Economia / Attualità
“Se la classe inferiore sapesse”. Chi sono i ricchi e perché continuano a essere ammirati
Nel suo nuovo libro Giulio Marcon esplora la disparità tra poveri e ricchi, evidenziando la mancanza di informazioni sul mondo delle classi agiate. Si interroga perché un popolo che ha sperimentato la povertà finisca per celebrare i modelli dei super ricchi. Una documentata critica al neoliberismo e al potere delle élite
Dei poveri e della povertà sappiamo molte cose: possiamo consultare studi e libri, abbiamo dati e numeri aggiornati ogni anno. Dei ricchi e della loro ricchezza, al contrario, sappiamo poco o niente, e anche quando vengono pubblicate inchieste internazionali (Panama o Pandora Papers), che scoperchiano enormi giri finanziari illegali, società in paradisi fiscali per evadere le tasse, liste di ricconi evasori, sembra che l’interesse dei nostri media duri poche ore, nonostante si stimi che l’8% del patrimonio finanziario globale sia in paradisi fiscali.
Diversamente dal mondo anglosassone, in Italia non ci sono molti studi che analizzano chi sono i ricchi nella nostra società, che cosa pensano, leggono, vivono, chi detiene la maggior parte della ricchezza in un dato periodo e per quali ragioni. Da questo stimolo è nata l’idea a Giulio Marcon di scrivere “Se la classe inferiore sapesse”, con una prefazione di Goffredo Fofi, appena pubblicato dalla casa editrice People.
Il titolo rimanda a una citazione del drammaturgo August Strindberg, socialista delle origini, che individuava proprio nell’ignoranza, nella condizione di inferiorità, il fatto che le classi subalterne non si ribellassero a quelle dominanti. Marcon prova subito a rispondere alla domanda su questo disinteresse, perché in fondo l’aspetto sociale e culturale, il retaggio cattolico, hanno imposto alla nostra società un pudore a parlare di denaro e a dichiarare in pubblico le proprie ricchezze e i propri privilegi. In una società protestante, invece, in cui i “talenti” sono sia le proprie capacità sia i soldi, non esiste questa vergogna sociale. Implicitamente il libro cerca anche di rispondere a un’altra domanda: perché un popolo i cui antenati hanno vissuto la fame, l’emigrazione e la povertà nera -un popolo che si è conquistato il benessere con il lavoro- ammira oggi così tanto i ricchi, soprattutto sui consumi e gli stili di vita? Perché un popolo di risparmiatori, dovrebbe ammirare coloro che hanno ereditato prevalentemente i loro beni o godono di rendita?
Più difficile rispondere a questo quesito, ma nel libro di Marcon, che è una rassegna molto corposa di tanti libri, spiccano le risposte di Luciano Gallino, il più importante sociologo del Novecento italiano, su quella che lui stesso definiva “La lotta di classe dopo la lotta di classe”: la presa d’atto è che le classi inferiori sono state sconfitte nella lotta di classe dal reaganismo e dal thatcherismo, del “non esiste più la società ma gli individui” e che quindi oggi i ricchi siano diventati dei modelli insuperabili, in un contesto sociale fortemente frammentato.
“Se la classe inferiore sapesse” è ricco di dati, ottenuti (non facilmente) dal Global wealth report e pubblicati da Credit Suisse. I super ricchi (dal patrimonio singolo oltre i 100 milioni) sono 84mila nel mondo, quasi 4mila in Italia, mentre i milionari sono cresciuti nei due anni della pandemia da 57 a 62 milioni nel mondo, visto che la ricchezza mondiale è cresciuta del 9% solo per l’un per cento della popolazione (i super ricchi sono cresciuti del 33%, i ricchi del 46%). Questa espansione della ricchezza non è fatta tanto di redditi quanto di patrimoni. Cresce perché è il prodotto dell’espansione dei mercati finanziari, non è tassata o è tassata troppo poco. Non è difficile trovarli i membri di questa ricchissima classe agiata, basta seguire i soldi e i beni di lusso.
Marcon analizza come le élite abbiano rinunciato al ruolo di classe dirigente per ricoprire quello di gruppo di interesse e di potere, al quale la politica è sottomessa. Per farlo riprende le analisi di Wright Mills, “L’élite del potere”, e di Christopher Lasch, “La ribellione delle élite”, altri due sociologi fondamentali per capire le trasformazioni del nostro presente. I ricchi sono apolidi, vivono cioè in un “senza Stato” dove si incontrano: i club dal sapore ottocentesco di New York, Londra e Milano, ma anche i circoli esclusivi di Roma, oppure la ricchezza nascosta in magazzini caveau protetti militarmente in Svizzera, dove si stima ci siano alcune importanti opere d’arte che nessuno può vedere, custodite come beni rifugio. La subalternità della politica è evidente: l’autore, nella sua esperienza di parlamentare, ha visto circolare, in commissione Bilancio della Camera, emendamenti scritti direttamente dagli uffici legali delle multinazionali.
“Se la classe inferiore sapesse” è anche una retrospettiva del capitalismo italiano del Novecento: Marcon mette a confronto l’evoluzione e il pensiero della vecchia classe imprenditoriale italiana -Agnelli, Pirelli, Falck, Olivetti, Marzotto e Rossi- individuando differenze sostanziali tra visioni paternaliste, egoiste e moderne, sposando anche la tesi dello storico Berta sull’insuccesso del “modello Olivetti” contro l’egemonia di quello Fiat.
L’impianto del libro è quello di una critica radicale all’ideologia dominante neoliberista, che si è appunto imposta negli anni Ottanta, della crescita a tutti i costi, della necessità di ripensare la nostra società come classista (divisa in classe disagiata, media e agiata), dell’idolatria della ricchezza e della necessità di tassare i grandi patrimoni per redistribuirli nel pubblico. In questa direzione il libro riprende la campagna italiana Tax The Rich sostenuta da Sbilanciamoci! per togliere privilegi, fiscali e non solo, ai grandi patrimoni e agli speculatori. L’obiettivo è portare i finanziamenti della sanità al 7% del Pil, riduzione del 20% delle spese militari, istruzione pubblica per tutti, un piano del lavoro e il salario minimo.
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