Economia / Opinioni
Ecco perché serve una buona Banca centrale europea
Grazie all’euro la nostra economia riesce a conservare un determinante afflusso di capitali esteri. In questo scenario, la Bce gioca un ruolo fondamentale: senza i suoi interventi “tampone”, magari con nuova liquidità, il sistema bancario italiano rischia di risultare almeno parzialmente inadempiente. L’analisi di Alessandro Volpi
Per provare a comprendere alcuni aspetti dello scenario economico italiano dei prossimi mesi possono essere utili i numeri forniti di recente da vari istituti di ricerca che confermano l’indispensabilità dell’euro e l’importanza dei legami con l’estero delle nostre istituzioni finanziare.
Le banche mondiali sono esposte nei confronti del sistema economico italiano per poco meno di 800 miliardi di dollari, una cifra sostanzialmente stabile nel tempo, a fronte di una più evidente contrazione degli impegni delle stesse banche nei riguardi dei titoli del debito pubblico italiano. Si tratta di un dato estremamente rilevante che è cresciuto di ben 500 miliardi di dollari negli ultimi 20 anni, da quando cioè è stato introdotto l’euro, a dimostrazione della capacità della moneta unica di rassicurare gli investitori internazionali rispetto alle possibili criticità e alle debolezze dell’economia italiana.
È evidente che, alla luce di ciò, risulta indispensabile cancellare ogni ipotesi di abbandono della moneta unica per mantenere in vita questo decisivo flusso di capitali altrimenti difficilmente sostituibile con risorse interne. La stabilità della moneta europea contribuisce a rendere possibile anche un volume di esportazioni italiane che si è mantenuto nel corso degli ultimi anni intorno ai 500 miliardi di euro ogni anno. Una massa di risorse che non è affatto certo sarebbe altrettanto cospicua in presenza di una moneta nazionale, più debole e dunque apparentemente più “competitiva”, ma decisamente più insicura, a meno di non immaginare stravaganti modelli di doppia circolazione monetaria.
Secondo i dati elaborati dalla Banca d’Italia, le banche italiane hanno ridotto dal 2011 il ricorso al mercato internazionale dal momento che le emissioni di obbligazioni sono risultate negative per 47 miliardi di euro, con una contrazione della loro incidenza sul totale della raccolta delle stesse banche dall’11,5 al 9,5%. In altre parole, questo significa che, di fronte alle difficoltà ad approvvigionarsi nel mercato interbancario, gli istituti di credito italiani hanno fatto larghissimo ricorso alle iniezioni di liquidità della Banca centrale europea, grazie alle quali, per citare le parole del governatore Visco, “hanno contribuito a sostenere l’erogazione del credito alle famiglie e alle imprese e a ridurne il costo”.
Queste iniezioni, prese a prestito dal sistema bancario italiano per circa 240 miliardi di euro sui 740 messi a disposizione di tutta l’area euro dall’istituto presieduto da Mario Draghi, dovranno tuttavia essere restituite, sia pur a tassi inesistenti, entro la prima metà del 2020 e ciò costringe le stesse banche italiane a attrezzarsi rapidamente in tale direzione. Una condizione tutt’altro che semplice da realizzare, viste le già ricordate difficoltà di collocamento delle obbligazioni bancarie italiane e data la lievitazione degli spread. Dalla metà del maggio scorso ad oggi, gli istituti di credito italiano sono riusciti a piazzare soltanto 12 miliardi di euro in obbligazioni, un esito che ha rappresentato il peggior risultato degli ultimi 10 anni, molto simile a quanto accadeva nella tempesta del 2011.
Per fronteggiare questa esigenza di risorse finalizzate a restituire i prestiti della Bce, le banche italiane, che continuano ad essere imbottite di titoli del debito pubblico italiano per un totale di oltre 330 miliardi di euro, hanno iniziato una pericolosa opera di smobilizzo della loro presenza nelle principali economie internazionali. Dalla primavera dell’anno passato, hanno ridotto infatti la loro esposizione verso Germania, Francia, Inghilterra, Spagna e Olanda di quasi 50 miliardi di euro; una manovra indotta in gran parte dalle cause sopra ricordate ma certamente non indolore perché destinata a indebolire il peso italiano su mercati rilevanti dove sono cruciali forme di sostegno in grado di coadiuvare le già ricordate, decisive esportazioni. Appare chiaro da questi dati che nei prossimi mesi l’Italia avrà bisogno di maggiori dosi di internalizzazione e di Europa, due ingredienti tra loro strettamente connessi.
Grazie all’euro la nostra economia riesce a conservare un determinante afflusso di capitali esteri che è auspicabile non si riduca perché le banche italiane avranno bisogno di significative risorse la cui provenienza può essere per molti versi solo internazionale e europea, date anche le previsioni di crescita del Pil nostrano poco distanti dallo zero. Di nuovo sarà decisivo il ruolo della Bce perché non è difficile capire che senza i suoi interventi “tampone”, magari con nuova liquidità per restituire quella presa a prestito o con nuove dilazioni nella restituzione dei prestiti fatti, il sistema bancario italiano rischia di risultare almeno parzialmente inadempiente e quindi di subire nuovi pesanti attacchi speculativi, facilmente alimentati da una dinamica dei differenziali di rendimento rispetto alla Germania tutt’altro che favorevole.
Università di Pisa
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