Economia / Opinioni
Spesa pubblica e scelte strategiche. Lo spazio stretto tra debito e previdenza
Nel 2017, la spesa complessiva dello Stato ha toccato quota 879 miliardi di euro, in crescita del 6% rispetto all’anno precedente. Poco meno della metà va a finanziare il debito pubblico e la previdenza. Un quadro ingessato che lascia poco margine ma che può essere cambiato. L’analisi di Alessandro Volpi
I numeri della spesa pubblica dello Stato italiano, di cui molto si sta discutendo in questi giorni, manifestano due elementi particolarmente visibili. Il primo è rappresentato dalla grande rigidità delle principali voci. In estrema sintesi degli 879 miliardi di euro che compongono il totale della spesa pubblica per il 2017, in crescita del 6% rispetto all’anno precedente, poco meno della metà sono costituiti dal finanziamento del debito pubblico e della previdenza. Nel caso del debito, la spesa di 320 miliardi appare in crescita se confrontata con il 2016, ma si tratta soltanto di una differenza tecnica, legata al maggior numero di scadenze di titoli previste in corso d’anno, mentre, in realtà, gli interessi sono scesi a 74 miliardi, dopo la cura del “bazooka” di Draghi.
Quello che appare certo, però, è che anche nei prossimi anni il finanziamento del debito primario, derivante dal collocamento dei titoli, resterà una costante difficilmente modificabile a cui dovranno essere aggiunti esborsi annui per il costo degli interessi intorno ai 70 miliardi. In crescita risulta invece la voce relativa alla previdenza in quanto sono lievitati rispetto al 2008 i trasferimenti dello Stato all’Inps per dare copertura alla parte di spesa che non riceve un finanziamento dalle entrate contributive; una spesa che nel 2017 è stata pari a circa 93 miliardi di euro con un incremento non lontano dal 40% rispetto al 2008. Quasi metà della spesa statale, quindi, si rivela vincolata e, per molti versi, dipendente dalle scelte strategiche della Banca centrale europea e dai tempi di uscita dalla liquidità facile. Se poi, alle voci fin qui ricordate si affiancano quelle relative all’istruzione scolastica e universitaria, per un totale intorno ai 55 miliardi, alla giustizia, per poco più di 8 miliardi, all’ordine pubblico, per circa 11 miliardi, e alla difesa, per quasi 21 miliardi, il quadro di una spesa sostanzialmente ingessata è ancora più rafforzato dal momento che tutte queste voci sono in larghissima parte occupate dalle spese di personale dei vari settori.
Ogni anno, inoltre, l’Italia deve destinare 25 miliardi agli impegni presi in sede europea per far fronte alla crisi di altri Paesi del Vecchio Continente e alle istituzioni create per superare la crisi finanziaria iniziata nel 2008. Anche la voce delle politiche economico-finanziarie, che vale nel 2017 più di 106 miliardi, in decisa crescita rispetto al 2016 per una ventina di miliardi, è molto rigida perché si riferisce a rimborsi fiscali, alle spese per le strutture destinate al contrasto all’evasione e alle garanzie sulle emissioni di liquidità. Lo spazio dell’azione politica nei confronti di simili poste è, inevitabilmente, molto angusto ma proprio nella voce delle politiche economiche e finanziarie si registra un intervento dai caratteri assai discrezionali e rappresentato dal finanziamento del decreto sulle banche che ha destinato al “salvataggio” del Monte dei Paschi di Siena e delle due banche venete gran parte dei sopra citati 20 miliardi di maggiore spesa rispetto al 2016. Quest’ultima considerazione consente di introdurre il secondo elemento a cui si faceva riferimento in apertura. Le scelte politiche possono essere condotte all’interno di alcune voci particolari che manifestano una maggiore flessibilità rispetto alle altre. In estrema sintesi, è complesso mettere mano al debito e alla previdenza e ad una serie di altre “missioni” -per usare l’espressione corretta della contabilità pubblica- ma non è impossibile agire su altri versanti. Uno di questi è quello delle autonomie territoriali che scontano una sempre più intollerabile erogazione di risorse verso le Regioni a statuto speciale, in grado di assorbire da sole tra regolazioni contabili e altri trasferimenti una quarantina di miliardi su un totale di 115 miliardi di euro. Perché continuare a garantire un simile privilegio tanto costoso per tutti i cittadini italiani? Una riflessione “politica” potrebbe coinvolgere poi due altre voci che presentano maggiori margini di manovra rispetto ad altre e sono rappresentate dalle politiche sociali e della famiglia e dalle politiche del lavoro, le prime in crescita tra il 2016 e il 2017 da 30,8 a 32,3 miliardi e le seconde in evidente diminuzione da 15 a poco più di 11 miliardi.
È dentro questo perimetro, a cui va aggiunta la missione denominata “competitività e sviluppo”, pari ad una ventina di miliardi, che possono essere articolate le differenti “offerte” della politica senza rischiare di compromettere la tenuta dei conti dello Stato e gli impegni da mantenere per non far esplodere nuove, pericolose aggressioni finanziarie al nostro Paese. Operando una semplificazione davvero brutale, verrebbe da dire che su una spesa complessiva di 879 miliardi, le scelte strategiche concepibili possono far conto su circa un centinaio di miliardi, una cifra tutt’altro che banale rispetto alla quale spostano poco sia i 2,5 miliardi del costo degli organi costituzionali sia i 3,8 destinati all’accoglienza e all’immigrazione.
* Università di Pisa
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