Interni
L’Università che sognano i precari
L’accesso al corpo docente nelle università italiane è una “guerra tra poveri”, che si consuma a colpi di favoritismi, frustrazioni e sensi di colpa. È questo l’orizzonte in cui vivono ricercatori, dottorandi e in generale a tutto il popolo dei…
L’accesso al corpo docente nelle università italiane è una “guerra tra poveri”, che si consuma a colpi di favoritismi, frustrazioni e sensi di colpa. È questo l’orizzonte in cui vivono ricercatori, dottorandi e in generale a tutto il popolo dei lavoratori “non-strutturati” che partecipano ai concorsi delle università italiane.
Con risultati “che in questi anni hanno sfiorato, e a volte raggiunto, l’indecenza” spiega Rachele Borghi, che dopo un dottorato alla Facoltà di Geografia dell’Università “Ca’ Foscari” di Venezia è stata costretta a continuare le attività di ricerca all’estero, e oggi è la prima firmataria di una lettera aperta che fa appello alla responsabilità di tutti coloro che, dai “baroni” agli studenti rassegnati, legittimano il sistema dei concorsi in Italia (la trovato in allegato).
Il “sistema-concorsi” oggi funziona così: settimane prima di conoscere i risultati, tutti già sanno nome e cognome del vincitore, e nessuno se ne stupisce più, nemmeno quando a vedersi assegnato un ruolo di professore ordinario in Geografia è -a Catania, in mezzo ad un gruppo di validissimi candidati- un sessantanovenne prossimo alla pensione, oppure se il vincitore di un altro concorso per ricercatori è uno studente senza dottorato. C’è anche un sito internet, pronosticailricercatore.blogspot.com, in cui chiunque voglia può “scommettere” in anticipo l’esito dei concorsi, pronosticando nome e cognome di chi lo vincerà, e spesso indovinandoci.
A maggio 2010 si è concluso il lungo iter di messa a punto delle nuove norme di reclutamento nei concorsi universitari previsto dalla riforma Gelmini, che teneva bloccate le attività dal 2008: i nuovi criteri per selezionare i candidati, prima basati sulla valutazione di prove scritte, sono ora costituiti da un confronto dei titoli di studio. Inoltre, i membri delle commissioni deputate alla valutazione dei candidati non sono più eletti dai professori (che, tramite un fitto giro di telefonate, facevano fronte comune per eleggere i colleghi più “fidati”), bensì sono estratti a sorte. Queste due modifiche alla normativa sembrano a tutti gli effetti andare verso una riduzione delle manipolazioni: il vecchio sistema dei “quesiti su misura” nelle prove scritte sembra infatti essere rimpiazzato da una più oggettiva comparazione tra i titoli di studio, effettuata dai membri di una commissione che, sorteggiati, hanno minori probabilità di essere pilotati al fine di selezionare un favorito.
I fatti dimostrano però che con la ripresa dei concorsi non è cambiato nulla: i risultati appena pubblicati, relativi ad otto concorsi riferiti a una sessione del 2008 -ripresa quest’anno dopo la sospensione-, erano stati “indovinati” sul sito pronosticailricercatore.blogspot.com, 14 su quattordici. Com’è possibile aggirare anche la nuova normativa? “Non è ancora chiaro come riescano, anche sulla base dei titoli di studio, ad imporre i propri candidati. Di certo conta molto il fatto che quasi nessuno fa ricorso contro una valutazione ritenuta ingiusta. Le norme precedenti non ammettevano questa possibilità, il giudizio era insindacabile; ora che si può ricorrere non è ancora chiaro né come si fa né quali sono gli organismi a cui ci si può rivolgere”.
L’appello di Rachele Borghi e di altri 54 tra dottori, ricercatori e dottorandi delle Facoltà italiane di Geografia vuole essere il primo passo verso una presa di coscienza che sia attiva, e non rassegnata, verso questo fenomeno. “I concorsi che hanno interessato la nostra disciplina non sono diversi dagli altri. Le Facoltà di Geografia rappresentano, nel panorama delle università italiane, un piccolo gruppo, ma proprio per questo è più forte la necessità che le persone selezionate nei concorsi siano realmente preparate -racconta Rachele Borghi-. Spesso si pensa che i problemi nelle università siano solo dovuti ad una carenza di risorse; in realtà a noi pare ugualmente grave che i pochi fondi a disposizione vengano usati per finanziare ricercatori meno competenti di altri”.
La Borghi, che ha un dottorato interdisciplinare in Cultura e società in tradizioni arabo-islamiche, attualmente insegna in Svizzera, ma ha lavorato anche in Tunisia, Francia e Spagna. Ha al suo attivo una quarantina di pubblicazioni, ma in Italia non ha ancora vinto un concorso, e deve accontentarsi di un posto da precaria come docente a contratto. Come lei, molti colleghi sono costretti a lavorare gratis e, nel tempo libero, a tirare a “indovinare” i vincitori dei prossimi concorsi. La sola arma che hanno a disposizione è quella dell’informazione, e cioè parlare di questa situazione, farla emergere sui media per evidenziare che non si tratta di casi isolati, che tutti sono a loro modo responsabili del protrarsi di questo sistema. Per ora le Associazioni di Geografia (AGeI-Associazione geografi italiani, Sgi-Società geografica di Roma e Ssg-Società di studi geografici a Firenze) non hanno considerato la loro voce. Sperano che almeno il popolo dei “non strutturati” -geografi e non- trovi il coraggio, per il proprio futuro, di mettere anche il proprio nome in calce all’appello.