Chernobyl, vent’anni fa e oggi
Vent’anni fa, il 26 aprile del 1986, esplodeva la centrale di Chernobyl. Del più grave incidente nucleare della storia, dopo tutto questo tempo, non si conoscono ancora la vera storia – quanto meno in Italia – né, soprattutto, le battaglie di Yuri Bandajevski (anatopatologo e direttore del più grande istituto di ricerca nelle zone contaminate) e di sua moglie Galina, pediatra.
Per le loro ricerche sugli effetti sanitari delle radiazioni sui bambini, Bandajevski è stato perseguitato, accusato di terrorismo e incarcerato per sei anni.
Oggi, il libro Chernobyl. Una storia nascosta, racconta tutti i retroscena dell’incidente, gli studi e le vicende del professor Bandajevski.
L’autrice del libro è Silvia Pochettino, direttore del mensile “Volontari per lo sviluppo”, ed è un’inchiesta giornalistica raccontata come un romanzo e avvincente come una spy story, e sarà in edicola a 5,90 euro per una settimana (dal 22 aprile al 29 aprile), con i quotidiani “l’Unità” e “Liberazione”.
Di seguito pubblichiamo un estratto dal libro:
Galina Bandazheskaya si guarda nel piccolo specchio, appeso al muro d’entrata delle due stanze che ora abita al terzo piano di via Shugaeva. E piange. Lo fa in quel modo dignitoso e sommesso di chi sa di averne tutto il diritto. Non è un vero pianto, di quelli violenti, squassanti, come qualche volta le è capitato, piuttosto un modo per esprimere con il corpo la riflessione lucida sulla sua condizione, che la mente ha già elaborato da tempo.
Gli occhi azzurri, chiarissimi, sembrano sbiadire man mano che le lacrime colano lungo le guance troppo piene, fino a quel fisico che doveva essere stato bellissimo, un tempo. “Sono ingrassata così da quando è successo – pensa, guardandosi – non mangio quasi niente, ma i miei fianchi sembrano esplodere”. Forse una conseguenza della mancanza cronica di cibi di qualità nella Bielorussia di oggi, forse le troppe patate o il borsh con quella panna acida che fa salire il colesterolo solo a guardarla. Ma più probabilmente la rabbia, quella rabbia incontenibile, dietro gli occhi sbiaditi. L’ansia che non la lascia mai, giorno e notte, pensando suo marito Yuri chiuso in una cella putrida di via Kalvariskaya, il carcere di Minsk. E poi il lavoro di nove lunghi anni di dedizione totale, in cui trascurava anche le piccole Olga e Natalia, mai una vacanza, mai una domenica in campagna, come tutte le famiglie normali. Nove anni a lavorare dal mattino alle sette alla sera a mezzanotte. Per cosa?
Tutto azzerato, cancellato, distrutto.
Si aggira come un animale in gabbia, Galina, tra i mobili di truciolato in rigido stile sovietico e quella tappezzeria a fiori anni ‘70 che detesta, ma non c’è altro. Già, perché lo Stato adesso non assegna più gli alloggi come un tempo, venti metri quadri per persona era la regola, sessanta con un figlio, ottanta con due figli, una vera miseria, però tutti l’avevano. Adesso no, adesso c’è la liberalizzazione e gli alloggi si comprano, chi i soldi li ha. Ma i Bandazhevsky no, quali soldi hanno mai avuto, prima a vivere con i genitori di Yuri perché non si potevano permettere una casa loro e poi a Gomel con le figlie, lì sì in un alloggio del governo perché chi ci voleva andare in zona altamente contaminata in quegli anni?
E oggi quelle due stanze le ha potute comperare solo grazie all’aiuto di un comitato francese di sostegno. Chi l’avrebbe detto che si sarebbe ridotta così? Era così entusiasmante il futuro quando con orgoglio aveva conseguito la laurea in pediatria, e poi la specializzazione in cardiologia, e soprattutto quando aveva incontrato Yuri, il più giovane professore di medicina di tutta l’Unione Sovietica. Quando era successo? Più di 25 anni fa, ormai, i ricordi sbiadiscono, come gli occhi e la tappezzeria.