Interni
Chi si concentra sul gas
L’obiettivo del governo è di affidare le concessioni nelle mani di pochi soggetti industriali. La privatizzazione sulle spalle dei Comuni e delle bollette —
L’assalto ai servizi pubblici locali continua. La prossima rivoluzione toccherà al settore “distribuzione gas”, che vale il 13,8 per cento della bolletta, in tutto tra gli 800 e i mille euro l’anno per ogni famiglia italiana.
Dall’autunno 2013, infatti, gli enti locali potrebbero essere chiamati a mettere in gara le reti che portano il metano nelle nostre case, e il rischio è quello di una conseguente forte “concentrazione” delle concessioni nelle mani di pochi (grandi) soggetti industriali. Già oggi i primi due operatori –Snam Rete Gas e F2i– controllano le infrastrutture attraverso le quali passa già il 40 per cento del gas distribuito ogni anno a circa 20 milioni di clienti domestici. Sul mercato, però, ci sono oltre 200 operatori: ne potrebbero restare una trentina, quelli che hanno già oggi una dimensione grande e molto grande. Ovvero servono oltre 100mila clienti.
Quello che accade spaventa gli enti locali: a fine luglio 2013, quando andiamo in stampa, i Comuni stanno facendo pressione sul governo Letta, che nell’ambito del “decreto del Fare” ha previsto “misure volte ad accelerare l’avvio delle gare di distribuzione del gas per ambiti territoriali”. L’esecutivo promette che da queste “deriveranno minori costi per i cittadini utenti e significative entrate per gli enti locali”, ma i Comuni sanno che non è vero.
Alle promesse non crede Filippo Bernocchi, che è assessore a Prato e delegato ai temi energetici per l’Associazione dei comuni italiani: il regolamento per i criteri di gara, il decreto ministeriale 226/2011, “è complicato, scritto male, farraginoso e talvolta contradditorio. Il bando tipo limita l’azione degli enti locali: prima, ogni Comune poteva mettere a gara le reti, chiedendo in cambio una una tantum oltre ad una percentuale sui ‘vincoli di ricavo’. Le faccio l’esempio del Comune di Prato: con il nuovo bando, l’una tantum passa da 18 milioni a zero. E la componente della bolletta che tocca al Comune passerà da 1,5 milioni a 250 mila euro”.
La rivoluzione, infatti, è nella modalità dell’affidamento: si è stabilito -sempre per decreto- che il territoro nazionale sia diviso in ambiti territoriali minimi (Atem), dal numero 1, Torino, al numero 175, Siracusa.
“È una scelta fatta a tavolino: si immagina, ‘dall’alto’, che da una concentrazione possano discendere risparmi, grazie alle economie di scala, senza cogliere che per questo ambito dovremmo guardare alle ‘economie di densità’, che con la scala non hanno alcuna relazione -spiega Stagnaro. Si parla di ‘densità di punti di riconsegna’, ovvero di abitazioni, perciò un ambito da 200mila punti di riconsegna in alcuni casi può essere grande, in altri piccolo”. Carlo Stagnaro, che ci spiega la differenza tra economie di scala e di densità, lavora per un think tank “per il libero mercato”.
Secondo Stagnaro le gare finiranno “con il massacrare le piccolissime gestioni”, che oggi sono la maggioranza: secondo il Rapporto 2012 dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, lo scorso anno erano attivi 227 operatori ma soltanto 35 rientrano nelle categorie con “più di 100mila clienti”. In un paper dell’Istitito Bruno Leoni, uscito all’inizio dell’anno, Stagnaro cita un rapporto del centro di ricerca Ref-E (www.ref-e.com): “Delle 235 imprese titolari di concessioni relative ad impianti di distribuzione del gas, 85 avrebbero i requisiti per partecipare [alle gare] solo in forma consorziata; degli altri 150 operatori, 38 avrebbero i requisiti per partecipare sono in uno dei 50 Atem e 14 solo in due Atem”. Ciò significa che eventuali aggregazioni potrebbero rappresentare un via d’uscita, ma solo per i gestori. Di certo, non per gli enti locali.
Se dalla teoria passiamo alla pratica, però, il quadro è un po’ diverso: “Le gare non riguardano la qualità del servizio, ma sono fondate sulla capacità finanzaria di ‘comprare’ queste reti gas per un periodo di dodici anni, e in particolare di garantire il subentro al precedente gestore. Vince chi è capace di attingere a risorse di debito” spiega Roberto Fazioli, docente di Finanza degli enti locali all’Università di Ferrara. Il motivo vero delle barriere all’entrata non è di natura organizzativa ma di tipo finanziario, cioè. Partecipa, e vince, chi può accadere ad un finanziamento bancario, chi può reggere un indebitamento.
Il professor Fazioli pone l’accento sul V.I.R., il valore industria residuo, “una stima del valore reti gas, calcolato per predisporre il bando di gara, sovente dai medesimi gestori attuali. Ciò fa sì che si creino asimmetrie informative. Chi parteciperà a queste gare? I grandi ‘monopolisti’. Le società quotate in Borsa. Oppure fondi d’investimento come quello di Vito Gamberale, F2i. O Hera, Acea, qualche fondo internazionale, Enel, Eni…”.
E gli oneri finanziari ricadranno sulle bollette.
Abbiamo chiesto ad Hera, la multiutility partecipata dai Comuni emiliano-romagnoli e quotata in Borsa, ad oggi il terzo operatore del mercato, se “è possibile -alle condizioni previste dalla gara- competere negli ambiti dove non sia già il gestore?”. La risposta suona come un no: “Virtualmente è possibile -spiega Angelo Bruschi, direttore Energia del Gruppo Hera-. Per prima cosa però occorre valutare la posizione geografica degli Atem: per cogliere le opportunità sulle sinergie essi devono essere contigui alle aree di attuale insediamento Hera. Successivamente interviene poi l’esame della sostenibilità finanziaria. È infatti previsto, nel caso in cui il proprietario non sia un Comune, il riacquisto delle reti da parte del nuovo soggetto entrante. Considerando che un Atem medio (da circa 200.000 punti di riconsegna) potrebbe avere un costo di investimento di almeno 150-200 milioni di euro, andrebbe dunque attentamente verificata la sostenibilità patrimoniale /finanziaria di ogni nuovo intervento”.
Secondo il professor Fazioli si tratta di uno “scippo” ai danni degli enti locali. È il secondo. Il primo sarebbe avvenuto quando le reti sono “finite dentro il patrimonio delle vecchie minucipalizzate, perché tutte le attività di metanizzazione delle città son state realizzate, principalmente, a scomputo degli oneri legati all’urbanizzazione, da soggetti privati in nome e per conto degli enti locali”.
Tutto ciò che accade è conseguenza del “decreto Letta”, ma non dell’ultimo. È solo il punto d’arrivo di un processo lunghissimo avviato nel 2000 (vedi box), quando un giovanissimo Enrico Letta (l’attuale premier aveva allora 34 anni), ministro dell’Industria, firmò il decreto legislativo che aveva l’obiettivo di aprire il mercato del gas alla concorrenza.
L’asimmetria informativa non la vivono solo le società, ma anche il cittadino: come acqua e rifiuti, anche il metano è fondamentale per la nostra vita quotidiana, ma contro la “rivoluzione degli ambiti” non ci sono rivolte, referendum né leggi d’iniziativa popolare; a differenza di acqua e rifiuti, infatti, sappiamo ben poco di chi ci porta il gas per cucinare e per riscaldare l’acqua e le abitazioni. Il fatto è che il cittadino non ha mai “contatti” con chi gestisce le reti di distribuzione, e non sa che una componente fissa più una variabile della tariffa remunerano queste attività. Noi paghiamo il servizio dopo aver ricevuto a casa una bolletta, ma quel contratto lo abbiamo firmato con chi ci vende il gas. È a quella società, il cui nome leggiamo stampato sulla fattura, che versiamo un corrispettivo.
Chi legge è informato dei confilitti sociali ed ambientali legati alla geopolitica del gas (su www.altreconomia.it/lavitadopoilpetrolio le analisi di Pietro Dommarco), ma non sappiamo niente di ciò che accade tra il controllo dei giacimenti e delle infrastrutture di trasporto e i fornelli di casa nostra. Un settore dove la liberalizzazione non è pervenuta. E dove c’è solo privatizzazione. —
In corsa dal 2000
“Nei limiti delle disposizioni del presente decreto le attività di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita di gas naturale, in qualunque sua forma e comunque utilizzato, sono libere”. Il decreto legislativo 164 del 2000, firmato dal ministro dell’Industria Enrico Letta, apre il mercato e definisce la distribuzione come il “trasporto di gas naturale attraverso reti di gasdotti locali per la consegna ai clienti”. Il decreto stabilisce che entro 5 anni -a decorrere dal 31 dicembre 2000- la gestione delle reti di distribuzione debba avvenire con gara. Le cose non sono andate così, e il governo è intervenuto nelle successive legislature.
Con il Ddl 159/07 nasce l’obbligo di organizzare le gare per ambiti territoriali per lo svolgimento delle gare, ponendo una data-limite per farlo al 1° dicembre 2008. Solo il 31 marzo 2011, però, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il cosiddetto “Decreto ambiti”, promulgato dal ministero dello Sviluppo: vengono individuati 177 Ambiti (oggi ridotti a 175 per l’aggregazione di Trento 1, 2 e 3). Il 15 febbraio 2013 arriva in Gazzetta il decreto del 5 febbraio 2013 di “Approvazione dello schema di contratto tipo relativo all’attività di distribuzione del gas naturale”.
Se le gare non partono entro il 1° gennaio 2014, il “Decreto del fare” (69/2013) stabilisce che i Comuni inadempienti debbano essere commissariati dalle Regioni.