Ciad, armi e petrolio
Le cause dell’insurrezione di febbraio, le cui vittime sono un numero imprecisato, vanno cercate anche in Darfur. E negli interessi petroliferi francesi e cinesi Ribellione in Ciad e guerra in Darfur sono i due lati dello stesso conflitto: difficile spiegare…
Le cause dell’insurrezione di febbraio, le cui vittime sono un numero imprecisato, vanno cercate anche in Darfur. E negli interessi petroliferi francesi e cinesi
Ribellione in Ciad e guerra in Darfur sono i due lati dello stesso conflitto: difficile spiegare l’una senza parlare dell’altra. In Ciad il 2 febbraio circa duemila ribelli sono arrivati nella capitale N’Djamena e hanno assediato il palazzo del presidente Idriss Deby. Poi l’esercito ciadiano ha contrattaccato e i ribelli
si sono ritirati. Gli scontri hanno lasciato sulle strade molte vittime, nessuno forse dirà mai esattamente quante.
I ribelli erano partiti dall’Est, che confina con il Darfur, dove ci sono i campi profughi dei sudanesi (nella foto) fuggiti dalla guerra civile che ha dilaniato il Paese tra il 2003 e il 2005 e che oggi continua “a bassa intensità”. Il presidente Deby accusa il suo collega sudanese Omar el Bashir di armare i ribelli ciadiani, mentre Bashir accusa Deby di sostenere la guerriglia antigovernativa in Darfur.
I ribelli che hanno attraversato il Ciad in una marcia di più giorni, a bordo di circa 300 fuoristrada, armati non solo di kalashnikov ma anche di mitragliatrici pesanti e di lanciarazzi, hanno organizzato un’operazione difficilmente pensabile senza aiuti -finanziari e logistici- esterni. Così come era accaduto nel 2006, essi sono stati sconfitti grazie all’intervento di Parigi.
La Francia mantiene da oltre vent’anni un contingente di un migliaio di soldati nella sua ex colonia. Il 6 febbraio il ministro francese della Difesa, Hervé Morin, è andato a N’Djamena per ribadire il proprio sostegno. Sul quotidiano francese Le Monde, il 12 febbraio, Jean-Francois Bayart (studioso con una lunga esperienza africana) ha scritto che la Francia avrebbe ingaggiato nella battaglia di N’Djamena ufficiali di Stato maggiore, reparti speciali, armi inviate attraverso la Libia. Parigi finora ha ammesso solamente di aver mandato munizioni. Ma se a N’Djamena ci sono i francesi, a Khartoum ci sono i cinesi.
La Cina da una decina di anni non solo è il principale partner commerciale e diplomatico di Khartoum, ma anche ha reso il Sudan la testa di ponte della sua offensiva economica in tutta l’Africa. Alla base di tutto c’è il petrolio; dal 1999 il Sudan è diventato un esportatore di greggio: un oleodotto lungo 1.600 chilometri collega i campi petroliferi del Sud Sudan a Port Sudan, sul Mar Rosso. Pechino compra petrolio e vende armi. Khartoum le utilizza per la guerra in Darfur, dopo aver firmato nel 2005 una pace con il Sud Sudan (dove ci sono i giacimenti di petrolio) che ha chiuso una guerra civile ventennale. Anche in Ciad il binomio petrolio-armi funziona: il Ciad esporta petrolio (soprattutto verso gli Stati Uniti) attraverso un lunghissimo oleodotto che termina sulle coste del Camerun. Con gli enormi guadagni Deby compra armi, soprattutto dai francesi. E così il cerchio si chiude. Inoltre Deby -che come Bashir è un militare salito al potere attraverso un colpo di Stato e successivamente
più volte confermato presidente-ha approfittato della vittoria per dare un giro di vite contro l’opposizione, al punto che la Commissione europea gli ha ricordato che dovrebbe liberare immediatamente i leader dell’opposizione politica non armata messi in carcere.
Vi è infine un ulteriore elemento di complicazione nello scacchiere Ciad-Sudan: il 28 gennaio i ministri degli Esteri dell’Unione europea avevano deciso l’invio “immediato” di una forza militare europea nell’Est del Ciad (e nel Nordest della Repubblica Centrafricana). Obiettivo dichiarato: proteggere
il personale Onu, quello umanitario e soprattutto i civili nei campi profughi. Obiettivo sperato: stabilizzare le regioni orientali del Ciad per facilitare il compito della forza di pace mista Onu/Unione africana che dovrebbe portare la pace in Darfur. Il contingente è composto da circa 3.700 soldati provenienti da Francia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Austria e Irlanda. Anche l’Italia contribuirà con un ospedale e un centinaio di uomini. La missione è stata voluta dalla Francia, ma i ribelli ciadiani non l’hanno gradita: l’attacco su N’Djamena è stato sferrato anche per impedirne la dislocazione.
No, i conflitti africani non sono solo scontri tribali.