Esteri / Reportage
Il Messico è colpevole della sparizione forzata di Antonio González Méndez. La sentenza storica
La Corte interamericana dei diritti umani ha ritenuto lo Stato messicano responsabile del sequestro del giovane nel 1999 e delle brutali politiche di contro-insurrezione che hanno prodotto gravi violazioni dei diritti umani. Riconosciuto l’eversivo e impunito “Plan Chiapas”, denunciato da anni dagli attivisti, così come le guerre sporche contro l’Esercito zapatista. La famiglia non si è mai rassegnata al muro del ceto politico
Il 12 dicembre 2024 la Corte interamericana dei diritti umani (Cidh) ha ritenuto lo Stato messicano colpevole di sparizione forzata per il caso di Antonio González Méndez, indigeno Chol, base di appoggio dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) scomparso nel gennaio del 1999.
Sono stati il coraggio, la forza, la determinazione di Zonia, la compagna di Antonio, a portare lo Stato davanti alla Cidh. Lei, con le figlie e i figli, ha da subito denunciato la sparizione e le responsabilità di un gruppo paramilitare, “Paz y Justicia”. Antonio aveva 32 anni, viveva a Sabanilla, gestiva la cooperativa zapatista locale ed era simpatizzante del Prd, il partito avversario del Pri, la coalizione che ha governato il Messico per quasi 80 anni.
I diversi livelli dello Stato messicano, da quello locale a quello federale, non hanno indagato sulla scomparsa di Antonio. La denuncia di Zonia è stata raccolta dal Centro dei diritti umani Fray Bartolomè de Las Casas (FrayBa).
Hanno camminato insieme per quasi 26 anni per arrivare a questa sentenza. Le lacrime di Zonia hanno accompagnato il verdetto della Corte, lacrime di rabbia e gioia, lacrime che hanno liberato un pezzo di emozioni che per tanti anni ha dovuto tenere dentro a causa dei muri che la politica messicana le ha posto di fronte.
Una sentenza storica perché, come ricorda Carlos Ogaz del Centro dei diritti umani, la Cidh “ha dichiarato lo Stato messicano responsabile della sparizione forzata di Antonio González Méndez e allo stesso tempo delle politiche di contro-insurrezione che hanno generato gravi violazioni dei diritti umani. La sentenza dice anche che lo Stato non ha indagato sulla sparizione avvenuta il 18 gennaio 1999”.
Una sentenza a tre livelli che mette un punto storico sulla paramilitarizzazione del Chiapas alla fine degli anni Novanta e sulle sparizioni forzate in Messico. Le denunce dei centri dei diritti umani, di attivisti e attiviste, giornaliste e giornaliste si vedono così riconosciute pienamente quando la Corte, nella sentenza, scrive che il Messico nel 1994 ha creato il cosiddetto “Plan Chiapas” per combattere la rivoluzione zapatista iniziata il primo gennaio dello stesso anno, disponendo “l’utilizzo della popolazione civile per contribuire alle attività dell’esercito messicano. L’esercito era incaricato della creazione, dell’addestramento, del sostegno, del coordinamento e dell’organizzazione di forze di paramilitari, con l’obiettivo di distruggere o neutralizzare la guerriglia locale, le milizie delle forze considerate nemiche: l’Ezln. Il gruppo paramilitare ‘Paz y Justicia’ è stato uno dei gruppi nato sulla base del Plan, sebbene sia stato formalmente costituito come associazione civile. I gruppi paramilitari godevano dell’appoggio e delle facilitazioni statali: addestramento militare, soldi, armi, veicoli e uniformi”.
Il Gruppo “Paz y Justicia” ha ricevuto quasi cinque milioni di pesos dal governo e il 4 luglio 1997, il giorno della sua fondazione, “il comandante del VII battaglione militare ha assistito all’atto protocollare e ha firmato l’accordo come testimone d’onore” evidenzia la Cidh.
Carlos insiste e aggiunge che “è importante sottolineare che dietro il caso di González Méndez ci sono migliaia di vittime del conflitto interno in Chiapas. Non possiamo dimenticare il massacro di Acteal del 22 dicembre 1997, né le altre vittime del gruppo paramilitare che Paz y Justicia ha fatto nella zona Nord del Chiapas. Proprio per questo è importante sottolineare che la sentenza obbliga lo Stato messicano a intraprendere una ricerca effettiva e a localizzare Antonio, obbliga anche lo Stato ad adottare misure di riparazione interna per la famiglia e a intraprendere indagini per identificare gli autori della sparizione forzata”, di fornire cure mediche e psicologiche a tutta la sua famiglia e di dare borse di studio ai suoi figli.
La Cidh chiede inoltre che la sentenza, vincolante, trovi spazio sui media nazionali messicani e sia trasmessa sia in spagnolo che in lingua chol da radio e sui siti del governo federale e del Chiapas.
Infine, dispone l’intitolazione ad Antonio González Méndez di un’aula della facoltà di Giurisprudenza dell’Università autonoma del Chiapas. Dal governo di Ernesto Zedillo (che ha guidato il Messico dal 1994 al 2000) in poi non c’è stato rappresentante della politica che abbia voluto fare piena verità sul caso di Antonio e sulle politiche di repressione violenta che lo Stato messicano ha attuato nella regione contro l’Ezln e chi solidarizzava con la sua lotta.
Davanti alla Commissione interamericana dei diritti umani lo Stato messicano ha riconosciuto parzialmente la propria responsabilità per evitare di arrivare davanti alla Corte. Nel 1994 il Chiapas è stato militarizzato senza sconfiggere l’Ezln. Si è quindi passati alla fase di formazione dei gruppi paramilitari che hanno sgomberato comunità, ucciso e fatto sparire persone. Entrambe queste pratiche non hanno fiaccato l’Ezln così, senza mai smilitarizzare lo Stato né disarmare i gruppi paramilitari, si è aperta la fase della “guerra di bassa intensità”: elargizione di progetti “di sviluppo”, divisione delle comunità, e pressione sui gruppi rivali dell’Esercito zapatista per sviluppare conflitti intercomunitari. Tutto ciò persiste in Chiapas, convive, dialoga e a volte si scontra con i gruppi criminali, in guerra per il controllo del territorio.
L’Ezln resiste da 31 anni e in molti si augurano che la sentenza della Cidh porti alla fine della guerra che da troppi anni colpisce chi chiede diritti in Chiapas.
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