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Ambiente / Opinioni

Greta Thunberg e quella “frattura sui comportamenti” che ha seppellito il Novecento

Greta Thunberg e Christine Lagarde

“La scelta dei comportamenti è diventata il discrimine fondamentale; sono meno rilevanti gli interessi di classe, si affievolisce lo scontro ideologico e gli stili di vita spaccano in due la società, obbligando a elaborare nuove chiavi di lettura e, forse, a immaginare nuove forme di aggregazione politica”. L’analisi di Alessandro Volpi

La discussione pubblica sul tema dei cambiamenti climatici ha conosciuto un indubbio salto di qualità a cui hanno dato un contributo decisivo la straordinaria visibilità di Greta Thunberg e le affollatissime manifestazioni delle ultime settimane, in larghissima parte composte da giovanissimi. La comunità scientifica, i governi e una parte dell’opinione pubblica mondiale hanno discusso per anni sui pericoli connessi al riscaldamento globale e sul predominio dei mercati senza riuscire, quasi mai, a trasformare simili questioni nei punti veramente decisivi dell’agenda politica e culturale del Pianeta. In pochissimo tempo, la comparsa di una ragazza che ha posto in essere chiare azioni di protesta e ha utilizzato l’efficacissima comunicazione social, ha trasformato il rischio della fine del Pianeta nell’argomento ovunque più dibattuto, tanto da portare in piazza, in Italia, oltre un milione di persone.

È certamente complesso comprendere le ragioni di un tale, rapidissimo, mutamento nell’attenzione generale, ma forse due elementi possono essere utilizzati a questo scopo.
1) Greta rappresenta il paradigma della “infantilizzazione” della politica; una definizione che non intende esprimere una valutazione di merito ma soltanto l’indicazione di un metodo. Dopo anni in cui i linguaggi sono stati disarticolati, semplificati, banalizzati, “resi social” e i bambini hanno rappresentato i target di riferimento di un’infinita serie di messaggi, da quelli pubblicitari, profondamente consumistici, fino alla comunicazione politica destinata ad arrivare a tutti, e dunque elementarizzata, era pressoché inevitabile che solo una bambina, in grado di fare appello ad un funzionante lessico diretto, visivo, esplicitamente comprensibile, potesse interpretare un bisogno reale avvertito da milioni di giovani e renderlo credibile.

Greta è un formidabile strumento di una narrazione istantanea, rispetto alla quale non sarebbero altrettanto efficaci i migliori scienziati; funziona come un colossale spot che contiene le immagini e le parole adatte per pubblici allenati ormai da tempo a essere considerati come bambini. Al tempo stesso, il linguaggio di Greta fa emergere una evidente contraddizione costituita dal fatto che l’infantilizzazione della comunicazione politica è avvenuta mentre i contenuti trasmessi con quel linguaggio diventavano sempre più finalizzati a riprodurre ad libitum l’assoluto predominio di un modello costruito e attuato ad esclusiva tutela degli adulti, dalle forme dello Stato sociale, alle produzioni culturali fino all’immaginario collettivo. Veicolare il predominio degli adulti con le modalità espressive dei giovani non poteva non scatenare una fortissima frattura generazionale che ha a che fare, prima di tutto con gli stili di vita.
2) Nella protesta di Greta, infatti, il vero punto di partenza, il tratto distintivo sono rappresentati da una radicale, quanto palese, modificazione dei comportamenti individuali e collettivi. A differenza di molte delle ribellioni del passato, prima delle idee, delle visioni del mondo, nel nuovo sforzo contro il cambiamento climatico si pone l’esigenza di un immediato abbandono di stili di vita consolidati e dell’adozione di pratiche quotidiane, pubbliche e private, di natura profondamente diversa, finalizzate in primis a evitare lo spreco. In quest’ottica la scelta dei comportamenti diventa il discrimine fondamentale, così marcato da indebolire i caratteri della rappresentazione sociale; sono meno rilevanti gli interessi di classe, si affievolisce lo scontro ideologico e gli stili di vita spaccano in due la società, obbligando a elaborare nuove chiavi di lettura e, forse, a immaginare nuove forme di aggregazione politica. In altre parole, le nuove distinzioni, le nuove appartenenze tendono a non discendere più da visioni dottrinali date e a disarticolare, forse in maniera definitiva, le categorie novecentesche di interpretazione della realtà.

Ma lo scontro sui comportamenti di vita è forse ancora più duro rispetto a quello novecentesco proprio perché non dispone dei filtri teorici e perché, per la prima volta, considera il futuro una variabile incerta. Partire dalle pratiche più ambientalmente corrette nella paura che il domani non ci possa essere rende il messaggio politico e culturale ad esse connesso ruvido e inevitabilmente critico nei confronti delle classi dirigenti attuali, non più mediabile attraverso la comune adesione ad un patrimonio di idee e di ideologie. Come accennato, la frattura sui comportamenti segna un discrimine netto e obbliga alla nascita, più o meno consapevole, di forme di aggregazione sostanzialmente prive di una tradizione proprio perché non è ammessa l’idea stessa della tradizione e perché gli attuali soggetti politici sono considerati complici di quella tradizione che ha sfasciato il Pianeta. La politica dei comportamenti, raccontata dalla sua infantilizzazione e resa necessaria dalla consapevolezza che il futuro promesso, capace di rappresentare il grande tema delle ideologie del passato, non c’è più, cambierà alla radice la geografia mondiale degli schieramenti.

Università di Pisa

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