Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Esteri / Intervista

“Le stragi a Gaza hanno sabotato il percorso di pace in Yemen”

© Planet Volumes - Unsplash

Intervista a Radhya Almutawakel, presidente di Mwatana for human rights, organizzazione della società civile yemenita che si batte per i diritti umani, documenta violazioni e dà assistenza legale alle vittime. Il punto sul conflitto armato decennale e sul fragile processo di tregua messo a rischio. Il ruolo di Arabia Saudita, Stati Uniti (con un duro giudizio sulla presidenza Biden), degli Houthi e di Israele

Solo di recente l’opinione pubblica (anche italiana) ha di nuovo sentito parlare dello Yemen. Il motivo? La minaccia portata dagli Houthi alla navigazione commerciale nel Mar Rosso che ha causato una risposta armata da parte degli Stati Uniti oltre che l’implementazione di missioni navali militari a cui partecipa anche l’Italia.

Ma a parte la cronaca di quelle azioni belliche ben poco viene fatto filtrare sulla condizione attuale di un Paese che nell’ultimo decennio ha sofferto quella che le Nazioni Unite hanno definito la “maggiore catastrofe umanitaria” al mondo. 

Per comprendere meglio una situazione che ha ripercussioni importanti su tutto il Medio Oriente, Altreconomia ha intervistato Radhya Almutawakel, cofondatrice e presidente di Mwatana for human rights. Fondata nel 2007, Mwatana è un’organizzazione della società civile yemenita che si batte per i diritti umani, documenta violazioni, crea consapevolezza e fornisce assistenza legale alle vittime di qualunque abuso. Per questo suo ruolo Radhya Almutawakel è intervenuta in passato davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed è stata nominata dal Time come una delle cento persone più influenti al mondo nel 2019. 

Almutawakel, lo Yemen è in uno stato di conflitto armato da oltre dieci anni e da quasi un decennio la coalizione a guida saudita interviene e bombarda un Paese già diviso in due da prima, visto che le prospettive possibili di un avanzamento democratico non ci sono state. Per qualche tempo si è parlato di questa guerra dagli impatti umanitari devastanti, ma oggi c’è silenzio sui grandi media. Qual è la situazione sul campo oggi?
RA Le operazioni militari dirette come gli attacchi aerei, di terra e gli scontri, sono cessati nelle varie aree dello Yemen dal 2 aprile 2022, quando l’inviato del segretario generale delle Nazioni Unite in Yemen Hans Grundberg ha annunciato che le parti avevano raggiunto una tregua, sotto l’egida dell’Onu. Questo primo passo ha poi permesso a Grundberg di annunciare, il 25 dicembre 2023, che le fazioni in conflitto avevano raggiunto un accordo per impegnarsi in una serie ulteriore di misure positive. Tra di esse l’attuazione di un cessate il fuoco su tutto lo Yemen, l’adozione di misure per migliorare le condizioni di vita della popolazione, il pagamento di tutti gli stipendi dei dipendenti del settore pubblico, la ripresa delle esportazioni di petrolio, l’apertura di strade a Taiz e in altri governatorati e la prosecuzione dell’allentamento delle restrizioni all’aeroporto di Sana’a e al porto di Hodeidah, cruciali anche per gli aiuti umanitari. Dal punto di vista politico l’annuncio centrale ha riguardato un pacchetto di misure e procedure volte a rafforzare la fiducia fra i vari attori del conflitto, propedeutico alla ripresa di un processo politico globale sotto la tutela delle Nazioni Unite in grado di creare le condizioni per una pace duratura nel Paese. Si tratta dell’accordo più importante dopo quasi un decennio di guerra, scoppiata con la presa di controllo della capitale yemenita Sana’a da parte del gruppo Anṣār Allāh (i cosiddetti Houthi) il 21 settembre 2014 e successivamente a seguito dell’annuncio delle operazioni militari da parte della coalizione a guida saudita-emiratina (il 26 marzo 2015). 

Anche sui media occidentali si è sporadicamente parlato del (lento) processo di pace i cui primi passi, con una tregua che sembra aver retto, come ha appena descritto. Come giudica questa fase? E quali potrebbero essere le prospettive nell’immediato futuro?
RA Che la tregua abbia retto è vero, ed è sicuramente un risultato positivo. Purtroppo però più di recente a causa dei continui attacchi del gruppo Anṣār Allāh (gli Houthi) contro la navigazione da e per Israele attraverso il Mar Rosso e lo stretto di Bab al-Mandab, l’amministrazione Biden ha provato a esercitare su di loro una grande pressione politica ed economica. Ad esempio, inserendo di nuovo gli Houthi nella lista statunitense dei gruppi terroristici e spingendo il governo yemenita, riconosciuto internazionalmente, a prendere una serie di decisioni sempre più dure e gravi. Arrivando persino a dichiarare una posizione contraria agli sforzi di pace, che invece avevano fatto progressi significativi con la partecipazione dell’Arabia Saudita e il sostegno dell’Oman sotto l’ombrello dell’inviato delle Nazioni Unite in Yemen. Che tutto questo derivi da una precisa linea dettata da Washington è evidente rileggendo le parole pronunciate dall’ambasciatore statunitense in Yemen, Stephen Fagin, lo scorso 28 maggio 2024 al Washington institute: Il governo yemenita riconosciuto a livello internazionale non firmerà alcun accordo di pace in cui gli Houthi avranno il sopravvento continuando a ottenere armi, missili balistici e droni. Il piano di pace presentato dall’Arabia Saudita alle Nazioni Unite non è un accordo nel senso pieno del termine e non sarà applicabile a breve termine, date le intenzioni e le motivazioni degli Houthi e la complessità di questo conflitto. Pertanto, non dobbiamo avere fretta e non dobbiamo costruire possibilità irrealistiche”.

Parole che sono ovviamente un macigno per la popolazione yemenita, che stava iniziando a intravedere spiragli per un futuro positivo. Ma per gli Stati Uniti l’unica situazione da evitare assolutamente è un controllo totale del Paese da parte di Anṣār Allāh. Anche su questo Fagin è stato chiaro: Sarebbe disastroso per il Paese e per la regione; significherebbe per lo Yemen diventare un Paese isolato senza alcuno sviluppo e con una situazione simile a quella della Somalia”.

Radhya Almutawakel © Wikimedia commons

Quindi che cosa pensate possa succedere?
RA Questa nuova posizione statunitense (derivante dalla situazione attuale del Medio Oriente) in un certo senso ha di nuovo spinto lo Yemen verso un bivio drammatico: da un lato una pericolosa escalation che potrebbe portare a una nuova fase di guerra, dall’altro il rafforzamento della strada verso la pace aiutando i progressi ottenuti negli ultimi due anni. Lo Yemen è stato davvero molto vicino alla firma di un accordo che avrebbe potuto aprire una stagione pacifica nel Paese. Paradossalmente nelle ultime settimane è stato l’intervento dell’Arabia Saudita a fermare una escalation provocata dalle dichiarazioni e dagli interventi militari statunitensi (con alleati), facendo in modo che la situazione tornasse alla relativa calma sperimentata dagli yemeniti fin dall’annuncio della tregua dell’aprile 2022. 

Ha fatto riferimento all’incendiaria situazione in Medio Oriente con la drammatica situazione in Palestina, scaturita da mesi di attacchi e distruzioni da parte di Israele a Gaza dopo l’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, che si è abbattuta sul processo di pace apparentemente positivo. In Europa l’opinione pubblica ha visto i media ricordare la situazione dello Yemen solo dopo gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso. Come sono collegate le due cose? L’organizzazione Anṣār Allāh ha davvero la possibilità di minacciare militarmente le rotte navali verso il Canale di Suez?
RA In risposta all’operazione militare che ha colpito la Striscia di Gaza, dopo l’attacco delle fazioni palestinesi del 7 ottobre 2023, e in seguito al fallimento e alla complicità della comunità internazionale nei confronti dei suoi doveri di protezione dei palestinesi e delle sue responsabilità nel fermare il genocidio dei palestinesi e altri crimini di guerra e contro l’umanità, e dopo il deterioramento della situazione umanitaria, il gruppo Anṣār Allāh (Houthi) ha annunciato, il 19 novembre 2023, il fermo di una nave commerciale israeliana nel Mar Rosso, costringendola a dirigersi verso il porto di Al-Salif, a Hodeidah. Questa è stata la prima delle sue operazioni per colpire navi e petroliere israeliane (o quelle dirette da e verso Israele) attraverso le acque del Mar Rosso e lo stretto di Bab al-Mandab. Il gruppo Houthi in questi ultimi mesi ha lanciato decine di attacchi contro navi da trasporto legate a Israele. Nell’ambito degli sforzi per limitare la guerra tra Israele e Hamas alla Striscia di Gaza e per evitare che il conflitto si estenda a un ambito regionale più ampio, ma anche in un certo senso per proteggere Israele durante le sue operazioni militari e le orribili atrocità contro i palestinesi, le forze americane e britanniche hanno lanciato attacchi in Yemen a partire dalla sera di giovedì 11 gennaio 2024. Sono stati presi di mira siti a Sana’a, Hodeidah, Al Bayda e Taiz, che sono sotto il controllo degli Houthi. La massiccia propaganda che ha accompagnato gli attacchi della coalizione statunitense-britannica contro numerosi obiettivi nelle aree controllate da Anṣār Allāh in Yemen ha cercato di separare le operazioni di bombardamento ed escalation nel Mar Rosso dagli sviluppi del conflitto in Palestina, con l’obiettivo di privare le operazioni degli Houthi della loro auto-dichiarata dimensione morale, politica e umanitaria come azioni di risposta alla situazione di attacco sui civili di Gaza. 

Ancora una volta, e le popolazioni del Medio Oriente sanno bene come funziona. Le operazioni militari statunitensi e britanniche vengono presentate come “a difesa” del mondo, dei suoi interessi e del suo benessere. C’è in corso un tentativo di compensare la totale mancanza di qualsiasi contenuto morale, umanitario o legale eludendo il fatto concreto che queste operazioni sono a difesa di Israele per garantire il completamento delle sue orribili manovre militari, le cui atrocità minano tutte le ragioni della vita e della sopravvivenza dei palestinesi. A prescindere dalle interpretazioni, dalle impressioni emozionali e dal “wishful thinking” politico, se manteniamo un approccio astratto e neutro ai fatti accaduti realmente non possiamo negare che l’escalation nel Mar Rosso -e tutto ciò che ne è derivato- sia scoppiata a causa della guerra israeliana contro Gaza, e tutto ciò è legato alla pericolosa situazione nella Striscia. Le operazioni delle Forze di difesa israeliane e le ripercussioni della politica di Netanyahu si stanno espandendo a causa delle continue atrocità commesse da Israele contro i civili e per il deterioramento della situazione umanitaria, senza alcun deterrente. Di conseguenza le azioni militari nel Mar Rosso non possono terminare, secondo ripetute affermazioni della leadership del gruppo Houthi, se non ponendo fine alla guerra israeliana a Gaza. Nei quasi dieci anni di conflitto in Yemen è stato dimostrato come la navigazione internazionale attraverso il Mar Rosso, lo stretto di Bab al-Mandab e il Golfo di Aden sia rimasta senza problemi fuori dal fuoco. Nonostante la sua lunga durata e la molteplicità delle parti regionali e internazionali coinvolte, nessuno ha mai preso di mira le petroliere e le navi commerciali che attraversavano il Mar Rosso, raggiungendolo con rotte tracciate al largo delle coste yemenite. Tutte evidentemente nel raggio d’azione delle parti in conflitto, compreso il gruppo Anṣār Allāhh: eppure le questioni relative alla sicurezza della navigazione internazionale sono rimaste, per tutti i dieci anni, solo nell’ambito delle dichiarazioni e degli allarmi preventivi dei media. 

L’obiettivo e il ruolo principale di Mwatana è quello di monitorare la situazione dei diritti umani in Yemen, in tutti i suoi governatorati e quindi sotto le diverse parti controllate dai contendenti. Qual è la situazione attuale? Quali sono i principali problemi della popolazione civile? Che cosa potrebbe migliorare la situazione?
RA Noi di Mwatana continuiamo a documentare molte violazioni nonostante la cessazione delle operazioni militari, tra cui episodi di sparizioni forzate e detenzioni arbitrarie, limitazioni alla libertà di movimento, restrizioni ai diritti delle donne e processi iniqui. Inoltre, la cosa più difficile che milioni di yemeniti devono affrontare è il deterioramento delle condizioni economiche e di vita e l’esacerbazione della crisi umanitaria alla luce della sospensione degli stipendi, del crollo della moneta nazionale, dell’inflazione, della mancanza di opportunità di lavoro, della diffusione della povertà e della disoccupazione, del collasso dei servizi pubblici e dell’ingresso dello Yemen con questo pesante fardello nel tunnel dell’oblio e della deliberata negligenza da parte della comunità internazionale dall’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca.

Lavorate da anni con la Rete italiana pace e disarmo e l’Ecchr di Berlino per un’azione legale contro i produttori di armi italiani che, autorizzati dal governo, hanno venduto bombe all’Arabia Saudita che le ha poi utilizzate per colpire i civili in Yemen. Come valutate questo percorso, considerando il poco coraggio dei giudici di Roma che non hanno avviato un processo penale (anche se siamo in attesa della Corte europea)? Come si sentono i parenti delle vittime e i civili yemeniti in generale che hanno subito anni di bombardamenti da cui è derivata una crisi umanitaria devastante e senza precedenti?
RA Purtroppo sono arrabbiati, frustrati, delusi, senza giustizia, con due pesi e due misure, e disperano di avere una risposta alle loro terribili sofferenze. Anche noi di Mwatana condividiamo gli stessi sentimenti. 

Francesco Vignarca è il coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo, promotrice con Senzatomica della campagna “Italia, ripensaci”. Il suo ultimo libro è “Disarmo nucleare” (Altreconomia, 2023)

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati