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Chi fugge dall’Italia e chi dalle responsabilità
L’“inverno demografico” del nostro Paese procede accanto alla diffusa economia “non osservata”, sommersa, illegale. Cambiare si può. La rubrica di Pierpaolo Romani, Avviso Pubblico
Stiamo vivendo un “inverno demografico”. Lo si legge nell’ultimo Rapporto sugli italiani nel mondo della Fondazione Migrantes presentato nei giorni scorsi. Al fenomeno delle culle vuote si accompagnano la bassa crescita economica e un livello inadeguato, rispetto alla competizione europea, della formazione e dell’istruzione. A fronte di questo scenario, tante persone hanno deciso di lasciare il Paese. Dal 2006 al 2019, secondo la Fondazione Migrantes, la mobilità in uscita dall’Italia è cresciuta del 70%. Attualmente, gli italiani residenti fuori dai confini nazionali, secondo i dati dell’Anagrafe Italiana Residenti all’Estero (AIRE), sono più di cinque milioni. Scappano in tanti dall’Italia. L’Italia è tornata a esser un Paese di emigrazione. Si fugge soprattutto dal Mezzogiorno e non certo per andare a Milano, Torino o Genova. Si va ben oltre, in altri Paesi europei o nelle Americhe. È stata la Svimez, alcuni giorni fa, con la presentazione del suo ultimo Rapporto, a raccontarci come il Meridione si stia spopolando. Dall’inizio del secolo, si legge nel Rapporto, la popolazione di lì è diminuita di 642mila unità e nei prossimi cinquant’anni il Mezzogiorno perderà 1,2 milioni di giovani e 5,3 milioni di persone in età lavorativa. Da più parti si dice che per cambiare le cose è necessario investire risorse anziché tagliarle. È un principio che tutti dicono di condividere ma nel nostro Paese sembra essere un’utopia. Nei fatti, i provvedimenti di bilancio partono sempre dal principio che le risorse mancano. Siamo proprio sicuri che la realtà sia questa?
211 miliardi di euro è il valore della cosiddetta “economia sommersa”. Il dato è stato stimato dall’Istat per l’anno 2017. Per saperne di più: istat.it/it/files/2019/10/Economia-non-osservata-nei-conti-nazionali-2017.pdf
L’Istat ha recentemente diffuso il Rapporto sull’economia non osservata nei conti nazionali. Le cifre sono sorprendenti. Nel 2017 l’economia non osservata valeva qualcosa come 211 miliardi di euro, il 12,1% del Pil. L’economia sommersa -che considera le sottodichiarazioni di imposta sul valore aggiunto e l’impiego di lavoro irregolare- ammontava a poco meno di 192 miliardi di euro e le attività illegali -la produzione e il commercio di stupefacenti, le attività di prostituzione e il contrabbando di sigarette- ammontavano a circa 19 miliardi. I lavoratori irregolari, sempre nel 2017, sono stati stimati in 3,7 milioni, in crescita di 25mila unità rispetto al 2016. I settori dove l’economia sommersa registra i livelli maggiori sono quelli del commercio (all’ingrosso e al dettaglio), trasporti, alloggi (leggasi affitti) e ristorazione. Seguono il settore delle costruzioni -in cui si registrano anche dati preoccupanti rispetto agli incidenti e ai morti sul lavoro- quello dei servizi professionali e dei servizi alla persona. Dati significativi si registrano anche nel cosiddetto settore primario, vale a dire l’agricoltura.
Recuperando anche solo la metà del volume economico dell’economia sommersa e criminale, quanti asili, scuole e ospedali si potrebbero costruire e modernizzare? Quante strade si potrebbero sistemare? Quante tasse in meno pagheremmo? Quanti parchi di mezzi, anche pubblici, si potrebbero modernizzare per ridurre l’impatto dell’inquinamento atmosferico e il fenomeno del riscaldamento globale? Sono domande retoriche. La vera domanda, quella più scomoda, è: perché in Italia l’illegalità è così diffusa e socialmente accettata? Smettiamola di addossare la responsabilità ai politici di turno. Impariamo ad assumerci la nostra.
Con coerenza.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”, www.avvisopubblico.it
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