Esteri / Attualità
“Stop occupation”. Scatti dalla Palestina, per continuare a esistere e a sopravvivere
Nel 2010 Simone Bissoli, viaggiatore e fotografo non professionista, ha documentato lo sradicamento dei palestinesi di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est. Non avrebbe mai pensato che quelle immagini in bianco e nero sarebbero state premiate oggi dal Tokyo international foto awards. “Ho ritirato fuori dal cassetto questo lavoro perché più si parla di Palestina e meglio è”. Un progetto che dialoga con la tragica attualità
Quest’anno il primo premio nella categoria “Discovery of the year” del Tokyo international foto awards (Tifa), che seleziona e connette le opere di talenti da tutto il mondo con i nuovi pubblici nei circoli culturali della capitale giapponese, è stato vinto dal progetto “Stop occupation” del fotografo veronese Simone Bissoli.
Le fotografie che hanno ottenuto il riconoscimento raccontano una manifestazione a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme Est dove la maggioranza della popolazione è di origine palestinese.
Bissoli ha deciso di scattarle in bianco e nero, “una scelta precisa per ridurre le distrazioni e concentrare lo sguardo sui gesti e sui volti” che sono perlopiù di ragazzi molto giovani. “Studenti -racconta il fotografo-. Era presente un professore universitario circondato dai suoi alunni, anche israeliani, schierati a favore dei diritti dei palestinesi che, la notte prima, per un’incursione militare erano stati espulsi dalla loro case, assegnate poi a coloni israeliani”.
Ma ci sono anche gli sguardi persi nel vuoto di due donne palestinesi rimaste vedove perché i loro mariti si sono opposti allo sfratto. Non sono però ritratti del presente, risalgono infatti al 2010 e sono arrivati fino ad oggi solo per la lungimiranza di Bissoli e di chi saputo consigliarlo nel modo giusto.
“In aeroporto a Tel Aviv prima di prendere il volo di rientro in Italia -ricorda- mi hanno fermato per i controlli. Mi sono ritrovato praticamente nudo in uno stanzino, hanno aperto e controllato il contenuto della valigia e poi hanno preso la mia macchina fotografica e hanno smontato anche quella, pezzo per pezzo. Avevo un obiettivo grandangolo che hanno imballato e spedito a parte. Hanno infine verificato al computer le foto che avevo scattato. Non hanno trovato nulla e dopo qualche ora di fermo mi hanno lasciato partire. Avevo inviato in Italia la scheda con le immagini della manifestazione via corriere e scattato altre puramente turistiche”.
Bissoli si trovava in Palestina insieme a Stefania Guerrucci, oggi presidente di Ponte solidale (e colonna di Altreconomia in quanto socia e consigliera di amministrazione), e Andrea Lista, chimico invitato a sviluppare la produzione di sapone artigianale a base di olio d’oliva insieme all’Association of women’s action for training & rehabilitation (Aowa), l’organizzazione nata nel 1994 da un gruppo di donne palestinesi attiviste della Palestinians federation of women’s action (Pfwa). Bissoli, che non è un fotografo professionista ma da più di vent’anni viaggia con la sua macchina fotografica al collo, aveva il compito di documentare il processo di produzione e lo stato di avanzamento dei lavori ma si è trovato a scattare durante la protesta.
“È stata una manifestazione pacifica, non è sfociata in violenza anche perché era presente un gruppo di osservatori americani”, racconta. La sensazione che ancora oggi gli è rimasta addosso non è dunque tanto quella di paura quanto di impotenza: “Mi sembrava di vedere Davide contro Golia. I coloni erano protetti dall’esercito israeliano armato di tutto punto. I manifestanti avevano tra le mani tre cartelli e niente di più”.
È un giorno che ricorda come se fosse ieri, ammette, come non riesce a dimenticare l’unica idea di futuro che i giovani palestinesi si prospettavano: “Qualsiasi ragazzo a cui chiedevo cosa vedesse nel suo futuro, mi dava sempre la stessa risposta, un’altra intifada”.
E se è dunque vero che queste foto oggi assumono un significato diverso è altrettanto vero che non smettono di parlarci, come dimostra la decisione della giuria del Tokyo international foto awards. Il progetto di Bissoli sembra infatti dialogare con l’altro primo premio, quello nella categoria “Photographer of year 2024”, vinto dall’opera del palestinese Abdelrahman Alkahlout, dal titolo “The Mass genocide of civilians: Gaza under fire”.
“Ho deciso di ritirare fuori dal cassetto questo lavoro, a 15 anni di distanza, semplicemente perché mi sono detto che oggi più si parla di Palestina meglio è. La mia intenzione era quindi quella di mantenere alta l’attenzione sulla situazione dei Territori occupati anche in ambienti non prettamente politici, ma più culturali. Non mi aspettavo davvero di essere premiato”.
“Quando inizi a filmare la Palestina, automaticamente stai filmando un archivio”. Ha affermato Lina Soualem, regista e attrice franco-palestinese-algerina, scelta per rappresentare la Palestina agli Oscar 2024 con il suo documentario Tibériade, in un’intervista al Festival del cinema di Locarno. E anche se nel caso del progetto di Bissoli non si tratta di cinema ma di fotografia, l’esigenza sembra essere la stessa che emerge dalla parole di Soualem: “Ed è urgente continuare a creare questo archivio per continuare a esistere e a sopravvivere”.
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