi finanziamenti, e in che misura da soggetti privati;

3) capire in che modo verrà concretizzato il meccanismo “loss and damage”, che potrebbe prevedere risorse concrete a sostegno di quei Paesi che subiscono danni già irreparabili a causa dell’incremento in intensità e frequenza degli eventi estremi o dell’innalzamento del livello dei mari;



4) prevedere un meccanismo che vincoli i Paesi a revisionare ed aggiornare periodicamente gli impegni, ed esclusivamente “al rialzo”, al fine di colmare progressivamente il divario fra le misure attuali e quelle necessarie;

5) per ultimo, capire se i contributi nazionali volontari -i sopracitati INDCs- saranno legalmente vincolanti: anche se l’accordo dovesse avere tale status, infatti, ciò non si applicherebbe necessariamente anche alle misure al suo interno.

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