Economia / Opinioni
La bulimia di dichiarazioni del “Governo del cambiamento”
L’ultimo, in ordine di tempo, è il titolare del dicastero per gli Affari europei Paolo Savona, che evoca la possibilità della cacciata dell’Italia dalla moneta unica. Fare dichiarazioni su tutto diventa così lo strumento con cui ogni ministro contribuisce al peso complessivo della propria forza politica. L’analisi di Alessandro Volpi
C’è un’evidente tendenza che sta emergendo nel linguaggio politico italiano ed è costituita da una pericolosa bulimia di dichiarazioni, più o meno ufficiali, anzi talvolta ammantate da un poco comprensibile riferimento a prese di posizione “a titolo personale”, da parte di esponenti di primissimo piano della scena nazionale. Tra i molteplici esempi che si potrebbero citare, al di là del quotidiano scontro fra ministri su questioni cruciali come migranti e precarietà, colpisce l’evocazione a opera di un membro importante dell’esecutivo di un probabile prossimo “cigno nero”, destinato a materializzarsi nel destino del nostro Paese.
Con l’espressione cigno nero, utilizzata soprattutto da Nassim Nicholas Taleb, autore di numerosi studi sulla probabilità e sulla casualità, si intendono quegli eventi molto rari e inaspettati, non previsti né prevedibili che sono destinati ad essere analizzati solo dopo che sono avvenuti. Nel caso italiano, il cigno nero a cui fa riferimento il ministro Paolo Savona consisterebbe in una cacciata dall’euro per iniziativa di altri Paesi o da parte dei mercati internazionali. Proprio per il timore di un simile evento, ha dichiarato ancora il ministro in questione, in passato lui stesso aveva ipotizzato un “Piano B” di uscita dalla moneta unica, suscitando non poche tensioni.
In aggiunta a queste esternazioni, il medesimo, ineffabile, ministro ha detto che a fine estate sarà possibile un declassamento italiano, e dunque si realizzerebbe una delle condizioni del cigno nero. Non soddisfatto di siffatte esternazioni, ha auspicato che la Banca Centrale Europea possa avere, finalmente, compiti pieni in materia di difesa del cambio con il conseguente obbligo, in realtà sempre considerato da molti analisti assai insidioso, di intervenire sui mercati e quindi con il rischio di scatenare ondate speculative contro la moneta da difendere, come la storia ha spesso dimostrato.
Alla luce di tutto ciò verrebbe da sostenere che dichiarazioni simili paiono almeno in parte sgangherate per varie ragioni. In primo luogo possono assumere rapidamente il carattere di profezie che si auto-avverano. Paolo Savona è un ministro della Repubblica italiana in carica e le sue parole pesano: perché vede il cigno nero? Ha timori sulla manovra? Sui conti? È convinto che reddito di cittadinanza, “flat tax” e respingimenti costino troppo per le finanze pubbliche senza generare effetti immediati sul Pil e quindi possano scatenare attacchi contro l’Italia? Parlare troppo, in particolare nelle fasi di transizione, suscita timori e sospetti. Inoltre Savona non è il ministro dell’economia, perché discetta di scenari economici? Si tratta di un aspetto tutt’altro che trascurabile della vita dell’esecutivo dove troppi ministri affrontano temi non propri. Tendono a fare politica e non amministrazione forse per difendere lo spazio della propria forza politica all’interno di una diarchia e di una dimensione tutta contrattuale e notarile dei rapporti fra i due partner di governo.
Fare dichiarazioni su tutto diventa così lo strumento con cui ogni ministro contribuisce al peso complessivo della propria forza politica in contrasto con l’altra forza di governo: del resto se, come hanno sostenuto vari esponenti di maggioranza, il peso politico si misura sul numero dei ministri, ne deriva che più dichiarazioni tali ministri fanno più sono visibili in una preoccupante idea “numerica” del prestigio e del ruolo della politica, dettata in larga misura dall’assenza di una visione comune e d’insieme della maggioranza. Ma le dichiarazioni eccessive riguardano anche altre figure, stimolate proprio dalla loquacità dell’esecutivo: in una sorta di reazione a catena l’appena rieletto presidente dell’ABI, preoccupato da chi dichiara di voler uscire dall’euro, evoca scenari catastrofici (altri cigni neri?) e ricorda con ansia i tassi di interesse stellari praticati da Bankitalia quando c’era la lira. Si spinge persino ad immaginare somiglianze con la criticissima situazione argentina. Il presidente di Confindustria, dal canto suo, pur con maggiori cautele, non esita a snocciolare i dati di un possibile, ulteriore congelamento dell’economia italiana perché spaventato dalle dichiarazioni che provengono dal superministero del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio. Stiamo diventando un Paese troppo loquace e, soprattutto, un Paese che abusa della paura come chiave di lettura della realtà.
Università di Pisa
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