Ambiente / Attualità
Tra terremoti e pesticidi, le mille battaglie dei difensori delle api
Dall’opera impollinatrice di questi preziosi insetti dipende un terzo degli alimenti che consumiamo. Vietare l’uso di sostanze chimiche tossiche è il primo passo per salvare la “danza” che permette la biodiversità
Ilaria profuma di miele. Me ne accorgo mentre siamo una accanto all’altra davanti a un alto cespuglio di erbe spontanee dove è in corso una festa d’api. Gli insetti sono al pascolo sul meliloto officinale: uno spettacolo sempre più raro da vedere in città. Le api sono delle viaggiatrici eclettiche, ma precise: “Si spostano ovunque, ma preferiscono le piante con un alto potenziale mellifero, che è la quantità media di nettare prodotta da un fiore in 24 ore, misurata in chili di miele per ettaro”, spiega Ilaria Rilievo, apicoltrice di 33 anni, nella zona pedemontana dell’altovicentino mette in pratica un’apicoltura gentile e la diffonde con corsi e visite ai suoi 70 alveari e al laboratorio di smielatura a Santorso (www.apicolturagentile.com).
Le api sono anche costanti: quando hanno scelto una specie sui cui fiori fare bottino di nettare (“bottinare”), continuano sulla stessa specie fino a quando l’hanno esaurita. “Chiamiamo questa strategia evolutiva delle piante e delle api costanza floreale”. Le piante, infatti, hanno bisogno delle api perché il loro polline si muova, spiega Ilaria: “Le api fanno da vettori di polline per la riproduzione. In cambio la pianta dona loro una goccia di acqua e zucchero, il nettare. Entrando nel fiore per mangiarlo, le api, che sono pelose, si sporcano di polline e poi ripartono verso un’altra pianta della stessa specie, fino a quando non hanno riempito la loro sacca melaria”.
Per questo c’è un’alta attenzione di fronte all’attuale pericolo, concreto, della scomparsa delle api: secondo i dati del Consorzio nazionale apicoltori (Conapi, www.conapi.it), solo in Europa sono scomparse negli ultimi anni il 20 per cento delle api, con punte del 50 per cento in alcune zone. Le cause sono molteplici: l’uso di pesticidi killer per le api, il cambiamento climatico e l’arrivo di parassiti dall’estero (come la varroa), sono le principali. A rischio non è solo un’economia stimata a livello mondiale in 265 miliardi di euro all’anno. Ma la vita stessa: se il 90 per cento della produzione di cibo nel mondo dipende da circa 100 specie vegetali, di queste, 70 esistono grazie all’impollinazione effettuata dalle api.
Greenpeace parla di una diminuzione del 25 per cento delle api allevate in Europa tra il 1985 e il 2005. Per richiamare l’attenzione sulle responsabilità dell’agroindustria nella scomparsa delle api, l’associazione ambientalista ha avviato dal 2013 la campagna “Salviamo le api” (www.salviamoleapi.org) e lanciato nel gennaio 2017 una petizione -firmata fino a oggi da oltre 100mila persone- per chiedere al Governo italiano e alla Commissione europea la messa al bando definitiva dei pesticidi dannosi per gli insetti impollinatori.
Quest’anno, infatti, l’Unione europea deve decidere se mantenere, estendere o annullare la decisione del 2013 con cui la Commissione europea ha proibito temporaneamente l’uso fuori serra di alcuni pesticidi neonicotinoidi prodotti da Bayer e Syngenta, responsabili secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa, www.efsa.europa.eu/it) del declino delle api, mettendo a rischio la sicurezza alimentare.
“Le api non producono solo miele. Dalla loro opera di impollinazione dipende un terzo degli alimenti che consumiamo abitualmente, come mele, fragole, pomodori e mandorle, oltre alla produttività del 75 per cento delle nostre principali colture”, spiega Federica Ferrario, responsabile della campagna “Agricoltura sostenibile” di Greenpeace Italia. Le evidenze scientifiche dei danni che questi pesticidi causano alle api e altre specie sono sempre più evidenti e “più di due terzi del polline raccolto nei campi e portato all’alveare è contaminato da 17 diverse sostanze chimiche tossiche – continua Federica Ferrario -. Per questo, chiediamo al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina di vietare i pesticidi più dannosi e di investire in pratiche agricole sostenibili”. Ma ognuno di noi può fare la propria parte e Greenpeace dà delle indicazioni pratiche per creare, per esempio, un’“area salva-api” seminando fiori bio amici degli insetti in giardino o sul balcone, come la calendula, la lavanda, la malva. O per costruire un rifugio per le api usando tronchi di legno forati o mattoni cavi, dove accogliere gli insetti.
In provincia di Perugia, l’azienda “Il massaro” di Norcia (www.mieledicastellucciodinorcia.it), ha 600 alveari, ma la produzione di miele continua a calare: quest’anno il raccolto è stato di quasi il 70 per cento in meno. “L’acacia è l’esempio più evidente, con una produzione che da 60 quintali all’anno è scesa quest’anno a quattro quintali”, spiega Marco Agabiti. Il cambiamento climatico ha inciso molto su questa perdita: la grandine e le gelate primaverili durante la fioritura hanno creato non pochi problemi alle api, che amano il caldo e amano uscire per viaggiare di fiore in fiore quando la temperatura supera i 20 gradi.
I dati Conapi confermano questa crisi: in Italia nel 2016 sono state prodotte 400 tonnellate in meno di miele d’acacia. Quello biologico è passato da 437 tonnellate nel 2015 a 184 e quello convenzionale da 266 a 91 tonnellate. Nonostante l’aumento degli alveari e 42mila aziende, la produzione 2016 è stata “addirittura peggiore del 2008, l’annus horribilis che evidenziò i danni legati all’uso dei neonicotonoidi nelle colture del mais -si legge nel comunicato Conapi-. Le cause sono da ricercare sia nelle condizioni climatiche avverse, sia nel progressivo indebolimento delle api, anche a causa dell’uso di pesticidi in agricoltura. Le conseguenze saranno un innalzamento dei prezzi e un aumento del rischio di sofisticazioni”. L’Europa, con 250mila tonnellate annue prodotte da 16 milioni di alveari, soddisfa solo il 60 per cento della domanda di miele e importa la metà del prodotto dalla Cina, primo produttore mondiale (poi da Messico e Ucraina).
A peggiorare una situazione già critica a livello globale, per l’azienda “Il massaro” e gli apicoltori umbri è stato il terremoto, che ha causato la moria di 60 milioni di api e 80mila euro di danni. L’attività della famiglia di Marco nasce da una passione del papà, Silvano, che 35 anni fa era fornaio: di notte impastava il pane e di giorno seguiva qualche alveare. Conoscendo uno dei primi apicoltori dell’Umbria, inizia a pensare che l’apicoltura possa diventare la sua attività, facilitato dall’indotto di molti turisti che ogni anno visitavano Norcia.
Marco è dipendente da due anni, con una caratteristica: “Sono allergico alle api. Per me è una sfida: per adesso mi sono occupato principalmente della parte gestionale e commerciale, ma sto completando un iter medico per cui potrò iniziare a lavorare più da vicino con le api”, racconta. Il 24 agosto scorso, quando ha iniziato a tremare la terra, una parte degli alveari si trovava nella fioritura di Castelluccio di Norcia (Pg), vicino alle lenticchie coltivate naturalmente nel parco nazionale dei Monti Sibillini. “È una posizione privilegiata per fare uno dei mieli millefiori più apprezzati e premiati, d’alta montagna, a 1.450 metri sul livello del mare”, spiega Marco. 150mila api si trovavano nei 200 alveari del Massaro a Castelluccio. Sono morte schiacciate tra i telai delle arnie, cadute a causa delle scosse, oppure disperse in seguito alla morte dell’ape regina.
“Le strade erano inagibili per i danni e non potevamo raggiungere gli alveari -ricorda Marco-. Abbiamo allestito delle tende fuori dall’azienda a Norcia e siamo potuti salire in montagna solo dopo un paio di settimane”. Con la seconda, forte scossa del 30 ottobre è invece l’azienda in pianura a subire forti danni: “Due piani dove avevamo il punto vendita e i magazzini sono inagibili, ma ci resta il piano interrato, dove abbiamo il laboratorio di trasformazione e dove continuiamo a lavorare il miele”. Grazie alla solidarietà ricevuta e con il sostegno di Confagricoltura, la famiglia Agabiti ha attrezzato un container da cui ripartire.
E proprio in provincia di Perugia, a Panicale, si trova il primo tratto dell’“autostrada delle api”, curato dai bambini delle scuole primarie e secondarie di Panicale e Paciano, in collaborazione con l’Usl 1 Umbria e la Forestale, per sensibilizzare sull’importanza degli insetti impollinatori per l’ecosistema e il futuro della vita. Un’idea venuta dalla Norvegia, dal gruppo ambientalista “ByBi” che a Oslo ha creato un corridoio verde di fiori che attirano gli insetti con un metodo partecipativo che coinvolge i cittadini in una mappatura condivisa (www.pollinatorpassasjen.no).
La danza delle api può così continuare: quando fanno ritorno all’alveare questi insetti depositano il polline e il nettare che si sta già trasformando in miele grazie agli enzimi contenuti nella sacca melaria. Qui, con un movimento “a tondo” o “a otto” comunicano alle altre api bottinatrici dell’alveare dove si trova la fonte di nettare: rispettivamente, con una danza emozionale che indica un luogo molto vicino all’alveare o un’altra che indica la distanza radiale e lineare della fonte rispetto alla loro casa.
Passeggiando in campagna o vicino a delle aziende agricole capita di vedere delle casette di legno di abete colorato: sono le arnie, che prendono il nome di alveari quando sono abitate da una colonia di api. Le più diffuse in Italia sono del modello “Dadant-Blatt” (dai nomi dei suoi inventori) e al loro interno si trovano dieci telai mobili che permettono di guardare le api. “Le api hanno un olfatto molto sviluppato, ma la vista è un senso minore: per questo si aiutano a riconoscere la propria casa con dei colori o dei disegni”, spiega Ilaria Rilievo. Quando ne avvistate qualcuna, sapete che dentro si sta svolgendo una danza preziosa, che tutela la biodiversità.
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