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Ambiente / Approfondimento

Bulimia immobiliare

Appartamenti invenduti in tutta Italia, ma si continua a costruire. Si allungano i tempi dei mutui, aumentano gli sfratti: benvenuti nella “bolla 2.0”

Tratto da Altreconomia 132 — Novembre 2011

Nemmeno chi cerca casa, la trova. “Difficoltà d’incontro tra domanda e offerta”, spiega Fabiana Megliola, responsabile dell’ufficio studi di Tecnocasa, rete di franchising immobiliare. E traduce: “C’è più offerta, più scelta. I potenziali acquirenti girano, girano. E i tempi di vendita si dilatano”. La Ducale spa è il braccio immobiliare di Tecnocasa. Costruisce, dal 1999. Gaetano Mirabile è un consulente commerciale della società. Il suo ufficio è a Paullo, quindici chilometri da Milano, a fianco del cantiere di “Habitaria”, un edificio in classe A, la cui costruzione è iniziata nell’autunno del 2010. “Nel primo anno, abbiamo venduto il 20% degli immobili -racconta, mi aspettavo un po’ di più. A questo punto, conto di raddoppiare entro l’ottobre 2012, quando consegneremo gli appartamenti”. Che sono una quarantina e costano in media 2.800 euro al metro quadro.
Il preventivo per un trilocale (con terrazzo) più box è di 334mila euro. Per il mutuo, mi spiega Gaetano, potrei avvalermi di Kìron, altra società del gruppo. Per chi può, il servizio “chiavi in mano” offre anche una persona dedicata a vendere, attraverso la rete Tecnocasa, la mia casa “usata”. La Ducale (44,9 milioni di euro di fatturato nel 2007, 13,6 nel 2009, 21,2 nei primi 7 mesi del 2010) cerca di restare a galla investendo sull’efficienza energetica degli appartamenti e sulla capacità di far rete tra le diverse realtà del gruppo Tecnocasa, “gli altri, a Paullo, alla consegna degli appartamenti se va bene hanno venduto il 20% degli immobili”.
È una nuova emergenza casa, che oggi non è più, né solo, un problema legato all’accesso, al “diritto all’abitare”: l’edilizia residenziale sta affrontando una fase patologica e degenerativa (si continua a costruire, nonostante il numero di compravendite immobiliari sia caduto del 29% dal 2006 al 2010) e il paziente, che è l’Italia, rischia di non guarire più. Con l’aiuto della infografica della pagina a fianco proviamo a mettere in fila tutti i sintomi della bulimia immobiliare.

Il primo: l’Agenzia del territorio ha certificato, lo scorso anno, circa 250mila compravendite in meno rispetto al 2006: dopo aver toccato quota 869.308, sono state solo 617.286 nel 2010.
Il tempo medio di vendita di un immobile ha superato i 7 mesi. Secondo Tecnocasa, che a metà settembre ha presentato la rilevazione “Il panorama immobiliare e creditizio nel 2011: analisi e tendenze del mercato italiano”, i tempi di vendita sono ormai stabilizzati a 168 giorni nelle grandi città, 198 nei capoluoghi di provincia e 208 nell’hinterland.
Il secondo: il numero di immobili “a disposizione”, cioè vuoti, inutilizzati, che è pari all’11,6% del totale censito nel rapporto “Gli immobili in Italia 2011”, a cura del Dipartimento delle finanze del ministero del Tesoro e dell’Agenzia del territorio. Sono ben 5.979.995, quasi un milione in più di quelli “locati”, che sono 4.985.081, il 9,6% dei circa 51,7 milioni di immobili censiti. Secondo l’architetto Antonello Boatti, docente di Pianificazione territoriale al Politecnico di Milano, il censimento Istat 2011, in corso fino a dicembre, avrebbe potuto raccogliere informazioni sul fenomeno delle abitazioni a disposizione: “Conoscere lo sfitto è un tema fondamentale per evitare nuove costruzioni. Analizzare le condizione degli immobili non occupati, sapere da quanto tempo sono vuoti”.  I dati sullo sfitto sarebbero da incrociare con quelli relativi al reddito degli italiani. Con uno stipendio medio-basso 18.300 euro netti, ci vogliono 21 anni per acquistare una casa. Nel 1965 ne bastavano nove. La durata media dei mutui sottoscritti dai cittadini italiani che decidono comunque di acquistare casa è, nel 2010, di poco più di 23 anni, contro i 19 e mezzo del 2004. E questo nonostante negli ultimi anni, dopo la crisi scatenata negli Usa dai mutui subprime, quelli concessi a soggetti poco affidabili, “l’offerta è cambiata -come spiega Renato Landoni, presidente di Kiron, franchising di mediazione creditizia del gruppo Tecnocacasa-: alcuni mutui, a 35 o 40 anni, adesso non si trovano più”.
Quanti case costruire, e se costruirle, e per chi costruirle, sono le domande cui Antonello Boatti ha risposto incrociando le previsioni contenute nel Piano di governo del territorio di Milano, votato a febbraio 2011, in tutta fretta, dal consiglio comunale (la giunta Moratti era in scadenza) e poi bloccato dal nuovo sindaco Giuliano Pisapia, con i redditi dei cittadini milanesi. Risultato: siccome l’accesso al mercato è precluso a chi destinerebbe al mutuo più del 30% del reddito familiare, a Milano non servono nuove case di edilizia “libera” (vedi Ae 125). Gli enti locali, invece, paiono non prendere in considerazione alcune variabili: “La domanda degli anziani, il fenomeno delle nuove povertà, le giovani coppie, gli stranieri, il cui flusso è in costante aumento -elenca Boatti-. L’edilizia sociale non è più finanziata. Gli enti pubblici non possono andare con il cappello in mano dal costruttore privato, per chiedere di realizzare interventi di edilizia sociale o popolare, anche la manutenzione dell’esistente. Serve una tassa di scopo, un prelievo fiscale finalizzato”. Impossibile che chi amministra non abbia dato mai buttato l’occhio sui dati del ministero dell’Interno relativi agli sfratti, 65.489 nel 2010, in crescita del 6,5% rispetto all’anno precedente, con punte del 58,9% in Calabria, del 41,9% in Lombardia e del 151,2% a Milano.

L’83,9% delle famiglie sfrattate “devono” il provvedimento alla morosità: sono quelle che non ce la fanno più a pagare un affitto di mercato. Domanda e offerta non dialogano, come vorrebbe la teoria economica. Eppure, spiega Fabiana Migliola di Tecnocasa, “un’analisi della capacità di spesa del potenziale acquirente e una valutazione corretta del valore dell’immobile in vendita” è fondamentale per “restituire dinamismo al mercato immobiliare”. Se questa è a lungo mancata, una risposta forse c’è. È nell’infografica, nel dato relativo alla concentrazione della proprietà immobiliare: il 5% della popolazione possiede il 16,5% del totale degli immobili, che occupano però una superficie del 17,1% e valgono il 24,9%. Ciò significa che c’è una classe benestante che possiede immobili mediamente più grandi, che (perché situati in zone di pregio, o con finiture migliori) valgono di più. Sono coloro che considerano la casa un investimento, che portano il dato medio della “disponibilità di abitazioni” a 120,91 ogni 100 famiglie (ben maggiore di quello relativo agli italiani che vivono in una casa di proprietà, 4 su 5 circa). Solo quelli che hanno continuato a far girare il mercato, assorbendo la domanda in eccesso. Oggi anche questa ruota non gira più. Gabriele Rabaiotti, ricercatore al Dipartimento di architettura e pianificazione (Diap) del Politecnico di Milano cita, ad esempio, una proposta avanzata dall’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) Lombardia alla Regione Lombardia: “Nell’ambito della creazione di un ‘fondo locale immobiliare’, garantito dal ‘fondo dei fondi’ promosso da Cassa depositi e prestiti, Abi e Acri, l’Ance ha proposto di conferire i propri immobili invenduti, da affittare a canone calmierato per 15 anni. È paradigmatico: i costruttori mai avrebbero immaginato una proposta del genere se non avessero chiaro il livello di sovrapproduzione di edilizia libera che il mercato non digerisce. Quale costruttore -conclude Rabaiotti- vincolerebbe un immobile per 15 anni? E tutto questo è successo in Lombardia, normalmente la regione più ‘dinamica’ del Paese”. Quella descritta da Rabaiotti è una bolla 2.0: “Abbiamo superato anche la capacità di ‘assorbimento’ di chi compra per investire”. Il 29 ottobre è nato il Forum italiano dei movimenti “Salviamo il paesaggio, difendiamo i territori” (salviamoilpaesaggio.it): chiede una “moratoria” di tutte le pratiche edilizie che prevedono il consumo di nuovo suolo. Gli enti locali autorizzano sempre nuove costruzioni, in variante o all’interno di Pgt votati alla “crescita”. La risposta del governo è, se possibile, anche peggiore: il Dl Sviluppo, convertito in legge nel luglio 2011, “sdogana la perequazione”. Cioè, spiega Il Sole 24 Ore, rende “possibile un mercato delle volumetrie”. Il rischio è quello di creare un mercato secondario, una “borsa” dei diritti edificatori: una gigantesca bolla, un po’ com’è successo con la CO2. —

 

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