Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Reportage

Josephina Tunki: una voce di resistenza contro il gigante minerario Solaris resources

Josephina Tunki © Francesco Torri

La leader indigena si è schierata apertamente contro l’impresa canadese e il suo progetto di aprire una miniera di rame nel cuore del territorio Shuar, nell’amazzonia ecuadoriana meridionale. Nonostante minacce di morte, scontri con molotov, pietre e bastoni tra fazioni e tentativi di manipolare l’opinione pubblica. Il nostro reportage, a pochi chilometri dalla frontiera con il Perù

“Il popolo Shuar vuole vivere in un territorio libero e incontaminato, perciò ci opponiamo all’impresa mineraria Solaris resources. Non permetteremo che radano al suolo la nostra foresta per riempirsi le tasche, costi quel che costi, ci opporremo fino alla morte”, dice Josephina Tunki mentre viaggiamo in autobus verso Chichis, il suo villaggio natale nella foresta amazzonica Sud-ecuadoriana, a pochi chilometri dalla frontiera con il Perù.

Quando le si chiede se sia effettivamente disposta a morire per questa causa, lei, guardando fuori dal finestrino con i suoi occhi chiari, risponde a voce bassa che “ci sono già andata molto vicina: qualche anno fa sono stata minacciata per aver difeso la mia gente dalle attività minerarie. Mi hanno detto che se avessi continuato a rovinare l’immagine dell’impresa ci sarebbero stati spargimenti di sangue”.

Ci sono 47 comunità indigene appartenenti al popolo Shuar che abitano i 230 ettari di foresta della provincia di Morona Santiago. Sono amministrate da due organizzazioni politiche riconosciute legalmente dal governo ecuadoriano: la Ficsh (Federacion interprovincial centros shuar) e la Psha (Pueblo shuar arutam). Gerarchicamente la Ficsh ha un posto di maggior rilievo in quanto ente regolatore delle questioni relative alle comunità Shuar di tutto l’Ecuador dal 1964. Il Psha invece è nato nel 2006 come progetto pilota della Ficsh destinato ad amministrare in completa autonomia la porzione di territorio indigeno limitrofa alla Cordillera del Condor, dove risiedono circa 12mila persone, promuovendo l’agricoltura di sussistenza, la cultura indigena e l’artigianato.

Il 12 aprile 2024, la sede della Ficsh a Sucùa è stata attaccata violentemente con bombe carta, sassi e bottiglie di vetro da un gruppo di persone schierate a favore della compagnia Solaris. Proprio quel giorno infatti veniva destituito il dirigente della Ficsh David Tankamash, noto per essere favorevole alle attività estrattive e per aver partecipato a uno dei più importanti incontri sull’attività mineraria a livello mondiale, la Pdac (Prospectors & developers association of Canada), insieme ai rappresentanti di Solaris. “Il modello Solaris dimostra che la nazione Shuar può collaborare alle opportunità di sviluppo nelle nostre terre –aveva dichiarato David Tankamash durate la conferenza-. Meritiamo le opportunità che le nazioni indigene hanno in altre parti del mondo e le Ong straniere devono rispettare le nostre scelte”.

Al suo posto, la maggioranza del popolo Shuar ha scelto di nominare Domingo Ankuansh, leader schierato apertamente contro Solaris e alleato di Josephina Tunki. Tuttavia, qualcuno non ha visto di buon occhio questo cambio e la risposta è stata la violenza. “È molto probabile che Solaris abbia finanziato il viaggio dei rappresentanti della fazione pro-mineros per manifestare contro il cambio di presidenza – spiega Tunki al termine della riunione con Nathaly Yepez della Ong Amazon Watch-. Infatti è molto costoso per così tante persone spostarsi dalle comunità fino a Sucùa: bisogna pagare fuoristrada e autobus per tutto il giorno. Della fazione anti-mineros infatti non c’era nessuno”.

Solaris è una società mineraria canadese che si è insediata nel territorio Shuar tra i fiumi Zamora e Morona per intraprendere un enorme progetto di estrazione di rame. Si chiama “Progetto Warintza”, dal nome della vicina comunità Shuar “Warints”, e dal 2003 la filiale della Solaris Copper Inc., allora chiamata Lowell mineral exploration, sta lavorando per avviare le attività estrattive su una concessione di 10mila ettari dove vivono le 47 comunità indigene. Fin dall’inizio, il progetto ha incontrato un’intensa opposizione da parte della Fisch, tanto che nel 2006 l’azienda è stata costretta a lasciare il territorio. Tunki ricorda ancora con orgoglio il giorno in cui insieme alle sue compagne riuscirono a sgomberare i militari arrivati con gli elicotteri e a far firmare all’amministratore delegato della Lowell un accordo per non tornare mai più sul territorio.

Ma non era la fine della lotta. Era solo l’inizio. Nel 2019 la Lowell mineral exploration viene incorporata dalla società madre, strategicamente ribattezzata Solaris resources, sempre di proprietà di Richard Wark e parte dell’Augusta group, un gruppo statunitense focalizzato sul grandi progetti minerari. Il giacimento di Warintza infatti ha una capacità estrattiva enorme e costituisce uno degli asset più importanti del gruppo Augusta, con circa 820mila tonnellate di rame estraibili dalla miniera a cielo aperto, che si estende su un’area di 268 chilometri quadrati. Quello stesso anno Solaris ritorna sul territorio dopo un lungo periodo di silenzio con una nuova strategia: il modello di alleanza strategica Warintza. “Su carta sembrava trattarsi di un piano di coinvolgimento delle comunità Shuar nelle attività di programmazione e nei lavori… in pratica si è concretizzato nella consegna di veicoli e denaro a due delle 47 comunità Shuar, Yawi e Warintz, in cambio delle firme dei dirigenti per dimostrare l’avvenuta consulta previa, libera e informata -racconta Tunki, e conclude- il resto delle comunità non è mai stato consultato”.

A muovere Tunki è un sentimento di giustizia. Il progetto dell’impresa Solaris di estrarre rame per promuovere la transizione energetica guidata dai paesi del Nord globale non garantisce il rispetto dei diritti umani del popolo Shuar, anzi rischia di condannarli a un futuro di contaminazione e conflitti. Quel che ha fatto Solaris fino ad oggi infatti è stato sviluppare strategie di cooptazione di leader e generare divisioni interne alle comunità facendo leva sulle difficoltà economiche e senza realmente considerare il volere delle comunità. Per questo Tunki ha denunciato, nel febbraio 2024, al British columbia security council (BCSC) la condotta di Solaris, esigendo controlli sulla legalità dei finanziamenti ricevuti dalla Cina per il progetto Warintza. Forse nemmeno lei se lo aspettava che qualche mese dopo il Bcsc, organo competente per la regolamentazione dei flussi finanziari delle aziende canadesi, avrebbe bloccato la vendita da parte di Solaris del 15% delle proprie azioni al gigante cinese Zijin Group, così impedendo un investimento da 130 milioni di dollari.

Il 9 settembre 2024, Solaris ha presentato al ministero dell’Ambiente dell’Ecuador la versione finale del suo Studio di impatto ambientale, la cui approvazione costituirebbe l’inizio dell’attività estrattiva. Intanto l’impresa continua le attività di esplorazione avanzata, che consistono nella perforazione del suolo a profondità variabili per verificare la qualità e quantità del materiale da estrarre. Dati che, ad oggi, sono decisamente positivi per l’impresa: l’ottima qualità di rame trovato in questa fase ha fatto notevolmente risalire il prezzo delle azioni che a luglio avevano visto un tracollo per via della campagna di protesta internazionale guidata dai movimenti indigeni.

“Se il ministero dell’Ambiente approva il progetto dovremo organizzare una nuova strategia di resistenza per impedire l’inizio del saccheggio di risorse vero e proprio -dichiara Tunki durante il nostro ultimo colloquio telefonico-. Il popolo Shuar dovrà continuare a lottare per la propria autodeterminazione, che sia per cinque, dieci o vent’anni ancora”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati