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A volte ritornano
I migranti latinoamericani lasciano l’Europa a causa della crisi: il progetto “Ritorni 3” coinvolge otto Paesi. In quello d’origine, i retornados ricevono, quando necessario, anche un sostegno psicologico, e possono avere accesso anche ad aiuti materiali: fino a 600 euro, per coprire necessità di base (dalla cura a spese per esigenze educative e formative) e fino a 2.100 euro per realizzare progetti di micro-imprenditorialità (auto-empleo)
Chi bussa al numero 29 di via Cufra, alla periferia Nord di Milano, lo fa per tornare a casa. Gli uffici della Ong ICEI ospitano uno sportello di servizio cui si possono rivolgere i cittadini di otto Paesi latinoamericani che desiderino rientrare nel proprio Paese d’origine. Qui, il potenziale “ritornante” può costruire un percorso di re-inserimento: chi lascia l’Europa, anche dopo una dozzina di anni, ha bisogno spesso di informazioni “di base”, da quelle relative al riconoscimento del titolo di studio per i figli che hanno studiato nel nostro Paese a quelle per accedere ai meccanismi di welfare state che non esistevano quando ha scelto di migrare. Per far questo, presso lo sportello -ventanilla única, in lingua castigliana- sono disponibili guide monografiche, “Guía de recursos para la reinserción sostenible”, dedicate agli otto Paesi partner dell’iniziativa (vedi box a p. 23), che è promossa dall’Organizzazione degli Stati Iberoamericani (OEI, www.oei.es/ventanillasunicas), un’istituzione che ha sede a Madrid ed è co-finanziata dalla Commissione europea.
ICEI e i suoi partner -che sono Ong spagnole e portoghesi, ma anche il ministero del Lavoro di Madrid e il Comune di Barcellona- ricevono un milione di euro per accogliere il migrante che sceglie di tornare a casa, aiutarlo a pianificare il proprio viaggio e metterlo in contatto con una ventanilla omologa aperta nel Paese d’origine. “Insieme al migrante, strutturiamo un piano di re-inserimento, che poi una volta retornado viene implementato in collaborazione con lo sportello latinoamericano”, spiega Rosaria De Paoli, direttrice di ICEI. Nel Paese d’origine i retornados ricevono, quando necessario, anche un sostegno psicologico, e possono avere accesso anche ad aiuti materiali: fino a 600 euro, per coprire necessità di base, che possono andare dalla cura a spese per esigenze educative e formative; fino a 2.100 euro per realizzare progetti di micro-imprenditorialità (auto-empleo).
Il progetto in corso (fino all’autunno del 2016) si chiama “Ritorni 3”, e prevede per l’Italia un impegno di ICEI alla diffusione di informazioni nelle quattro regioni dov’è più forte la presenza di cittadini latinoamericani, e cioè Piemonte, Liguria, Lombardia e Lazio. Grazie a una collaborazione con la Rete RIRVA (www.reterirva.it), che con il ministero dell’Interno gestisce il Fondo europeo per i rimpatri, però, la presenza diventa capillare e su tutto il territorio nazionale. RIRVA, che ha come partner, tra gli altri, Oxfam Italia e CIR (Consiglio italiano per i rifugiati) ha focal point e punti informativi in tutto il Paese, e organizza incontri di diffusione.
“Lo sportello è fisicamente aperto a Milano, ma in questo modo possiamo creare una rete che raggiunga potenziali ritornanti in varie regioni d’Italia” spiega Rosaria De Paoli. L’aspetto più innovativo del progetto, che lo distingue in maniera profonda dai “rimpatri” promossi dall’Unione europea, è -secondo la direttrice di ICEI – “il collegamento costante tra il punto di partenza e il punto di ritorno, che permette di monitorare ogni situazione una volta che il migrante avrà fatto ritorno nel Paese d’origine, e di accompagnarne effettivamente il ritorno e il reinserimento”.
Oltre alla ventanilla lombarda, ne esistono due attive in Spagna -a Madrid e a Barcellona- e una in Portogallo -a Lisbona-. “Oltre agli esponenti della società civile spagnola, portoghese ed italiana, alle assemblea promosse dall’Organizzazione degli Stati Iberoamericani per parlare di ‘ventanillas unicas’ e ‘retornados’ partecipano esponenti del governo spagnolo (ma anche catalano) e portoghese -racconta Alfredo Somoza, presidente di ICEI-. L’Italia ‘ufficiale’ è assente. Nel nostro Paese, vige ancora la logica dell’invasione, e tutto ciò che riguarda le politiche migratorie è trattato dal ministero dell’Interno come questioni legate alla ‘sicurezza’. Parlando con i funzionari del ministero del Lavoro spagnolo, emergono invece due tipologie di criticità, che progetti come ‘Ritorni’ cercano di affrontare. Da un lato, la crisi economica comporta una vera e propria emorragia demografica, che nel solo 2012 ha portato 321mila persone a lasciare la Spagna, e complessivamente ha portato circa mezzo milione di persone a scegliere il ritorno in America Latina -spiega Somoza-: questo fenomeno coinvolge decine di migliaia di cittadini spagnoli, che sono i figli nati in Spagna all’interno delle famiglie dei ‘retornantes’; dato un bilancio demografico pessimo, chi governa sa che sta perdendo una generazione di spagnoli. Il governo ha inoltre il dovere di assistere all’estero questi concittadini: devono e vogliono accompagnare i flussi. C’è poi -aggiunge Somoza- il tema delle relazioni politiche con i Paesi latinoamericani, che mutano radicalmente: la Spagna non fa più cooperazione, chiude gli istituti di cultura nelle ex colonie e, infine, manda indietro migranti”.
Dal Portogallo, invece, si parte alla volta del Brasile.
“Il ritorno va interpretato anche alla luce delle ottime performance economiche dei Paesi latinoamericani che si affacciano sull’Oceano Pacifico, che sono legati all’economia dell’Asia e registrano alti livelli di crescita economica, offrendo opportunità lavorative sempre maggiori” aggiunge Somoza. Il fenomeno del ritorno in America Latina riguarda anche il nostro Paese: il 30% dei peruviani ritornati in questi ultimi anni nel Paese andino risiedevano in Italia, e sono circa 24mila persone su un totale di 100mila peruviani registrati in Italia nel 2012. Dal nostro Paese, inoltre, sono segnalati consistenti flussi di ritorno anche verso l’Albania (60.000 persone tra il 2009 e il 2013) e la Romania (70.000 persone tra il 2009 e il 2013). “A differenza della Spagna, però, l’Italia non fa alcun tentativo di mantenere un legame con chi è stato qui a lungo” dice Somoza.
Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Brasile, Uruguay, Paraguay e Cile sono i Paesi latinoamericani in cui sono attivi gli sportelli che ricevono i migranti “retornados”. “Negli ultimi anni, praticamente tutti i Paesi dell’America meridionale hanno varato leggi specifiche -più o meno efficaci- per favorire il rientro dei loro emigrati -racconta Alfredo Somoza-. Alcuni offrono incentivi, molto eterogenei, per facilitare il ritorno: Bolivia ed Ecuador, ad esempio, concedono detrazioni fiscali, hanno previsto il riconoscimento dei titoli ottenuti all’estero e la possibilità di iscrizione agevolata alle liste di collocamento”.
Il Paese americano che applica la politica più incisiva, però, è il piccolo Uruguay: le famiglie che scelgono di rientrare hanno diritto a un “incentivo economico” pari fino al corrispettivo dell’affitto per due anni dell’abitazione. Aggiunge Somoza: “Nel caso del Perù, per ora le facilitazioni sono sulla carta: ma il miglior incentivo è una crescita economica media annua del 6,5% da un decennio, accompagnata da previsioni rosee per almeno altri 5 anni. Le statistiche del Paese andino riferiscono che, in media, si trova lavoro entro 4 mesi. Un miraggio per chi era emigrato in Spagna, dove chi è rimasto disoccupato può godere di soli 6 o 12 mesi di sussidio prima del nulla”, dato un tasso di disoccupazione che a fine 2014 è al 23,67%, con quasi 4,5 milioni di persone in cerca di lavoro.
“Ritorni” -un progetto co-finanziato al 90 per cento dalla Direzione generale Migration and Home Affairs della Commissione europea, e iniziato nel 2012- dimostra che l’Europa è in grado di leggere i nuovi fenomeni migratori, che descrivono una realtà molto diversa da quella rappresentata sui media: “Nei nostri Paesi non arrivano più migranti, ma profughi -dice Somoza-; i nuovi flussi di immigrazione si dirigono prevalentemente verso i Paesi nei quali ci sono opportunità di lavoro, e tendono a scemare nell’Europa Mediterranea”. Lo spiegano anche le più recenti statistiche ISTAT relative al nostro Paese, diffuse nel dicembre del 2014: il “saldo migratorio netto” per l’Italia è stato di 182mila persone nel 2013, un dato fortemente in calo rispetto all’anno precedente (meno 25,7%) e in “caduta” del 68% rispetto al 2013, quando il saldo era stato positivo per oltre mezzo milione di persone. “Anche la Spagna ha registrato un calo del 72%, mentre Grecia e Portogallo si attestano attorno al meno 80% -dice Somoza-. Queste cifre andrebbero analizzate insieme al dato relativo ai nuovi flussi di emigrazione che coinvolgono i cittadini di quelli stessi Paesi: dalla Spagna sono partiti circa 400.000 cittadini negli ultimi tre anni alla ricerca di opportunità all’estero, e dall’Italia nel 2013 sono andati via 80.000 italiani, il 50 per cento in più rispetto al 2012. —