Economia / Approfondimento
Il “cartello” delle merendine: chi fa affari, anche a scuola
Cinque miliardi di consumazioni, 1,8 miliardi di euro di fatturato e la tendenza a sottoscrivere intese per restringere la concorrenza e guadagnare di più. Ecco perché l’Antitrust ha comminato multe per oltre 100 milioni di euro
Settembre è un mese chiave per i “dirigenti” delle scuole superiori italiane, e non solo per la ripresa delle lezioni. Per alcuni, infatti, sarà il momento del rinnovo dei contratti con le aziende che gestiscono i distributori automatici di cibi e bevande o gli spazi destinati a bar all’interno degli istituti.
È un settore molto ampio che però non ha fonti o regole uniche e uniformi: accanto alle “Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica”, a cura del ministero della Salute e risalenti all’aprile 2010, o a quelle per “L’educazione alimentare” del ministero dell’Istruzione (ottobre 2011, copincollate nella versione 2015 in occasione dell’Expo), si contano “linee guida” di matrice regionale (anche di tipo nutrizionale, provenienti dalle Aziende sanitarie locali) e singole iniziative delle Province, proprietarie degli immobili delle scuole pubbliche superiori. In alcuni casi, in forza dell’autonomia scolastica, è il dirigente scolastico a stipulare il contratto con i responsabili delle “macchinette”, talvolta è il competente ufficio dell’ente provinciale.
Tutte queste diverse articolazioni caratterizzano quello che è un pezzo di un mercato florido, il cosiddetto “vending”, che nel 2015 in Italia ha generato complessivamente 1,8 miliardi di euro di fatturato, grazie a quasi 5 miliardi di consumazioni e a oltre 800mila unità censite al “parco macchine”, riferito alle 3.500 imprese che operano nel Paese. Un cittadino italiano su tre ne fa uso quotidianamente.
Secondo uno studio realizzato dalla società Accenture sul 2014, riguardo ai “distributori automatici a caldo” -la più significativa voce di fatturato per le imprese di gestione, il 43% circa-, le aziende private pesano per quasi il 70% del parco macchine installato, mentre la restante clientela (scuole, uffici pubblici, ospedali, centri sportivi, luoghi di transito e centri ricreativi) vale il 30%.
Per quasi un anno, la redazione di Altreconomia ha incontrato decine di classi delle scuole superiori della Lombardia per approfondire insieme agli studenti i temi dell’economia solidale, degli stili di vita sostenibili e dei diritti. Attraversandone 46 nell’ambito del progetto “Cambiamo Registro!” (altreconomia.it/cambiamoregistro), non ci eravamo però accorti che un modello di economia “solidale” fosse già in atto, a pochi passi dalle aule o dalle sale conferenze. Peccato però che, in qualche caso, quello delle “macchinette” fosse un modello di mutualismo perverso e distorto, attraversato da logiche di non belligeranza a danno del committente pubblico. A dire il vero, non guardavamo con troppo interesse a quei loghi stampati sui distributori, fino a quando non abbiamo iniziato a ricevere segnalazioni. Di persona, direttamente a scuola, o via mail. Un’insegnante abbonata alla rivista ci ha scritto in merito alle traversie di un istituto superiore in Toscana. E una professoressa del comasco, in Lombardia, s’è lamentata in maniera speculare.
“La quota in termini di fatturato attribuibile alle prime 100 imprese di gestione è passata da circa il 32% nel 1999 a circa il 61% nel 2013” (Autorità garante della concorrenza)
Dal 2000, il mercato del “vending” che giunge fino a scuola è al centro di quello che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha definito in una recente istruttoria ad hoc -pubblicata in estate- un “processo di consolidamento”. Tradotto: “La quota in termini di fatturato attribuibile alle prime 100 imprese di gestione è, infatti, passata da circa il 32% nel 1999 a circa il 61% nel 2013”. Alle 3.400 imprese rimanenti spetta il 40% del mercato, sostanzialmente le briciole. Ma c’è di più. “Le 347 imprese di gestione associate a CONFIDA -continua l’Agcm- detengono circa il 70-75% del mercato nazionale in termini di fatturato”. CONFIDA è la sigla dell’Associazione italiana distribuzione automatica, che esiste dal 1979 ed è “socio effettivo” di Confcommercio. “Anche quest’anno, in primavera -spiegano dall’ufficio stampa della sede di Assago (MI) dell’associazione- abbiamo commissionato alla società Accenture uno studio sulle abitudini e sui consumi degli studenti”. L’obiettivo finale è sostenere i propri associati e metterli nella condizione di modulare l’offerta migliore.
In teoria. La pratica del “vending” italiano l’ha fotografata invece l’Antitrust in un procedimento aperto per una presunta “intesa restrittiva della concorrenza” e chiuso nel giugno 2016 con sanzioni per un ammontare complessivo di 100,7 milioni di euro. Sarebbero decine le gare “ristrette”: da quelle per i distributori collocati in alcune scuole (dove la società paga sostanzialmente un canone annuale di occupazione di spazio) a tutti quelli di Poste Italiane, da quelli dei punti vendita della catena Decathlon ad Assicurazioni Generali, dalle stazioni lombarde dei Carabinieri o della Guardia di finanza al bando della Fondazione IRCCS “Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano”.
Gruppo Argenta Spa, D.A.EM. Spa (e le sue controllate), Molinari Spa, Dist.Illy Srl, Aromi Srl, Dolomatic Srl e Govi Srl (tutte appartenenti al gruppo Buonristoro), GE.SA. Spa, Gruppo Illiria Spa, IVS Italia Spa, Liomatic Spa, Ovdamatic Srl, Sellmat Srl, Serim Srl, Sogeda Srl, Supermatic Spa e persino la stessa CONFIDA avrebbero perfezionato fin dall’inizio degli anni Duemila una “intesa unica, complessa e continuata di spartizione della clientela”, suddividendosi così il mercato e puntando a “frenare l’utilizzo della leva del prezzo quale variabile competitiva […], garantendo per tale via il mantenimento di un livello elevato dei prezzi e la salvaguardia delle marginalità delle imprese”.
Le prove che inchiodano i patti di “non belligeranza” sono soprattutto messaggi spediti via mail. “Noi dal 2007 non abbiamo fatto nessuna operazione concorrenziale con alcun gruppo locale proprio nello spirito di sempre che è quello di non disturbare il lavoro di tanti anni fatto con sacrificio da altri”, scrivevano dal Gruppo Illiria. “Siamo tutti d’accordo che chi vince restituisce agli altri” è invece il tono della GE.SA. a proposito della gara del 2013 di Generali.
Anche l’appalto per la Questura di Arezzo, come ha ricostruito l’Autorità, è stato falsato da “offerte d’appoggio” fasulle. Del resto, quell’area, così come Pistoia, era “zona di vostra competenza”, scriveva nel giugno di tre anni fa la Liomatic alla Supermatic, che tra le altre incorpora anche la società Mabel.
“Itis Divini”, San Severino Marche (Macerata): “Vi chiedo di contattare il Gruppo Argenta -scrive ancora Liomatic- in quanto sembra che sia stato invitato a partecipare alla gara della scuola […]. La scuola è servita da noi e quindi chiedetegli di non fare l’offerta”. Stesse dinamiche al liceo Majorana di Cesano Maderno (MB), all’Istituto comprensivo Statale “Via de Andreis” di Milano, al “Cossa” di Pavia. “Mi ha appena chiamato la Dirigente dell’istituto per avvisarmi che il Gruppo Argenta -scrive la Serim nell’ottobre 2013- ha rinunciato formalmente all’appalto perciò il servizio lo manteniamo noi […]. Sono stati di parola”.
IVS e Liomatic hanno poi partecipato alla gara indetta dalla Provincia di Foggia “con il fine -sono le parole dell’Agcm- di garantire a Liomatic le scuole già servite e spartire al 50% le altre”. La “spartizione” teme la concorrenza sul prezzo. Ed è per questo che “preme” su CONFIDA affinché rediga un “capitolato standard di gara e un capitolato breve per le scuole da distribuire alle pubbliche amministrazioni e alle imprese associate”. L’obiettivo è “sterilizzare l’effetto premiante di offerte economiche particolarmente basse da parte dei gestori” privilegiando la “certificazione di qualità TQS (Total Quality System)”.
I titolari della Ideal Service Srl, la società che ha segnalato la pratica che l’Antitrust ha poi scoperchiato, hanno già annunciato di ricorrere alle vie legali per il danno che la loro impresa ha subito dal cartello. Anche CONFIDA, dal canto suo, ha “ribadito il suo impegno a favore dei consumatori e della concorrenza”, appellandosi al Tar.
“Vi chiedo di contattare il Gruppo Argenta in quanto sembra che sia stato invitato a partecipare alla gara. La scuola è servita da noi e quindi chiedetegli di non fare l’offerta”
Ricorsi a parte, resta fondamentale il ruolo del committente pubblico. L’ente proprietario degli immobili degli istituti superiori è la Provincia, la quale potrebbe e dovrebbe muoversi per verificare i contratti potenzialmente viziati dal meccanismo che da quindici anni va avanti nel nostro Paese. A Lecco, ad esempio, dov’è in corso una sperimentazione di prodotti del commercio equo e solidale in un liceo linguistico (che risulta però sospesa), diversi contratti sono scaduti il 31 agosto scorso. Ogni anno, l’ente incassa circa 200mila euro di canoni. Se il meccanismo “non belligerante” avesse colpito anche questo “cliente”, e non è detto che non lo sia dato che nell’istruttoria Antitrust è citata una comunicazione per una gara “Provincia di Lecco”, il danno sarebbe cospicuo. Anche perché è facile misurarne le conseguenze: all’inizio dell’anno scolastico, uno dei più importanti plessi scolastici del territorio lecchese (l’istituto Parini) potrebbe essere dichiarato inagibile per le condizioni delle solette di tutte le aule, e l’ente non ha attualmente i soldi in cassa per sostenere le spese di messa in sicurezza, a causa dei tagli di questi anni agli enti locali. Risorse che avrebbe invece potuto incamerare (in parte) dai canoni dei distributori. Un paradosso. La Regione, intanto, non rinnova le proprie linee guida per la ristorazione scolastica dall’agosto 2002.
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