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Italia, 2017. La Repubblica parlamentare diventata premierato
Delle 174 leggi approvate dall’inizio della legislatura, soltanto il 20% era di iniziativa parlamentare. L’assemblea non è più il soggetto primario della produzione legislativa ma è confinata in una posizione “laterale”. Le Camere si limitano a “partecipare” ai processi decisionali varati dai governi. L’analisi di Alessandro Volpi
La legislatura sta avviandosi al termine naturale ed emerge con chiarezza un dato. Sono molti i disegni di legge fermi in uno dei due rami del Parlamento, in particolare al Senato dove la maggioranza assai risicata ha “consigliato” il rallentamento dell’iter di varie proposte. Dunque l’attività legislativa delle Camere appare procedere decisamente a rilento. Ma ancora più evidente risulta un altro aspetto del funzionamento del nostro sistema parlamentare. È ormai diventata una prassi che la stragrande maggioranza delle leggi approvate dal Parlamento italiano sia di iniziativa del governo. Secondo i dati di Openpolis, riferiti a gennaio dello scorso anno, delle 174 leggi approvate dall’inizio della legislatura, cominciata nel 2013, soltanto il 20% era di iniziativa parlamentare, configurando di fatto un premierato sui generis.
Se si scende nello specifico dei numeri, questo fenomeno appare ancora più palese. In media se in un mese vengono depositate circa 180 proposte di legge, solo 6 riescono a completare il proprio percorso e le iniziative del governo hanno una percentuale di successo decisamente più alta rispetto a quelle parlamentari: 32% contro 0,87%. In altre parole, la produzione legislativa è sempre più prerogativa pressoché esclusiva dell’esecutivo; nella sedicesima legislatura, iniziata con il governo Berlusconi e proseguita con il governo Monti, le leggi di iniziativa parlamentare sono state pari al 19,71% nella fase berlusconiana e al 31,86% durante il governo tecnico. Durante l’attuale legislatura, nella fase del governo Letta le leggi di iniziativa parlamentare sono crollate all’11,11% mentre nella successiva fase dell’esecutivo Renzi la percentuale è salita al 18,84%. Si tratta di tendenze, in parte, già presenti nella storia repubblicana che hanno fatto registrare però negli ultimi anni un sensibile, ulteriore, depotenziamento del “tradizionale” ruolo parlamentare. In primo luogo è andato diminuendo in termini assoluti il numero delle leggi approvate che sono state ben 2.317 nella prima legislatura, dal maggio del 1948 al giugno del 1953, con una media mensile di 37,65 approvazioni, per scendere alle 686 della quattordicesima legislatura, dal maggio 2001 all’aprile 2007, con una media mensile di 11,64; una media, in realtà non molto dissimile da quella di altri paesi europei, che anzi, hanno registrato nello stesso periodo, Spagna e Francia in particolare, una produzione legislativa inferiore.
In secondo luogo si è ridotta, soprattutto dalla XIII legislatura, quindi dal maggio 1996, la percentuale di leggi di iniziativa parlamentare che sono state approvate rispetto a quelle presentate: l’1,65% nel corso della XIII legislatura, a fronte di una percentuale di leggi di iniziativa governativa approvate pari al 47,54%, e l’1,58% nel corso della XIV contro il 73,23% di iniziativa governativa. La modifica profonda della natura del Parlamento, avvenuta in larghissima misura per via di prassi, è testimoniata da due ulteriori aspetti. È cresciuta nel tempo la decretazione d’urgenza che è passata dai 29 decreti emanati nella prima legislatura, ai 124 della VI, avviatasi nel maggio del 1972, ai 667 della pur breve XII, durata dall’aprile del 1994 al maggio 1996; da allora sempre più spesso l’attività ordinaria ha finito per assumere i caratteri dell’urgenza. Si è ampliato, inoltre, il cosiddetto “cocktail” della produzione normativa che ha visto oltre alla già ricordata diminuzione della produzione di leggi l’aumento del numero di decreti legislativi, di decreti legge e di regolamenti di delegificazione. Solo per citare un esempio di tale fenomeno è sufficiente ricordare che nella XIII legislatura le leggi furono 906, i decreti legislativi 378, 573 i decreti legge e 179 i regolamenti di delegificazione. Per completare questo quadro, certamente non esaustivo, è necessario aggiungere anche il riferimento alla forte crescita delle leggi delega, che conferiscono cioè deleghe al governo e che sono passate del 2,41% del totale delle leggi nella X legislatura, iniziata nel luglio del 1987, al 10,71% della XV, apertasi nell’aprile del 2006. L’insieme di queste considerazioni suggerisce una valutazione che, per quanto inevitabilmente incompleta, tende a rappresentare una pesante trasformazione dell’attività del Parlamento, non più soggetto primario della produzione legislativa ma confinato in una posizione “laterale”. Le Camere non legiferano più e si limitano a “partecipare” ai processi decisionali varati dai governi con funzioni di indirizzo generale e di controllo senza incidere però nella carne viva della principale funzione di un paese democratico. Il cambiamento del sistema istituzionale sta consumandosi in assenza di una reale riflessione organica che, al di là degli esiti del referendum, dovrebbe in realtà capire se il bicameralismo perfetto ha ancora senso di fronte ad un Parlamento che svolge compiti “ancillari”. Certo, la discussione sulla legge elettorale, in queste condizioni, assume inevitabilmente caratteri di minuta tattica congiunturale.
Università di Pisa
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