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Carne da lavoro – Ae 70

Nel 2006 potranno entrare in Italia 170 mila nuovi immigrati. Dietro ai numeri c’è chi pulirà le nostre case e baderà ai nostri anziani. Persone di cui non possiamo fare più a meno, alle quali, però, non rendiamo la vita…

Tratto da Altreconomia 70 — Marzo 2006

Nel 2006 potranno entrare in Italia 170 mila nuovi immigrati. Dietro ai numeri c’è chi pulirà le nostre case e baderà ai nostri anziani. Persone di cui non possiamo fare più a meno, alle quali, però, non rendiamo la vita più facile

La “carne da lavoro”, per il 2006, è a quota 170 mila. È questa la cifra decisa dal governo per il nuovo Decreto flussi appena pubblicato e tanti saranno gli ingressi di cittadini extracomunitari autorizzati per motivi di lavoro. Un documento che tratteggia il tipo di Paese stiamo diventando, e il genere d’immigrazione che i nostri governanti hanno in mente.

Dei 170 mila ingressi previsti, 120 mila sono “riservati” a lavoratori non stagionali (per due terzi subordinati) e 45 mila di questi sono “ingressi per motivi di lavoro domestico o di assistenza alla persona”: dietro i numeri sterili stanno le persone che puliranno le nostre case e chi si prenderà cura dei nostri anziani, sempre più numerosi. Persone di cui non possiamo fare a meno, alla quali, nonostante questo, non rendiamo la vita più facile.

Lo confermava già l’ultimo Dossier statistico sull’immigrazione, pubblicato dalla Caritas Italiana qualche mese fa: le quote autorizzate sono sempre inferiori a quelle necessarie agli imprenditori, e gli immigrati sono una risorsa sempre più importante, anche economica, per il nostro Paese. Per esempio, gli “extracomunitari” comprano sempre più case (una su otto tra quelle vendute in Italia), eppure i loro stipendi sono più bassi, minori le garanzie e più alti gli incidenti sul posto di lavoro (con un incremento del 6,7% tra il 2004 e il 2005).

Ma il testo del Decreto flussi 2006 racconta anche che è in aumento la quota riservata all’Europa dell’Est: vengono privilegiati, infatti, Paesi come la Moldavia, con i suoi 5 mila ingressi a fronte, per esempio, dei mille del Ghana o dei 100 per la Somalia: “È in linea con una visione che favorisce l’immigrazione del simile: per colore della pelle, religione, base culturale”, sottolinea Giancarlo Blangiardo, ricercatore della Fondazione Ismu e docente di Demografia all’università di Milano Bicocca, intervistato dall’agenzia di stampa Redattore sociale. “Chi decide la politica migratoria -aggiunge Blangiardo- lo fa nell’interesse della società che governa, non in base al peso demografico e alle condizioni di sviluppo del Paese di partenza”.

Una quota consistente (38.500) è destinata a Paesi “di tradizionale immigrazione, con flussi consolidati”, con cui l’Italia ha avviato (o sta avviando) accordi bilaterali: in particolare Egitto (7.000 ingressi), Moldavia (i 5.000 di cui si è già detto), Albania (4.500), Marocco (4.000), Tunisia (3.500).

Un decreto, insomma, che privilegia chi ha maggiori probabilità di inserirsi nel tessuto sociale esistente: “Si ha un occhio di riguardo per i Paesi di prossima o recente integrazione -conclude Blangiardo-, per gli stranieri che per provenienza o esperienza hanno già legami o potranno procurarsene più facilmente. Dopo il Nord Africa è venuto il tempo dei popoli dell’Est”.

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