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Altre Economie

Atlante ragionato del commercio equo

 I valori del fair trade nel rapporto Agices: volontariato, informazione e attenzione ai produttori. Intervista al presidente Alessandro Franceschini

Tratto da Altreconomia 126 — Aprile 2011
“Se stimiamo che il commercio equo italiano ‘fatturi’ circa 100 milioni di euro, allora possiamo dire che il 70% è all’interno di un sistema monitorato e certificato, che si chiama Agices”. 
 
Alessandro Franceschini -40 anni, della cooperativa Pace e Sviluppo di Treviso- è presidente dell’Assemblea generale del commercio equo italiano (Agices, appunto) da maggio 2010. 
 
“Se guardiamo ai punti vendita, ai nostri soci ne fanno capo 270 su un totale stimato di 350. Ma attenzione: è corretto dire che Agices rappresenta il 70% del commercio equo in termini di fatturato, non di numero di organizzazioni. Il mondo del fair trade italiano è molto frammentato e disomogeneo nella sua composizione. I nostri soci sono 90, su un totale di circa 200 organizzazioni che rientrano nell’ambito del ‘commercio equo’. Ma i casi sono molteplici: come si traccia il confine tra organizzazioni di fair trade e realtà che vendono alcuni prodotti di fair trade? Per questo motivo dobbiamo ribadire l’importanza di un sistema certificato”. A maggio, nel corso dell’assemblea annuale (il 7 e l’8, all’interno della Fiera provinciale dell’economia solidale di Saronno, Varese), verrà presentato il rapporto Agices, giunto alla seconda edizione. I dati si riferiscono al 2009. “Si tratta della prima produzione in Italia di dati certi, provenienti da un sistema di monitoraggio. Sul commercio equo è molto difficile avere dati aggregati. Il sistema di Agices permette di averne, anche al di là della vendite. Se guardiamo i numeri del sistema ispettivo, tra l’altro, si nota che quest’anno si chiuderà ‘il giro’, ovvero tutti i soci saranno stati visitati dai valutatori di Agices”. Il sistema di verifica presenta alcune criticità, più volte messe in luce dai soci. Sarà rivisto? “All’assemblea andremo a condividere un percorso di revisione dei requisiti da monitorare. Vi è forse un eccesso di volontà di normare e controllare tante attività. Vorremmo semplificare, aggiornare, e rendere il sistema più rispondente al commercio equo di oggi, e meno gravoso per le organizzazioni”. 
 
Dai dati del rapporto emerge ancora una fortissima presenza di volontari. 
“I nostri soci contano in media 4 volontari per ciascun lavoratore. Vuol dire almeno 4.720 persone attive regolarmente nel volontariato. Considerati quelli più saltuari, i volontari sono anche di più. Questa non è, come alcuni sostengono, una fragilità del sistema. Il volontariato è una risorsa endemica del commercio equo, senza la quale sarebbe insostenibile, e non solo dal punto di vista economico. Il volontariato non è la copertura di una deficienza strutturale, ma un motore del commercio equo italiano. Che rimane, a 30 anni dalla sua nascita, un movimento di base radicato sul territorio, capace di produrre volontariato e quella passione che porta i cittadini a mettersi a disposizione. La sfida non è sostituire il volontario con un lavoratore, ma professionalizzare il volontario. Se c’è un problema, questo riguarda il tema del rinnovo delle classi dirigenti del commercio equo. Ma il volontariato è una risorsa, senza la quale non ci sarebbe la struttura di distribuzione che c’è adesso”. 
 
Dai dati emerge che per i 1.080 lavoratori delle organizzazioni socie al 2009 (erano 1.098 nel 2008) si spendono in media circa 12mila euro l’anno ciascuno. Inoltre, diminuiscono i lavoratori assunti (nel 2009 il 48% del totale, erano il 55% nel 2008) e aumentano i collaboratori occasionali (nel 2009 il 27%). Lavorare nel commercio equo è poco remunerativo? “12mila euro all’anno è in effetti poco. Ma il dato tiene conto di tutte le tipologie di rapporto lavorativo, compresi lavori davvero occasionali. Tutti gli assunti, ovvero la metà dei lavoratori, hanno contratti che afferiscono a quelli nazionali. E se andiamo ad analizzare il costo del lavoro emerge un dato importante: quello ‘dipendente’ pesa per l’84% del totale, i contratti a tempo indeterminato per il 77%. È comunque vero che il commercio equo non è un settore dove c’è un trattamento economico vantaggioso, anche perché c’è ancora molta commistione tra impegno volontario e lavoro. Ma non dobbiamo dimenticare che siamo partiti dal precariato totale, per arrivare a gran parte della forza lavoro assunta”. 
 
A guardare i dati, colpisce la schiacciante maggioranza di donne tra i lavoratori.
“Il commercio equo è molto ‘al femminile’. Ma non nei ruoli di dirigenza o rappresentanza, e questo lo reputo un grande problema. Di candidature, innanzitutto. Un problema che attiene alla presa in carico degli aspetti dirigenziali”. 
 
Nel corso del 2009 Agices non ha incrementato la sua base sociale. “L’allargamento della base dei soci è una priorità, e i primi dati del 2010 confermano che siamo in controtendenza, poiché arrivano nuove richieste di adesione. Chi in passato se n’è andato da Agices l’ha fatto per due motivi. Il primo: non siamo stati in grado di far percepire il valore aggiunto dell’appartenenza a un sistema nazionale di garanzia. Ci si chiede: perché devo pagare la quota di adesione ad Agices? Quali vantaggi mi porta? Credo siano molti oggi e saranno molti di più a breve, per questo mi piacerebbe un giorno che l’appartenenza al nostro sistema di garanzia fosse visibile nelle botteghe, e perfino sui prodotti. Non un marchio, ma l’evidenza di un’adesione. Il secondo motivo che ha spinto alcuni a uscire dal sistema è stato il mancato raggiungimento dei requisiti. Non sono state superate le verifiche, e alcuni soci hanno perso la possibilità di rimanere dentro. Un sistema di monitoraggio certificato comporta anche questa possibilità”.
 
Qual è la situazione di importatori e botteghe al 2009? “Altromercato e altri importatori hanno retto alla crisi, anche se la situazione è a macchia di leopardo. Alcuni importatori importanti hanno chiuso, altri sono in grandi difficoltà. Anche molte botteghe sono in crisi, mentre altre segnano dati in ripresa. Dobbiamo osservare la situazione in un’ottica di lungo periodo, e il 2011 sarà difficile per tutti, perché sappiamo che sarà molto alto il costo delle materie prime. È una sfida che fa tremare i polsi, che può mettere addirittura in discussione il principio del ‘prezzo equo’: potremmo assistere a situazioni in cui il mercato tradizionale offra di pagare prezzi migliori di quelli concordati del commercio equo. Ovviamente, la nostra capacità di contrattazione coi produttori non può essere veloce come le variazioni della Borsa di Chicago. È possibile, quindi che i prezzi aumentino nel corso dell’anno. E questo ridurrà il volume di marginalità e risorse per lo sviluppo del commercio equo nel 2011. Dovremo essere capaci a potenziare il sistema senza farne ricadere i costi sui produttori o sui consumatori. Si ridurranno probabilmente le marginalità per le organizzazioni. La sfida più grande sarà tenere alto l’impegno sull’artigianato, che porta meno risorse alle organizzazioni ma che caratterizza il commercio equo delle botteghe, e spesso favorisce produttori più svantaggiati nel Sud del mondo”.
 
Tra il 2008 e il 2009 rimangono stabili i ricavi, attorno a 72 milioni di euro. “È la somma di tutti i fatturati delle organizzazioni socie di Agices. Contabilizza quindi ricavi all’ingrosso e al dettaglio. Vuol dire che se guardiamo ai ricavi ‘al pubblico’, l’ammontare degli scontrini emessi dalle botteghe, siamo nell’ordine di 25 milioni di euro. Di tutto il sistema Agices, invece, 11,6 milioni di euro vanno ai produttori. Il commercio equo italiano non è solo vendita, ma anche sensibilizzazione e informazione, attività sulle quali sono stati investiti circa un milione di euro nel 2009, con oltre 11mila ore di laboratori nelle scuole e sensibilizzazione”.
 
Che indicazioni ci sono per il 2010? 
“Il 2009 è stato il peggiore degli ultimi anni. Nel 2010, ma i dati sono molto abbozzati, la sensazione è di ripresa, sia pur non omogenea. Chi riteneva che il commercio equo non avesse strumenti per affrontare la crisi, o che fosse passato di moda, si è dovuto ricredere. Tuttavia sappiamo di difficoltà dovute a ragioni interne alle organizzazioni, e di grosse differenze geografiche e di struttura. Fanno più fatica quelle che negli anni non hanno fatto politiche di sviluppo, e sono rimaste nel guado di fronte alla contrazione della domanda. Altri hanno investito alla ricerca di altre entrate, ma si sono trovate col cerino in mano quando il calo della domanda non ha fornito loro le risorse per affrontarli. Sono le situazioni più difficili, perché le più esposte. 
Un altro tema, infine, è l’‘apertura’: ovvero, per affrontare i problemi di sostenibilità economica o per valutazioni di carattere più strategico molte botteghe guardano al biologico, all’economia sociale e al ‘chilomero zero’. Il commercio equo si sta interrogando su questo, anche se il 91% dei ricavi dei soci Agices arriva ancora da prodotti di fair trade. Un esempio: i prodotti di Libera non sono tecnicamente ‘equi e solidali’. Ma stanno benissimo in una bottega”.
 
 
 
pane fresco, bio e locale
Le botteghe di Torino profumano come fornai. Le cooperative I.so.la e Mondo Nuovo distribuiscono, ogni settimana, pane locale, prodotto con farine biologiche, lievitazione naturale e forno a legna. 
Nelle sei botteghe di Mondo Nuovo (tre in città, una Chieri, una a Poirino e una a Trofarello, www.mondo-nuovo.it), il pane arriva da marzo 2011, su prenotazione, disponibile in undici varianti. Le farine di grano tenero, segale, riso, avena e orzo provengono dal Mulino Sobrino di La Morra (Cuneo), mentre quelle di grano duro, farro e kamut sono del Mulino Sima di Argenta (Ferrara). Il pane è prodotto dall’Agriforneria di Chiesanuova (To), un piccolo laboratorio di panificazione a conduzione familiare fondato undici anni fa da Veronica, Rocco e Raffaele, rispettivamente moglie, marito e cognato: tre persone che hanno avuto il coraggio di abbandonare la città e un lavoro sicuro e ben retribuito per intraprendere questa attività, partendo dall’acquisto di un rudere a 20 chilometri dal Parco nazionale del Gran Paradiso, con la convinzione che “il pane debba ritornare ad essere quell’alimento semplice e naturale di un tempo”. 
 
La proposta di Mondo Nuovo si inserisce nell’ambito di “Buono come il pane” (vedi Ae 125), iniziativa culturale nata all’interno del progetto “il Circolo del cibo” di Ctm Altromercato, presentata a Milano insieme ad Altreconomia nel corso di “Fa’ la cosa giusta!”, a fine marzo. 
 
Fra gli obiettivi, la mappatura dei panifici che fanno il pane “buono” e dei punti vendita dove trovarlo in tutta Italia, incluse le botteghe del commercio equo che già hanno attivato simili iniziative. 
Nella provincia di Torino, ad esempio, da anni il pane dell’Agriforneria e quello del Forno del Borgo di Avigliana (To) si trovano ogni settimana presso la bottega Equamente di via fratelli Vasco 6/b a Torino e l’emporio etico Casa Wiwa di Collegno (TO), gestiti dalla cooperativa I.so.la (www.cooperativaisola.org).  
Il pane si può trovare anche nei pacchi spesa delle botteghe che fanno da punto di consegna dei Gas e in quelle che dedicano uno spazio specifico alla vendita dei prodotti freschi biologici e locali.
 
 
 
l’intervallo solidale
Sgranocchiare uno snack equosolidale sugli spalti, fra il primo e il secondo tempo della partita di calcio, potrebbe diventare una buona abitudine per i 30mila tifosi, i calciatori e i dirigenti delle squadre che frequentano lo stadio Marassi di Genova. Cioccolato, biscotti e barrette fair trade sono in vendita, da fine febbraio, nei 14 punti ristoro dislocati all’interno della struttura. L’iniziativa, avviata in occasione di Sampdoria-Inter del 27 febbraio, è frutto di un accordo fra La Bottega Solidale, l’assessorato allo Sport del Comune di Genova, la società SportinGenova che gestisce lo stadio e l’azienda Bcafè, e ha lo scopo di avvicinare al commercio equo e solidale un pubblico allargato, difficilmente raggiungibile tramite il canale delle botteghe. Tutti i punti ristoro di Marassi sono stati dotati di pannelli informativi che riportano le foto dei prodotti, spiegando perché “lo snack se è equo vale di più!”. 
 
 
 
arance, dalla calabria in bottega
Accanto a banane, ananas e manghi equo solidali, le arance. Sugli scaffali di alcune botteghe è comparso in marzo, in via sperimentale, un nuovo prodotto fresco: le arance biologiche dalla Calabria. 
Portano il marchio “Solidale italiano”, la linea di prodotti di economia sociale nostrana creata da Ctm Altromercato (www.altromercato.it). Sono distribuite da Ctm Agrofair, una società costituita da Ctm insieme ad Agrofair Europe bv (quest’ultima di proprietà condivisa fra organizzazioni europee di fair trade e produttori del Sud del mondo) per gestire la filiera del fresco equo solidale di Altromercato. 
Le arance sono prodotte nella Locride e nella Piana di Gioia Tauro dagli agricoltori riuniti in Goel Bio che, all’interno del Consorzio sociale Goel, sono coinvolti in un percorso di animazione sociale e creazione d’impresa volta a riportare giustizia e legalità nella propria terra. 
 
Le arance di marzo, le ultime della stagione, costituiscono un test, che in caso di riscontri positivi potrebbe condurre, a partire dal prossimo autunno, alla vendita continuativa delle arance nelle botteghe del mondo, con consegna settimanale insieme agli altri prodotti freschi.
 
 
 
equomarche
“Punta sull’equo” è l’iniziativa che le Marche dedicano al commercio equo e solidale, per sensibilizzare i cittadini al consumo critico. 
 
Quella in programma dal 15 al 17 aprile è la terza edizione, promossa dalla Regione Marche in collaborazione con Mondo Solidale, l’associazione Ascoli Equosolidale e l’associazione “I lunedì al sole” nell’ambito della Legge regionale per la promozione del commercio equo e solidale.
 
L’appuntamento è in 21 località.  Quest’anno il filo conduttore della manifestazione sarà il caffè, prodotto tradizionale della filiera equo solidale il cui mercato affronta un momento particolarmente delicato. Il caffè, infatti, subisce negativamente le  influenze di speculazioni finanziarie sul mercato internazionale, e per questo le organizzazioni marchigiane vogliono dar voce ai produttori e -in particolare-alla cooperativa La Nueva Esperanza di El Bosque, in Guatemala. L’omonimo caffè, 100% qualità arabica d’altura, è importato direttamente dalla cooperativa Mondo Solidale, che è presente sul territorio marchigiano fin dal 1993 (oggi gestisce 15 botteghe, ed è socia di Ae).Tra le iniziative di “Punta sull’equo” le mostre sui progetti del fair trade e quelle sui lavori del concorso per le scuole “Equamente 2010”. Non mancheranno merende eque e iniziative di sensibilizzazione nelle scuole, incontri pubblici con dibattiti ed esperti del settore, laboratori di produzione e/o dimostrazione di alcuni prodotti equo e solidali, incontri pubblici sul tema dell’informazione e del consumo critico e degustazioni di caffè.

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