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Ambiente / Attualità

Il futuro non è fatto per la plastica con dentro l’acqua minerale

© Giuseppe Famiani -Unsplash

Mentre a Parigi sono riuniti 175 rappresentanti dell’Unesco per negoziare un Trattato mondiale contro l’inquinamento da plastica, la Federazione italiana delle industrie delle acque minerali naturali (Mineracqua) difende in Parlamento il “modello italiano” dell’imbottigliamento. Nelle mani di pochi operatori e fondato su bottiglie in Pet

Il 30 maggio Ettore Fortuna, vicepresidente di Mineracqua, la Federazione italiana delle industrie delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente, è stato ascoltato dalle Commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera dei deputati sulla proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggi. Nell’ambito del Green deal europeo, le modifiche previste si inseriscono nel “secondo pacchetto sull’economia circolare”, il cui obiettivo è -ovviamente- evitare di produrre rifiuti.

Fortuna ha offerto ai deputati un’analisi del settore, segnalando la produzione record per le acque minerali italiane nel 2022, pari a circa 16,5 miliardi di litri, evidenziando l’importanza di un export che ha ormai raggiunto il volume di 1,6 miliardi di litri, dando così lustro -a suo dire- al made in Italy, specificando che il mercato è molto concentrato, dato che a fronte di circa 200 operatori i primi otto valgono il 70% del mercato. 

Entrando più in dettaglio, ha poi specificato alcuni dati che renderebbero impossibile per gli operatori del settore aderire a una riforma. In particolare, ha ricordato come per molte aziende, quelle che non operano nel mercato premium e che vendono l’acqua anche a 11 centesimi di euro al litro nei supermercati, l’acquisto dell’imballaggio oggi rappresenta fino al 70% del costo di prezzo al dettaglio. Fortuna ha poi sottolineato come le aziende negli ultimi quindici anni abbiano ridotto del 40% il peso delle bottiglie in Pet, indicando questo cambiamento come frutto di una sensibilità ambientale, quando appare chiaro che rappresenti uno strumento di contrazione dei costi di produzione.

Quello che è ancora più chiaro, dopo averlo ascoltato, è che quando noi compriamo una bottiglia di acqua minerale stiamo in realtà pagando la plastica (e il trasporto), mentre il canone di concessione ridicolo riconosciuto alle Regioni fa sì che l’acqua sia praticamente gratis. Fortuna non vuol sentir parlare di vuoto a rendere e spiega che per lui è impossibile immaginare un modello di deposito cauzionale e bottiglie più pesanti e resistenti, che rendano possibile il riutilizzo.
Fortuna non precisa nemmeno la posizione di Mineracqua sul Sistema di deposito cauzionale per contenitori monouso finalizzata al riciclo: dato che le bottigliette in plastica, così come le bottiglie in vetro di birra e le lattine, si trovano spesso disperse nell’ambiente, o nei cestini stradali con destinazione smaltimento, l’associazione potrebbe precisare la propria posizione, consapevole che nei Paesi con un Sistema di deposito cauzionale viene intercettato oltre il 90% dei contenitori di bevande e non si trovano contenitori nel littering. Tanto più oggi che anche l’associazione di riferimento europea dei produttori di acqua minerale, Natural mineral waters Europe, promuove attivamente questo modello. In Italia è attiva in tal senso la campagna “A buon rendere”, partecipata da un vasto fronte di Ong e realtà locali, con l’obiettivo di velocizzare l’adozione di un Sistema di deposito per bottiglie in plastica e lattine. Il 15 giugno prossimo verrà presentato a Milano uno studio che analizza i benefici ambientali ed economici conseguenti all’introduzione di un sistema di deposito anche nel nostro Paese. Fortuna non ne fa menzione: per lui, il mercato, che per il 75% è fatto di bottiglie di acqua minerale vendute nel canale della distribuzione moderna (iper più super più libero servizio piccolo più discount), per un valore di circa 2,5 miliardi di euro, non è pronto a scelte radicali come quelle di Plose, sulla cui etichetta campeggia la scritta “plastic free dal 1957”.

E poco importa, a Fortuna e a Mineracqua, che a Parigi dal 29 maggio al 2 giugno siano riuniti 175 rappresentanti dell’Unesco per negoziare la stesura di un futuro Trattato mondiale contro l’inquinamento da plastica. Il presidente francese Emmanuel Macron, in un videomessaggio indirizzato ai delegati, ha ricordato: “Se non interveniamo, la generazione di rifiuti di plastica triplicherà nuovamente entro il 2060. L’inquinamento da plastica è quindi una bomba a orologeria oltre che una piaga già presente”.

Macron cita i dati del “Global plastics outlook policy scenarios to 2060” dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), un’analisi che quantifica sia le conseguenze dello “status quo” sulla dispersione della plastica nell’ambiente, sia i benefici di un’azione politica globale più ambiziosa. Il rapporto stima che nel 2060 quasi due terzi dei rifiuti di plastica saranno prodotti da articoli a vita breve come imballaggi, prodotti a basso costo e tessuti. A livello globale, si prevede che il volume della plastica dispersa nell’ambiente raddoppierà, raggiungendo i 44 milioni di tonnellate all’anno, mentre l’accumulo di plastica nei laghi, nei fiumi e negli oceani sarà più che triplicato, dato che i rifiuti di plastica passeranno da 353 milioni di tonnellate nel 2019 a 1.014 milioni di tonnellate nel 2060. È un futuro che non possiamo permetterci e dobbiamo smettere di comprare la plastica con dentro l’acqua minerale. Anche se soggetti come Mineracqua difenderanno per sempre il business as usual, abbiamo bisogno di scelte radicali. 

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