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Ambiente / Intervista

“Una spedizione lungo le acque agitate di un Mediterraneo in crisi profonda”

© Kyunghee Yim - Unsplash

Così Amitav Ghosh ha descritto l’ultimo lavoro del giornalista Stefano Liberti, intitolato “Tropico Mediterraneo” e pubblicato da Laterza. Un viaggio nel “nostro piccolo oceano” per indagare la trasformazione dirompente legata al surriscaldamento globale e all’impatto delle attività antropiche. Tra specie aliene, inquinamento da plastica, pesca intensiva ed estrazione di idrocarburi

Dalla Tunisia infestata dai granchi blu alla bocca di Gibilterra da cui tutto origina; dai ciprioti che combattono con armi impari contro i pesci palla ai mazaresi che vanno in giro per il Canale di Sicilia a caccia del gambero rosso; dalla plastica che invade l’Egeo ai fertilizzanti che hanno fatto collassare il Mar Menor.

In questi e tanti altri luoghi è stato il giornalista e scrittore Stefano Liberti per scrivere il libro “Tropico Mediterraneo”, pubblicato a settembre dagli Editori Laterza. Analizza i cambiamenti in atto nel Mediterraneo, il mare che si sta trasformando rapidamente con conseguenze importanti per le persone che vivono sulle sue coste.

Liberti, quali sono i due principali cambiamenti che stanno avvenendo nel Mediterraneo?
SL
I mutamenti più evidenti sono l’innalzamento della temperatura del mare che produce anche dei cambiamenti importanti sulla terra, come l’intensificarsi sia di frequenza sia d’intensità degli eventi estremi. La temperatura più calda libera maggiore energia nell’atmosfera alla fine dei mesi estivi e questo scatena dei venti e delle piogge assolutamente straordinari, che però stanno diventando ordinari. I ricercatori dell’Enea, l’agenzia italiana per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, durante un’ondata di calore tra il maggio 2022 e lo stesso mese del 2023 hanno registrato delle temperature del mare fino a 4°C più elevate. L’aumento della temperatura e il cambio nella circolazione delle correnti producono un mutamento sostanziale nella composizione della flora e della fauna marina. È avvenuto un incremento esponenziale di specie aliene, ne sono state registrate circa 800, questo forse è l’aspetto più significativo di quanto il Mediterraneo si stia tropicalizzando. In tutto il bacino c’è una forte predominanza di pesci e di piante che provengono dall’Oceano Indiano e dal Mar Rosso e che quindi sono specie subtropicali, in particolare nell’area orientale che è più vicina al Canale di Suez, un punto d’entrata per queste specie. L’aumento degli eventi estremi, rappresentati dal termine medicane (crasi tra Mediterraneo e hurricane, uragano) e l’invasione di specie alloctone indicano che le caratteristiche del Mediterraneo sono drasticamente cambiate, ormai sembra un mare subtropicale.

Il secondo capitolo si sposta nell’isole Kerkennah in Tunisia, “un microcosmo in cui si misurano tutte le contraddizioni e i malanni del Mediterraneo”.
SL Le Kerkennah sono un luogo poco noto ma molto emblematico di cos’è il Mediterraneo e di cosa può diventare. In primis perché sono delle isole molto basse, il punto più alto è a 13 metri sopra il livello del mare, e c’è già la percezione che l’innalzamento del livello del mare porterà in pochi decenni alla scomparsa delle Kerkennah. I fondali di queste isole sono ricchi di biodiversità dovuta alla composizione dell’ambiente marino e alle vaste praterie di posidonia oceanica, una pianta endemica che produce molto ossigeno e favorisce la riproduzione delle specie. Qui i pescatori locali hanno creato una tecnica di pesca, chiamata sharfiya, in cui si dividono il mare in piccole zone delimitate da camere di cattura e dalle nasse. Non escono in mare aperto per pescare ma attendono che le specie finiscano nelle reti. Questo antico sistema di pesca selettiva è stato completamente destabilizzato dall’arrivo di una specie di granchio blu dall’Oceano Indiano che ha trovato un habitat a lui congeniale, poiché l’acqua è più calda e l’ecosistema è stato degradato dall’eccesso di pesca e dall’estrazione di idrocarburi che ha provocato vari sversamenti. Così la popolazione locale non riesce più a vivere grazie alla pesca, non trova più le specie che aveva catturato per decenni ma solo il granchio blu che ha rimpiazzato gli altri pesci. In questo luogo si misura una crisi ambientale che è diventata crisi sociale e che poi si è trasformata in una frattura generazionale, poiché la popolazione più anziana decide di rimanere mentre i giovani scappano.

Stefano Liberti a bordo della nave dell’ente di ricerca Archipelagos nel Mar Egeo © Francesco Bellina

“La storia della vongola a Goro è tanto straordinaria quanto paradossale”, scrive nel libro. Per quale motivo?
SL Nella vasta area del Delta del Po, come a Goro o a Scardovari in provincia di Rovigo, si coltiva la vongola e poi la si vende in tutta Italia da oltre 40 anni. Oggi però non si riesce più a produrre vongole perché è arrivata una specie alloctona, un granchio blu originario dell’Oceano Atlantico diverso rispetto a quello presente in Tunisia, e giunto a causa dei trasporti marittimi. I coltivatori di vongole sostengono che il granchio ha distrutto la loro fonte di benessere, ma anche la vongola del Delta del Po è una specie aliena. Infatti negli anni ottanta Francesco Paesanti, un biologo locale, ha importato una varietà di vongola originaria del Pacifico (tapes philippinarum) pensando che l’ecosistema del Delta fosse perfetto per la sua riproduzione. Dopo i primi tentativi la vongola filippina è esplosa biologicamente, portando a Goro una nuova ‘industria’ che dà lavoro a circa 1.500 pescatori e che ha arricchito un’area fino ad allora povera. Il problema è che poi si è perso il limite poiché la produzione di vongole ha trasformato le valli lagunari del Delta in una monocultura rendendo l’ecosistema sempre più vulnerabile. Questo ha facilitato l’arrivo e l’installazione di una specie aliena che ha cacciato quella precedente ma l’ha distrutta proprio perché nel Delta si erano create le condizioni per favorire una specie come il granchio blu.

Affronta anche il tema della deforestazione marina, di che cosa si tratta?
SL
In uno dei miei viaggi ho visitato il centro di ricerca Archipelagos, basato sull’isola greca di Samos nell’Egeo orientale, dove fanno monitoraggio dei fondali utilizzando un ROV (remotely operated vehicle, sottomarino a comando remoto), un drone che si cala in mare fino a cento metri di profondità. Ho visto che nel mar Egeo, come nel resto del Mediterraneo, è in atto una vera e propria deforestazione, ovvero i fondali sono spogli e restano solo le rocce, i pesci sono pochissimi e anche la flora marina è quasi assente. La deforestazione è determinata dall’aumento delle temperature che rende più difficile la sopravvivenza di alcune piante, ma anche dall’arrivo di alcune specie aliene, in particolare il pesce coniglio, una specie erbivora molto vorace che distrugge i fondali. La deforestazione nei mari è paragonabile a quella che avviene in Amazzonia perché le piante marine assorbono CO₂ e producono ossigeno e quindi svolgono la stessa funzione delle foreste primarie. Purtroppo i cambiamenti che avvengono sottacqua sono molto importanti ma ricevono meno attenzione rispetto ad altri temi perché non si vedono e quindi suscitano meno clamore nell’opinione pubblica.

Verso la fine del libro arriva al Mar Menor, prossimo al collasso ecosistemico. Che cosa è avvenuto in quest’area?
SL Il Mar Menor è un’enorme laguna salata nel Sud della Spagna che è divisa dal bacino mediterraneo da una striscia di terra e rappresenta in piccolo tutti gli elementi della crisi del Mediterraneo. Nel 2016 la proliferazione della caulerpa, un’alga invasiva, ha trasformato l’acqua trasparente della laguna in una ‘zuppa verde’ in cui i pesci faticavano a sopravvivere. Tre anni più tardi nel Mar Menor è avvenuto un fenomeno di anossia a causa della stessa alga che ha risucchiato tutto l’ossigeno e ha causato la morte di tonnellate di pesci che si sono riversati sulle sponde. L’alga si è sviluppata perché nelle aree intorno al Mar Menor, ovvero la regione di Murcia, si è espansa l’agricoltura intensiva che produce ortaggi e frutta per l’esportazione. In questa zona si fanno quattro raccolti all’anno usando ingenti quantità di fertilizzanti che poi finiscono nell’acqua della laguna dove danneggiano la flora marina e trasformano l’ecosistema. Nel Mar Menor è presente quindi uno sovra sfruttamento agricolo, un’urbanizzazione massiccia ed elevate presenze turistiche, tutti elementi di criticità che esistono anche nel Mediterraneo. Però dopo questa grande crisi nella laguna c’è stata una straordinaria reazione da parte della popolazione grazie all’iniziativa di una giurista di Murcia, Teresa Vicente, che ha proposto di dare al Mar Menor lo status di persona giuridica, cioè di trasformarlo in un soggetto di diritto che può difendersi in tribunale. I comitati di cittadini hanno raccolto oltre 700mila firme e hanno depositato in Parlamento questa proposta di legge d’iniziativa popolare che è stata approvata. In seguito a questa legge sono stati creati dei comitati di tutori che possono citare in giudizio, a nome della laguna, i soggetti che inquinano o mettono a repentaglio questo ecosistema. Oggi il Mar Menor è il primo e unico ecosistema in Europa che ha una propria dignità e tutela, rappresenta un cambio di paradigma e un segno di speranza che dovrebbe estendersi a tutto il bacino mediterraneo.

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