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Una Repubblica fondata sulla stecca
I dati dell’Istat sulla sicurezza dei cittadini mostrano livelli di accettazione della corruzione impietosi. Le leggi -importanti- non bastano. La rubrica di Pierpaolo Romani
Nell’Indagine sulla sicurezza dei cittadini nel 2015-2016 l’Istat ha introdotto per la prima volta una batteria di domande per comprendere le dinamiche della corruzione in Italia. Il focus centrato sul ruolo delle famiglie viene realizzato su otto settori chiave, quali sanità, assistenza, istruzione, lavoro, uffici pubblici, giustizia, forze dell’ordine, public utilities, tenendo conto dell’effettivo contatto dei rispondenti con i servizi e/o le figure rilevanti per ciascun settore specifico. Nell’ultima edizione di questo lavoro di ricerca, presentato lo scorso 7 giugno a Roma, sono emersi una serie di dati particolarmente interessanti. Uno tra i primi è che per un italiano su cinque (20,1% con punte del 23,4% al Sud) è accettabile pagare una tangente per trovare un lavoro a un proprio figlio. Un altro dato meritevole di riflessione è quello secondo il quale 2,9 milioni, tra imprenditori e liberi professionisti, hanno risposto che capita spesso o, addirittura, sempre, di dover pagare una “stecca” per ottenere licenze e permessi dalla Pubblica amministrazione.
L’Istat stima che, in almeno 1,2 milioni di famiglie, un componente abbia ricevuto nel corso della vita richieste di denaro, favori, regali o altro per ottenere agevolazioni o servizi. Si pagano tangenti per avere una promozione scolastica, per essere ammessi ai dottorati di ricerca o per entrare in scuole di specializzazione; per ridurre i tempi di una visita medica o di un intervento chirurgico; per ottenere volture o riparazioni agli impianti di acqua, luce, telefono e gas; per non pagare in toto o in parte le tasse, per evitare accertamenti.
Le famiglie italiane hanno ricevuto richieste di pagamento di tangenti anche da parte di coloro che dovrebbero, al contrario, prevenire e contrastare la corruzione. Nel settore della giustizia, scrive l’Istat, il 4,8% delle famiglie (175mila su 3,6 milioni) ha avuto una richiesta di denaro, regali o favori da parte di un giudice, un avvocato, un cancelliere o un’altra figura che opera nel settore. Le richieste corruttive sono avvenute soprattutto in relazione al trattamento di cause civili e amministrative. Circa 16mila famiglie su 4,4 milioni si sono imbattute nella corruzione quando hanno avuto a che fare con rappresentanti delle forze di polizia.
Il 2,7% delle famiglie (62mila su circa 2,3 milioni), si è sentito rivolgere una richiesta corruttiva nel caso di necessità di assistenza, contributi, sussidi, pensioni di invalidità, o di un alloggio popolare. La corruzione, dunque, trova alimento dove i diritti si trasformano in favori, dove la Pubblica amministrazione risulta inefficiente -si pensi alle lunghe liste d’attesa nella sanità- e dove l’illegalità, intesa come violazione delle regole, è sostanzialmente legittimata dal voler ottenere un indebito vantaggio, che può consistere nella ricerca di un profitto o nell’evitare una sanzione.
Sono 2,9 milioni gli imprenditori e liberi professionisti che ritengono possa capitare sempre o spesso di pagare una tangente per ottenere alcuni servizi dalla Pubblica amministrazione
Una parte del rapporto Istat è dedicata anche al cosiddetto “voto di scambio”, terreno in cui si incontrano le relazioni tra mafia e politica. Si stima che a oltre 1,1 milioni di cittadini (il 2,7% della popolazione tra i 18 e gli 80 anni) siano stati offerti denaro, favori o regali per avere il loro voto alle elezioni amministrative, politiche o europee. In cambio del voto sono stati offerti o promessi favori o trattamenti privilegiati (29,3%), beni di valore minore, come pranzi, cene o buoni alimentari o di benzina (20%), nomine o posti di lavoro (19,6%), denaro (11,5%) e regali (9,8%).
A fronte di questo scenario, se da una parte aumenta la percezione della corruzione e dei costi che gravano sui cittadini onesti, dall’altra le denunce sono ancora esigue. Il 29,4% dei cittadini ritiene che la corruzione sia naturale e inevitabile. Le leggi sono importanti ma non bastano. Serve continuare un’opera sistematica di educazione civica capace di promuovere e diffondere l’etica della responsabilità, a partire dai giovani.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”
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