Economia / Opinioni
Banche e debito pubblico, l’anomalia italiana
Ad aprile 2017 la quota detenuta in titoli di Stato italiani da parte delle banche italiane è cresciuta di 3,2 miliardi di euro, arrivando a sfiorare 395 miliardi. Questo vincolo quasi simbiotico genera però conseguenze rilevanti. Il commento di Alessandro Volpi
Molteplici elementi inducono a far pensare che l’Italia sia un Paese fin troppo ripiegato su se stesso. Uno di questi è rappresentato dal profondo legame del sistema bancario con i titoli del debito pubblico. Sono poche le realtà nazionali in cui i titoli del debito sono detenuti, così massicciamente, dagli istituti di credito nazionali. Soprattutto, l’Italia rappresenta un’anomalia rispetto alla ormai consolidata tendenza posta in essere dalle banche di altri Paesi di ridurre la dipendenza dal proprio debito pubblico. Ad aprile la quota detenuta in titoli di Stato italiani da parte delle banche italiane è cresciuta di 3,2 miliardi di euro, arrivando a sfiorare i 395 miliardi, mentre le banche tedesche si sono “alleggerite” per 14 miliardi e quelle spagnole di 5. Questo vincolo quasi simbiotico genera però conseguenze rilevanti.
1) Il fatto che i titoli del debito italiano siano in gran parte nelle mani di banche nazionali rende questo debito meno sensibile alle oscillazioni dei mercati e quindi, in qualche modo, rappresenta una garanzia della stabilità del debito stesso che trova un collocamento più facile. Si tratta però di una stabilità per molti versi apparente. Gli istituti italiani possono approvvigionarsi di titoli del nostro debito perché la Banca centrale europea sta continuando ad iniettare liquidità praticamente gratis nel sistema bancario del Vecchio Continente. I numeri sono in tal senso molto eloquenti; a marzo scorso si è svolta l’ultima asta di rifinanziamento a lungo termine varata dalla stessa Banca centrale europea e ben 474 istituti di credito italiani hanno “prenotato” 233 miliardi di euro con il chiaro obiettivo di consolidare i propri bilanci, fin troppo appesantiti dalle sofferenze, e di “parcheggiare” simili munizioni in attesa di tempi più proficui per investirle.
In estrema sintesi, le banche italiane stanno utilizzando la liquidità della Bce, che, nell’ottica di Mario Draghi, dovrebbe servire per rilanciare l’economia produttiva, con la finalità, certamente più limitata, di superare diverse delle loro più intrinseche difficoltà. Acquistare titoli di Stato con le risorse della Bce risulta essere così una strada obbligata per molte banche italiane, ma una simile soluzione le espone alle incertezze del prossimo futuro. Non è chiaro infatti quanto ancora potrà durare la politica monetaria espansiva di Draghi in presenza di una stretta dei tassi negli Stati Uniti e di una ripresa dell’economia europea, da cui pare esclusa quella italiana, e non è chiaro fino a quando non verranno posti dei limiti molto più stringenti all’utilizzo dei titoli del debito pubblico come garanzia per la tenuta dei bilanci bancari. In presenza di queste due variabili e di un crescente legame tra banche e titoli di Stato, è evidente allora che un apparente elemento di forza -la “nazionalizzazione” del debito italiano- rischia di risultare un grave pericolo da cui sono afflitte non solo le banche, ma l’intero sistema dei conti pubblici finanziati con il debito.
2) È evidente che i rischi connessi con tale legame tra Stato, debito e banche generano la conseguenza di rendere davvero improponibile qualsiasi ipotesi di uscita dall’euro perché, come è stato scritto di recente, un’eventuale “Italexit” e la relativa ridenominazione in lira del debito condurrebbero dritte al default di circa i 2/3 del debito totale, mentre la parte non ridenominata dovrebbe sostenere costi di collocamento stellari. Il più volte ricordato simbiotico legame tra banche e debito nel caso italiano ha costruito, di fatto, così un potenziale rischio sistemico che davvero ipoteca le possibilità di scelta del Paese.
3) In maniera paradossale dunque la “nazionalizzazione” bancaria del debito pubblico italiano non accresce i margini di autonomia del nostro Paese ma, anzi, li contrae sensibilmente e di questo gli altri soggetti europei sono del tutto consapevoli. In una recente intervista il governatore di Bankitalia Ignazio Visco si è lasciato andare ad alcune notazioni forse un po’ eterodosse rispetto al suo ruolo di custode della moneta. Neppure troppo fra le righe, infatti, ha fatto capire che il governo italiano è stato in qualche modo raggirato dalla Germania e da altri partner europei che sembrano aver promesso al nostro Paese una assicurazione europea sui depositi bancari come condizione per accettare, da parte italiana, le pesanti clausole del bail-in fin dal 2016. Tale garanzia invece non c’è stata mentre è stata prevista la possibilità del famigerato bail-in che ha scatenato vere e proprie ondate di panico di cui hanno fatto le spese, in primis, le banche italiane. Essere un Paese così indebitato e avere banche imbottite di debito ci rende davvero molto vulnerabili.
Università di Pisa
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