Andate alla Fonte della filiera sostenibile – Ae 65
Numero 64, settembre 2005 Mezzomonte di Folgaria, Trentino. Dove regna la “monocoltura” del turismo, Elisabetta produce ortaggi biologici, frutta, latticini, ribes nero e fiori di Bach. Rispettando i ritmi della natura, e non del mercato I bambini hanno le mani…
Numero 64, settembre 2005
Mezzomonte di Folgaria,
Trentino. Dove regna la “monocoltura” del turismo, Elisabetta produce
ortaggi biologici, frutta, latticini, ribes nero e fiori di Bach.
Rispettando i ritmi della natura, e non del mercato
I bambini hanno le mani immerse nel
sapone di marsiglia. Quasi impastano, fino a indurirlo, il feltro
prodotto dalla lana di pecora tosata il giorno prima. Alla fine
vengono fuori piccoli tappeti, pezzi di tessuto, perfino un cappello.
Da mago, diresti.
Oppure da malgaro: capace di far respirare la testa e di riparare
dagli acquazzoni estivi. I ragazzini sono orgogliosi del loro lavoro.
Vanno via contenti. Elisabetta rimane sola sulla terrazza della sua
bella casa, il cuore della piccola azienda agraria della Fonte:
continua a impastare il feltro fino a far diventare il cappello della
misura giusta. Attorno il paesaggio sono le montagne del Trentino.
Questa è la frazione di Mezzomonte, settecento metri di quota
e panorami di pini e faggi.
Questa è la salita verso Folgaria, paese di turismo estivo e
invernale, venti chilometri da Rovereto.
Le vallate sono perfette e strette, i boschi si arrampicano su
pendici rocciose.
Si intravedono gli sbalzi di antichi terrazzamenti e prati scoscesi e
verdissimi. Vallate incantate, certo, ma abbandonate, da anni, dai
montanari, dagli ultimi contadini della montagne.
Poche perfino le stalle superstiti. Trent’anni fa in ogni frazione si
faceva il formaggio: oggi un solo caseificio raccoglie ancora il
latte. Quest’anno si sfalceranno alcuni campi, ma solo perché
arrivano contributi pubblici. L’economia, a Folgaria, come in molte
valli del Trentino, è solo una monocoltura del turismo. Da
trent’anni i nipoti dei vecchi contadini (una vita dura e di
povertà) sono diventati albergatori o proprietari di
ristoranti o di impianti sciistici.
“Sono arrivata qui quindici anni
fa. Ho comprato un vecchio maso mal ridotto: volevo provare a vivere
in montagna -racconta Elisabetta Monti, 43 anni, nuova contadina di
questa valle-. I campi erano incolti, gli antichi terrazzamenti
stavano crollando, le case erano ruderi”. A Mezzomonte, nel 1990,
nessuno, da tempo, faceva più il contadino: i più
lavoravano (e lavorano) a Rovereto come muratori. Troppa fatica
chinare la schiena là dove i trattori non riescono ad andare.
Troppo poco il reddito: due ore di straordinario in fabbrica valgono
come tre giorni alla ricerca di erbe officinali. In più: anche
in Trentino è dilagata l’economia delle monocolture agricole.
In campagna, ti spiegano gli economisti agrari, sopravvive solo chi
fa un’unica produzione (in Trentino, vino o mele) e l’affida a una
grande distribuzione.
Elisabetta Monti va controcorrente. Porta acqua, luce e telefono
nella sua casa isolata. Riesce a comprare due ettari e mezzo di
terreni confinanti.
Comincia a ritirar su muretti a secco e vecchie terrazze, ripulisce i
campi dei cespugli spinosi. E fa due figli, Sara ed Elia. Che sono un
buon alibi per comprarsi una capra: “Per il latte, ovviamente”.
E così capita che pecore e capre oggi siano una ventina.
C’è anche una mucca (che passa le estati in malga) e quattro
asini (per l’onoterapia). Tutto piccolo, tutto fragile, tutto pieno
di futuro. Perché l’azienda della Fonte cerca di rispettare i
ritmi della natura, ma non quelli del mercato. Ed Elisabetta Monti, a
suo modo, è una pioniera. Suo il primo laboratorio
“polifunzionale” del Trentino in un’azienda agricola. Quasi
certamente suo, nella provincia, il primo doppio contatore di un
impianto fotovoltaico per produrre energia elettrica. E ancora: la
Fonte ha un impianto di fitodepurazione per i liquami della casa e
dell’azienda. Adesso tutto questo è un orgoglio, ma provate
voi ad affrontare la burocrazia necessaria per ottenere permessi e
autorizzazioni.
Per questo la storia di Elisabetta va raccontata dall’inizio. Dai 19
anni: un diploma di perito agrario e bisogno di orizzonti più
vasti delle valli trentine. Trova lavoro in Africa: due anni in
Somalia e due anni in Mali in progetti agricoli di organismi non
governativi. In mezzo altri due anni nelle campagne toscane. Poi, a
25 anni, è tempo di tornare a casa: “In Africa ti accorgi in
fretta che i cambiamenti veri, se davvero crediamo in uno sviluppo
equilibrato e più giusto, debbono avvenire nel nostro mondo”.
Elisabetta, alla fine degli anni ’80, lavora nei ripristini
ambientali della Provincia di Trento fino a quando non trova il
coraggio di comprare queste terre di Mezzomonte. “Avevo in mano le
leggi regionali sul recupero della montagna -ricorda-.
Mi sembravano ottime, ma poi mi guardavo attorno e non ne vedevo
applicazioni concrete”. L’agricoltura di montagna non esisteva
più. Era scomparsa una società di contadini. Un mondo
che Elisabetta, senza nostalgie, voleva provare a ricostruire.
“È stata scelta voluta e obbligata -spiega-. Volevo vivere di
questo lavoro e volevo rispettare l’ambiente attorno a me. Venivo
dall’Africa e sapevo bene cosa significava vivere con poche risorse.
Quindi avevo un’unica strada possibile: creare rapporti diretti con i
consumatori, una filiera produttiva corta. In altre parole:
produzione, raccolta e trasformazione dei prodotti in azienda”.
Nessuna monocoltura, ma diversificazione di colture: ortaggi
biologici (da vendere ai mercati locali in estate), un piccolo
frutteto, qualche latticino e 2.300 metri quadrati coltivati a ribes
nero. Produzioni piccole, contenute. Ma sufficienti per vivere. E poi
la passione per le piante officinali e per i fiori di Bach.
“Non siamo più di tre aziende in Italia a produrre in proprio
i fiori di Bach”, dice Elisabetta. Che impiega cinque anni, fra il
1995 e il 2000, per trovare tutte e 38 i rimedi floreali messi a
punto dal medico immunologo Edward Bach a cavallo fra ‘800 e
‘900.
La storia della Fonte è lenta. Non ci sono capitali alle
spalle. Solo i prestiti di tre banche. Crescono, a fianco della
piccola attività di agricoltura e di allevamento, l’offerta di
piccole merende, esperienze didattiche e i laboratori. Elisabetta
insegna a scolaresche e turisti, a visitatori e bambini il ciclo
della lana (dalla tosatura al tappetino di feltro) e del latte (si
munge e si caglia fino ad andarsene con la propria caciotta).
Più complesso il ciclo del pane: si sale a Mezzomonte a
ottobre per la semina, si torna a primavera per vedere come cresce il
grano, si risale ancora a fine luglio per la raccolta. Si macinano i
chicchi in due mulini a mano e si prepara il pane. Elisabetta non
è sola nel suo lavoro: un ragazzo nepalese aiuta nei lavori,
spesso arrivano quelli del Wwoof, i volontari delle aziende
biologiche (www.wwoof.it), a dare una mano: attorno alla Fonte sta
crescendo una piccola comunità di amici. Si riesce a
sopravvivere su questa piccola frontiera ai margine dei mercato?
“Devi essere molto solida -avverte Elisabetta-. Sai che il tuo
reddito sarà basso. E poi devi essere più forte della
burocrazia che ti sfianca per i permessi, non capisce cosa vuoi fare
e ti costringe a passare il tuo tempo fra le carte. In più
devi resistere alla fatica. Alla fine ce la fai. Io non volevo
ritirarmi su un monte fuori da tutto, volevo provare a ricostruire
una nuova, possibile agricoltura di montagna. Dopo quindici anni
posso sperare: esiste una maniera di stare dentro il sistema, ma con
la capacità di proporre un altro modo di fare
economia”.
Tutti i riferimenti:
Azienda Agricola La Fonte
Località Gruim, Mezzomonte di Folgaria (Tn),Tel.
0464-72.00.41,
e-mail: info@la-fonte.org
www.la-fonte.org
“Riannodare uno dei tanti fili
recisi” e, allo stesso tempo, respingere “ogni tentativo di
marginalizzazione e riduzione ad elemento folcloristico delle piccole
aziende di montagne”. Viene voglia di leggere il catalogo di Mosaico,
associazione di ventidue aziende delle vallate della provincia di
Trento (tra queste La Fonte). Soprattutto viene voglia di viaggiare
dalle valli attorno al lago di Garda fino alle solitudini della Val
di Cembra per andare a trovare ognuno di questi piccoli produttori.
Aziende diverse fra di loro: da chi fa 40mila bottiglie di vino a chi
ha 400 metri quadrati di coltivazioni a erbe officinali, da chi ha
un’unica vacca a chi fa pascolare sessanta capi bovini e produce
yogurt biologico. Questi sono i fili recisi da riannodare: un tessuto
di un’agricoltura di montagna che, travolto dalle ondate del turismo
e dalle monocolture di vino e mele, è scomparso nel ricco
Trentino. I ventidue produttori di Mosaico ci provano a vivere della
montagna. Il segreto-non segreto della loro sopravvivenza è la
vendita in azienda, nei mercati locali, il contatto diretto fra
produttori e consumatori. A loro il grande merito di aver ripopolato
le terrazze e i prati delle alte valli trentine.
Per informazioni su Mosaico: Flavio Kaisermann, 0461-61.54.76,
cell. 335-74.40.208.